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Quant’è grande l’Italia della sostenibilità | Tekneco

Tekneco #14 – GreenItaly

Quant’è grande l’Italia della sostenibilità

Presentato il nuovo rapporto di Unionacamere e Symbola, dal quale si evince che in tempi di crisi il Belpaese trova nel “verde” la sua via d’uscita

Scritto da il 17 febbraio 2014 alle 8:30 | 0 commenti

Quant’è grande l’Italia della sostenibilità

Un’impresa su cinque in Italia è verde, anzi un po’ di più: sono 328mila le imprese italiane che dal 2008 ad oggi hanno combattuto la crisi a colpi di sostenibilità, il 22% del totale. Hanno già investito, o lo stanno ancora facendo, per ridurre gli impatti ambientali e risparmiare energia. Un doppio dividendo, però, da un lato ambientale e dall’altro economico.

Mai come in questi anni aziende, grandi e piccole, si sono trovate di fronte alla necessità di dare un taglio ai costi, di non perdere fatturato e di migliorare la produzione. I numeri sono quelli del rapporto GreenItaly, realizzato da Unioncamere e Fondazione Symbola e arrivato quest’anno alla sua quarta edizione. Con numeri che da soli meriterebbero di far riflettere un governo intero: 100,8 miliardi di euro di valore aggiunto prodotto, in termini nominali, nel 2012, pari al 10,6% del totale. Dicevamo il 22% delle imprese totali italiane è “green”, sì, ma va aggiunto che proprio da queste aziende quest’anno arriverà il 38% di tutte le assunzioni programmate nell’industria e nei servizi: 216.500 su un totale di 563.400. Che significa portare a 3 milioni gli attuali posti di lavoro verdi, a cui aggiungere altri 3,7 milioni di ulteriori posti di lavoro potenziali.

I green jobs arriveranno a coprire, spiega il rapporto, il 61,2% di tutte le assunzioni destinate alle attività di ricerca e sviluppo in Italia. E il 42% del totale delle assunzioni sotto i trenta anni programmate entro la fine del 2013 riguarda proprio quel 22% di aziende che hanno fatto investimenti verdi.

Quali sono i settori più verdi?

Non tutti i settori sono verdi allo stesso modo. Per esempio, nell’industria manifatturiera la percentuale di chi ha rilanciato sul “green” è del 29,7% (81mila imprese investitrici nel green), mentre le costruzioni si allineano più o meno alla media nazionale (21,5%, 47.600 imprese). Ma il settore più verde di tutti è proprio quello che tradizionalmente è sempre stato considerato il maggiore nemico dell’ambiente: la chimica. Per chi legge Tekneco la notizia magari non sarà nuova – ne abbiamo infatti già parlato sia sulla rivista che sul nostro sito –, ma nuova è la percentuale di imprese green della chimica che hanno raggiunto il 54,1% del totale (3.500 imprese in termini assoluti) e del 46,2% (4.000 imprese) in quello della gomma-plastica: settori dove l’innovazione va sia sui prodotti che sui processi, incalzati da un mercato e da norme che ormai sono sempre meno disponibili verso chi inquina.

Green è ormai anche buona parte del cosiddetto “made in italy”: sono ben il 30% le imprese che investono in tecnologie green nei settori del legno-mobilio (8.300 imprese), della lavorazione dei minerali non metalliferi (4.600), della meccanica-mezzi di traporto (12.600), dell’elettronica e strumentazione di precisione (6.300) e del settore dei beni per la casa e il tempo libero (2.000). E anche il mondo dell’agroalimentare aumenta la sua percentuale di verde, toccando un 28% di imprese (8.800). La moda, un po’ più indietro, ma comunque nella media nazionale con il suo 22,9%, vale a dire 9.700 imprese.

Occorre dire che proprio nel “made in Italy” si verifica una sorte di riscatto della piccola impresa italiana. Nell’alimentare, per esempio, addirittura il 43% delle piccole imprese (che hanno, cioè, fra i 10 e i 49 dipendenti) investono in tecnologie green, vale a dire 2.100 aziende, che sono 1.300 nel cartario (il 44%), 2.000 nel legno-mobilio (40%), 1.300 nei minerali non metalliferi (40%). Nel legno-mobilio, poi, emerge anche il 27% di micro-imprese (1-9 dipendenti) che investe nel green (5.700), quando la corrispondente media manifatturiera nazionale è del 23%, nel cartario si arriva persino al 29% (2.600 in valori assoluti).

