Clima
Marcia indietro sul clima
L'Unione Europea, con l'indifferenza dell'Italia, fa marcia indietro sul clima. Obiettivi limitati, contraddittori e non vincolanti. Ecco le reazioni.
L’Unione Europea chiude la stagione della lotta ai cambiamenti climatici e apre al fallimento di una politica legata alla vera sostenibilità, mettendo in serio dubbio l’ipotesi di un accordo globale sul clima a Parigi nel 2015. Si può sintetizzare così l’accordo sugli obiettivi climatici al 2013 “raggiunto” questa notte a Bruxelles, nonostante l’ottimismo che traspare dall’ufficialità. Un accordo che si limita a “fotografare” poco più dell’esistente. La riduzione delle emissioni è limitata al 40% sulla base del 1990, le rinnovabili dovranno arrivare al 27% – oggi siamo a circa il 16% con un aumento “inerziale” che è di circa l’1% annuo – mentre sull’efficienza l’obiettivo è del 27% – la Commissione europea aveva proposto il 30% e il Parlamento Europeo il 40% – ma sopratutto si tratta di un target non vincolante e come tale destinato a rimanere in balia delle politiche dei singoli paesi, molti dei quali sono alla prese con la crisi e giudicano, con una certa miopia, l’efficienza energetica una priorità di secondo, se non di terzo livello.
«Ritengo si potesse e dovesse fare di più. AssoRinnovabili aveva chiesto in più occasioni che l’obiettivo per le rinnovabili non fosse inferiore al 30%, considerando i tanti vantaggi che la produzione di energia verde ha saputo offrire e offrirà al nostro Paese in termini di emissioni evitate di CO2, minori danni alla salute dei cittadini, incremento di PIL e occupazione. – commenta Agostino Re Rebaudengo, presidente di assoRinnovabili – La stessa Commissione ha stimato che con un obiettivo per le rinnovabili al 30% si potrebbero avere al 2030 fino a 1.300.000 posti di lavoro in più in Europa, mentre con un obiettivo limitato al 27% se ne avrebbero solo 700.000: perché rinunciare a 600.000 occupati? Senza trascurare inoltre l’aspetto strategico che le rinnovabili possono rivestire in termini di security of supply per l’Unione Europea, fattore particolarmente rilevante in seguito ai recenti sviluppi geopolitici, sia a Est che a Sud dell’Unione Europea. Ci auguriamo che, nel processo di codecisione, il Parlamento Europeo possa ancora correggere la volontà espressa dal Consiglio e che l’Unione Europea continui a mantenere il ruolo di leader globale nella lotta ai cambiamenti climatici, preparando il terreno per il successo della Conferenza sul Clima di Parigi 2015».
La seria ipoteca, infatti, è sul versante extra Ue, visto che con questi segnali su rinnovabili, clima ed efficienza – ai quali bisogna aggiungere il fatto che la Ue ha dato il via alle nuove centrali nucleari francesi, finanziate dai cinesi in Gran Bretagna – la Cop 21 di Parigi 2015 rischia di fare la fine Cop 15 di Copenaghen del 2009. Ossia di fallire nella ricerca di un accordo globale per frenare le emissioni climalteranti, visto che con la riduzione degli impegni da parte dell’Europa la Cina, le cui emissioni sono superiori a quelle degli Stati Uniti, potrebbe non firmare alcun accordo in quella sede, come del resto potrebbero fare gli Stati Uniti, visto che Obama è ormai alla fine del suo secondo mandato.
«La lotta globale ai cambiamenti climatici richiederebbe un trattamento shock, invece quello che l’UE ci propone è, al massimo, una cura a base di sali», dichiara Luca Iacoboni, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia «I cittadini europei vogliono energia pulita, ma i loro leader politici sembrano non accorgersi della crescita delle fonti rinnovabili. O forse se ne sono accorti e vogliono contrastarla. L’Europa deve e può fare più di così, se vuole evitare che gli impatti dei cambiamenti climatici siano ancora più devastanti di quelli riscontrati negli ultimi tempi».
Il problema per noi risiede nel fatto che questo accordo avviene durante la presidenza di turno della UE e l’Italia, nonostante a parole Matteo Renzi abbia dichiarato, durante la conferenza Onu sul clima di New York che «per l’Italia i cambiamenti climatici sono la sfida del nostro secolo». Un’affermazione smentita ora nei fatti, sulla quale Legambiente è particolarmente dura.
