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Verde Metropolitano

Quando le piante battono il cemento

Non solo giardini per rendere le città più belle, ma il verde può avere un ruolo molto importante nel processo di rigenerazione urbana

Scritto da il 29 novembre 2014 alle 7:00 | 0 commenti

Quando le piante battono il cemento

È finita l’era del verde nelle metropoli come un mero fatto ornamentale: la vegetazione, infatti, ora nelle città possiede una vera e propria valenza urbanistica e ambientale al punto che nei Paesi anglosassoni si parla di urban forestry, ossia di forestazione urbana, per sottolineare il valore delle aree verdi in contrapposizione all’aridità della cementificazione.

Le funzioni del verde urbano sono diverse e il loro elenco più completo in Italia si trova nel “Manuale per tecnici del verde urbano” della città di Torino. La funzione ecologico-ambientale mitiga inquinamento e degrado, introdotti sia dagli edifici, sia dalle attività umane, mentre quella sanitaria, specialmente nei pressi di ospedali e case di cura, contribuisce positivamente sia sul piano fisico, per la presenza di essenze, sia su quello psicologico alle convalescenze. Oltre a ciò, il verde ha una funzione protettiva sul fronte del dissesto idrogeologico urbano di aree degradate e sensibili, oppure particolarmente stressate dall’impermeabilizzazione delle aree circostanti, evitando frane e smottamenti, mentre fondamentale è il loro ruolo sul fronte della funzione sociale e ricreativa così come sul fronte psicologico. Infine, non sono da sottovalutare i ruoli sia didattici, nell’educazione alle scienze naturali, sia quelli storici del verde urbano, ossia quello estetico e architettonico. Sul fronte energetico la vegetazione può essere utilizzata come un vero e proprio regolatore delle condizioni bioclimatiche a costo zero. Una facciata di edificio esposta a Sud può essere “circondata” da alberi ad alto fusto che in estate la ombreggiano e d’inverno consentono il passaggio dei raggi solari, mentre la creazione di piccoli boschi urbani consente di mitigare le cosiddette isole di calore, tutte tecniche che riducono i carichi energetici per la climatizzazione e il riscaldamento.

Gli esempi d’applicazione del verde in contesti di rigenerazione urbana sono diversi. Si va dagli orti urbani, una pratica che si sta diffondendo a livello planetario, ai giardini verticali, passando per le “high line” verdi con le quali le sopraelevate vengono trasformate in giardini pensili, trasferendo il traffico, pubblico o privato che sia, nel sottosuolo. Gli orti urbani, oggi, si sono liberati dal retaggio che in passato li considerava un residuo della povertà destinato essenzialmente agli anziani per essere inseriti all’interno di una visione più sostenibile delle metropoli, grazie sopratutto a un movimento nato dal basso in diverse città del mondo. Molte volte, infatti, questi orti sono gestiti in forma collettiva, condividendo e andando a “occupare” terreni pubblici, spesso degradati o destinati alla cementificazione, che vengono dati in concessione dagli enti locali, molte volte su pressione dei cittadini stessi. Si tratta di un’attività che ha diverse valenze, prima tra tutte quella sociale, che però non mette in secondo piano quella ecologica, visto che gli ortaggi in questione sono quasi sempre coltivati senza ricorrere a pesticidi e sono molto meno energivori di quelli che si trovano nei punti vendita, dato che non devono ricorrere alla logistica tradizionale dell’ortofrutta fatta di trasporti e di catena del freddo. Oltre a ciò, gli orti urbani contribuiscono a una corretta gestione idrogeologica del territorio, poiché l’attività non impermeabilizza il terreno, lo controlla e abitua i cittadini a una corretta visione del territorio urbano.

L’high line, invece, è un esperimento di successo della città di New York che ha “riciclato”, anziché abbatterlo, un tratto di ferrovia sopraelevata in disuso dal 1980, al di sotto del quale ci sono delle normali strade. Dopo quasi vent’anni d’abbandono, nel 1999 si costituì un’associazione di cittadini, Friends of High Line, che si opposero al ventilato abbattimento della ferrovia, proponendo, e anche in questo caso l’idea arriva dal basso, la riqualificazione dell’opera come parco urbano. La municipalità della Grande Mela approvò il progetto, affidandolo nel 2002 agli architetti Diller Scofidio+Renfro e allo studio di architettura del paesaggio James Corner Field Operations e i lavori cominciarono nel 2006. Risultato: dal 2009 New York ha un parco in più, sopraelevato e lineare, della lunghezza di 2,33 chilometri che batte la Statua della Libertà per numero di turisti annui che, nel 2013, sono arrivati a oltre cinque milioni. La stessa cosa vorrebbe fare Roma, con una valenza ambientale ancora maggiore, visto che la high line capitolina dovrebbe essere realizzata sulla vecchia sopraelevata ormai dismessa tra Batteria Nomentana e la stazione Tiburtina, per un tratto di 1,7 chilometri. Con nove milioni di euro di fondi dall’Unione europea la high line dovrebbe sostituire il tratto di tangenziale che per oltre trent’anni ha inquinato le abitazioni che vi si affacciavano, incolpevolmente, visto che sono precedenti all’opera. Nel frattempo a Singapore si progettano addirittura i grattacieli interamente dedicati all’agricoltura. Una sfida magari utopica, ma che, come ogni utopia che si rispetti, in futuro potrebbe aprire strade oggi non immaginabili.

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L'autore

Sergio Ferraris

Sergio Ferraris, nato a Vercelli nel 1960 è giornalista professionista e scrive di scienza, tecnologia, energia e ambiente. È direttore della rivista QualEnergia, del portale QualEnergia.it e rubrichista del mensile di Legambiente La Nuova Ecologia. Ha curato oltre cinquanta documentari, per il canale di Rai Educational Explora la Tv delle scienze. Collabora con svariate testate sia specializzate, sia generaliste. Recentemente ha riscoperto la propria passione per la motocicletta ed è divenatato felice possessore di una Moto Guzzi Le Mans III del 1983.


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