Questo non significa che le imprese medio-grandi rimangano a guardare. L’adozione di pratiche green, infatti, si può dire che si manifesti in maniera direttamente proporzionale alle dimensioni aziendali, passando dal 18,4% di diffusione fra le micro-imprese con meno di 10 dipendenti, al 66,3% per quelle con 500 dipendenti e oltre, passando per il 33,2% della piccola (10-49 dipendenti), il 47,3% della media impresa e il 62,6% della medio-grande (250-499 dipendenti).

Nord batte Sud? Neanche per idea

C’è un pregiudizio secondo il quale il Nord potrebbe essere più verde e più innovativo essendo stato, in prospettiva storica, la patria della grande industria italiana. Un’idea del Paese che mal si sposa con quella descritta dai numeri di GreenItaly. È vero che quasi un’impresa green su cinque in Italia si trova in Lombardia (60mila in valori assoluti) e che la provincia di Milano è seconda per numerosità assoluta, con 18.400 imprese green (5,6% del totale nazionale), dopo Roma (20.500, 6,2%), ma è anche vero che si tratta di un dato che va calato anche sulla densità di popolazione locale. Tant’è che, in termini di incidenza percentuale delle imprese green sul totale imprenditoriale, è davvero piccolissimo lo scarto fra le diverse province: si oscilla fra il 23,3% del Nord-Est e il 20,7% del Centro, passando per il 21,8% del Mezzogiorno e il 22,1% del Nord-Ovest. Anche le differenze regionali sono ridotte, con un minimo pari al 19,3% registrato in Toscana e un massimo del 29,1% della Basilicata: tra queste due regioni, ve ne sono ben dieci che oscillano per non più di un punto percentuale dalla media nazionale.

Il successo delle start-up verdi

Una start-up su tre in Italia ha investito sul green. Di quelle che Unioncamere definisce “vere” start-up, circa 117mila nate nel primo semestre 2013, quasi 33mila (il 28%), hanno puntato su prodotti e tecnologie verdi nei primi mesi di vita e pensano di farlo almeno per i successivi dodici. Rispetto ad un anno fa il valore si è raddoppiato, nel 2012 erano solo il 15,2%.

Ci sono differenze, ovviamente, da settore a settore: si va dal 21,9% dell’agricoltura al 35,4% del settore dedicato ai servizi alle persone, passando per il 24-25% dell’industria in senso stretto e dei servizi alle persone e del 30% circa nei settori delle costruzioni-attività immobiliari e turismo (commercio e alloggio, ristorazione e servizi turistici).

E, sebbene le start-up verdi dichiarino maggiori difficoltà nell’avvio rispetto a quelle che non ci pensano nemmeno da lontano alla sostenibilità, rimane il fatto che la loro percentuale sia in crescita. Sintomo, con ogni probabilità, di una fiducia verso il futuro. Di credere, cioè, che la strada verso la sconfitta della crisi passi proprio per l’innovazione green.

10 regole per la Green Economy

Più tasse per chi inquina e chi consuma il suolo, con lo scopo di far crescere l’ecogettito dall’attuale 6% ad un 12,5%, spostando la pressione fiscale dal lavoro e dagli investimenti green per non aumentare il peso delle tasse. E poi, nuovi strumenti finanziari, vere e proprie “obbligazioni verdi”, per sostenere la crescita sostenibile e una nuova scansione degli incentivi.

Questi alcuni dei temi caldi toccati dalla seconda edizione degli Stati Generali della Green Economy 2013 che si sono svolti a Rimini, nell’ambito di Ecomondo-Key Energy-Cooperambiente il 6-7 novembre scorso. Circa 2.500 partecipanti, più di 1.400 persone che hanno seguito la diretta streaming, due Ministri, Andrea Orlando e Flavio Zanonato, 25 relatori nazionali e internazionali.

«Con questi Stati Generali – ha spiegato Edo Ronchi, componente del Consiglio Nazionale della Green Economy – dalle sedi internazionali, OCSE e UNEP, il Green New Deal atterra anche in Italia, dove c’è un gran bisogno di idee nuove e concrete che facciano bene all’ambiente, allo sviluppo e all’occupazione dei nostri giovani. Spesso ci chiedono qual è la finalità degli Stati Generali: il nostro obiettivo è la coesione, il fare squadra, il superamento della frammentazione delle organizzazioni e delle decine di migliaia di imprese “green”che ne fanno parte».

Per i dieci settori strategici individuati il “pacchetto” si sviluppa lungo quattro direttrici: un fisco in chiave green, semplificazioni burocratiche, nuovi strumenti finanziari, ottimizzazione e razionalizzazione dell’uso delle risorse finanziarie esistenti. «Il pacchetto di proposte – ha continuato Ronchi – ha la finalità di riuscire a sviluppare una green economy in grado di attivare un vero e proprio green New Deal per l’Italia. Per ogni tipo di misura del pacchetto si è individuata non solo la spesa, ma anche la copertura, a partire da una riforma della fiscalità in chiave ecologica. Sono fermamente convinto che la green economy abbia particolari potenzialità in Italia».

«È importante avere strumenti di programmazione per la green economy – gli fa eco il ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando – un settore la cui crescita deve essere guidata in modo che garantisca equità nella ridistribuzione delle risorse naturali».

Questo il “decalogo” previsto dagli Stati Generali (la versione estesa qui):

  1. Attuare una riforma ecologica che sposti il carico fiscale, senza aumentarlo, a favore dello sviluppo degli investimenti e dell’occupazione green.
  2. Attivare programmi per un migliore utilizzo delle risorse europee e per sviluppare strumenti finanziari innovativi per le attività della green economy.
  3. Attivare investimenti che si ripagano con la riduzione dei costi economici, oltre che ambientali, per le infrastrutture verdi, la difesa del suolo e le acque.
  4. Varare un programma nazionale di misure per l’efficienza energetica e il risparmio energetico.
  5. Attuare misure per sviluppare le attività di riciclo dei rifiuti.
  6. Promuovere il rilancio degli investimenti per lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili.
  7. Attuare programmi di rigenerazione urbana, di recupero di edifici esistenti, di bonifica, limitando il consumo di suolo non urbanizzato.
  8. Investire nella mobilità sostenibile urbana.
  9. Valorizzare le potenzialità di crescita della nostra agricoltura di qualità.
  10. Attivare un piano nazionale per l’occupazione giovanile per una green economy.

Il tesoro naturalistico dell’Italia

La legge nazionale sulle aree protette risale al 1991. Oggi i parchi nazionali sono 24; in tutto 871 aree naturali protette per un totale di oltre 3.163.000 chilometri quadrati di superficie protetta a terra e di oltre 2.800.000 di ettari di superficie protetta a mare. Il 10,5% dell’intera superficie nazionale che arriva quasi al 20% includendo le zone di protezione speciale (Zps) e i siti di interesse comunitario (Sic).

Un patrimonio di cui l’11 e il 12 dicembre scorsi il Ministero dell’ambiente ha voluto misurarne il “valore”, ambientale ma anche economico, attraverso la Conferenza nazionale “La natura dell’Italia. Biodiversità e aree protette”. Il quadro che ne è emerso è quello di una ricca attività imprenditoriale che nei soli parchi nazionali conta 68.281 imprese, l’1,1% del totale nazionale, con una propensione a fare impresa che non si discosta molto dal dato nazionale (9,7 imprese ogni 100 abitanti, contro il 10,2 medio italiano). Nei parchi regionali 687.985 imprese, l’11,3% del totale nazionale e anche in questo caso la propensione a fare impresa non si discosta molto dal dato nazionale (9,9 imprese ogni 100 abitanti, contro il 10,2 medio italiano). E nei siti Natura 2000 (Sic e Zps) 300.716 imprese, il 4,9 del totale nazionale. La propensione a fare impresa non si discosta molto dal dato nazionale (9,7 imprese ogni 100 abitanti, contro il 10,2 medio italiano).

Dal punto di vista occupazionale – lavori green e non – nei parchi nazionali gli occupati (2011) sono 98.585 (-3,4% rispetto al 1991), nei parchi regionali sono 1.565.677 (+4,7% rispetto al 1991) e nei siti Natura 2000 sono 633.831 (-1,9% rispetto al 1991). Il tasso di occupazione è, rispettivamente, del 21,3% per i parchi nazionali, del 34,5% per quelli regionali e del 31,5% per quelli della rete Natura 2000.

In questo contesto si rilevano alcuni trend verdi importanti. Nel settore manifatturiero, per esempio, 10.400 imprese hanno sviluppato dal 2010 ad oggi processi e tecnologie verdi, vale a dire il 17,2% di tutte le aziende che hanno dipendenti, un valore, anche se di poco, comunque più alto della media nazionale che è del 16,8%; ma, cosa più importante, le imprese “verdi” raggiungono il 27% tra quelle che assumono nel corso del 2013.

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L'autore

Marco Gisotti

Direttore scientifico di Green factor, ha creato e dirige dal 2005 il Master in Comunicazione ambientale del Centro studi CTS con il Dipartimento di scienze della comunicazione della Sapienza di Roma e l’ENEA. È autore, con Tessa Gelisio, di “Guida ai green jobs. Come l’ambiente sta cambiando il mondo del lavoro” (Edizioni ambiente).


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