«Una grande occasione sprecata. L’Italia si è limitata a svolgere un ruolo semplicemente notarile di presidente di turno dell’Unione europea cedendo alla minacce di veto britanniche e polacche. Il nostro governo ha mostrato la sua scarsa capacità di leadership e volontà politica di investire nello sviluppo di un’economia europea a basse emissioni di carbonio cedendo alla lobby del fossile. – afferma il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza – Siamo solo all’inizio della partita. Nei prossimi mesi la nuova Commissione Juncker dovrà predisporre il pacchetto di proposte legislative su cui Consiglio e Parlamento dovranno poi raggiungere un accordo. Legambiente – insieme ai principali network e associazioni europei – si impegnerà con forza affinché il Parlamento costringa il Consiglio ad approvare un ambizioso pacchetto legislativo, che includa un obiettivo di riduzione delle emissioni di gas-serra che vada ben oltre il 40%, noi proponiamo il 55%; escluda l’utilizzo di crediti internazionali per il raggiungimento di questo obiettivo perché oggi il 75% dei crediti esterni UE è realizzato in Russia, Ucraina e Cina, penalizzando gli investimenti domestici nelle tecnologie pulite; includa un obiettivo vincolante per l’efficienza energetica che vada ben oltre il 27% (noi proponiamo il 40%) e aumenti l’ambizione dell’obiettivo per le rinnovabili, noi proponiamo il 45%. Solo così l’Europa potrà sviluppare una competitiva economia a basse emissioni di carbonio. La sola in grado di farci superare la doppia crisi climatica ed economica creando nuove opportunità dal punto di vista dell’occupazione, dell’innovazione e dello sviluppo di tecnologie pulite. Una sfida che l’Europa e l’Italia non possono fallire».
E l’accordo è modesto anche per Gianni Silvestrini, presidente di Free, il Coordinamento che raggruppa oltre 30 associazione delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica secondo cui un tale ribasso negli obbiettivi non era previsto. «L’accordo sugli obiettivi climatici al 2030 raggiunto nella notte a Bruxelles risulta francamente inferiore alle più pessimistiche previsioni. Tuttavia va gestito intelligentemente sul fronte interno e su quello internazionale. – dice Silvestrini – Ancora più incomprensibile la timidezza sul fronte dell’efficienza. Quel 27% di riduzione dei consumi rispetto allo scenario tendenziale, per altro “indicativo” e non vincolante, si confronta con la proposta del 30% della Commissione e del 40% del Parlamento europeo. Una scelta al ribasso, considerato anche per l’enorme aiuto che la riduzione dei consumi potrebbe dare in termini di sicurezza energetica, tema centrale nell’attuale contesto di turbolenze».
Si tratta di obiettivi largamente insufficienti anche e sopratutto per combattere i cambiamenti climatici in atto, ma che sembrano salvaguardare sopratutto le attività basate sulle fonti fossili.
«Purtroppo l’Unione Europea ha perso la sua vocazione di leader nella trasformazione a un’economia low carbon. – dice a Tekneco, Veronica Caciagli, Presidente Italian Climate Network, il movimento italiano per il clima – Per vincere la sfida per il clima è necessaria una riduzione delle emissioni di gas serra del 55% a livello europeo entro il 2030, per rimanere in linea con un taglio del 95% entro il 2050. Invece, i leader europei si sono accordati per una riduzione del 40%: non sarà sufficiente per mantenere l’aumento delle temperature medie globali sotto alla soglia di sicurezza di +2° gradi centigradi. Stupisce particolarmente la decisione di rendere non vincolante l’obiettivo, già esiguo, di aumento dell’efficienza energetica di almeno il 27%: l’Europa decide che il risparmio energetico non è una priorità. Le lobby del gas hanno vinto, condannando l’Europa e i cittadini ad altri decenni di dipendenza dalle fonti fossili e alle conseguenze dei cambiamenti climatici».
Dall’Europa arrivano critiche anche rispetto il ruolo dei singoli paesi che hanno più difeso asset nazionali di piccolo cabotaggio, rispetto a una dimensione europea, per non parlare di quella globale. «Gli Stati membri (come Polonia e Regno Unito), che si sono messi in prima linea per bloccare possibili target più ambiziosi, lo hanno fatto, per lo più, in nome dei propri interessi economici. La realtà, però, è che il rapporto tra progresso economico ed una politica climatica ed energetica che guarda al futuro, funziona esattamente al contrario: senza una trasformazione del proprio modello energetico, l’Europa avrà solo da perderci in termini economici.- afferma Monica Frassoni, co-Presidente del Partito Verde Europeo – È vergognoso come il Consiglio abbia concesso potere di veto alla Polonia sugli obiettivi più ambiziosi sulle energie rinnovabili, alla Francia per le interconnessioni, e al Regno Unito in materia di efficienza. Una volta avevamo il principio “chi inquina paga”, ora abbiamo il principio “chi inquina ha diritto di veto».
E ce chi pensa, infine, che a Bruxelles si sia giocata una strategia anche per quanto riguarda la leadership tecnologica sulle attività low carbon. Partita nella quale l’Italia ha tutto da perdere.
«Con il vertice Ue abbiamo subito un grave colpo. A Bruxelles Merkel ha scelto di darla vinta a Cameron (presidenza italiana e Renzi latitanti) e si fissano i target al 2030 talmente timidi (-40% CO2, più 27% rinnovabili – ma obiettivi non vincolanti a livello di Stati membri -, e un non vincolante 27% di incremento dell’efficienza) che praticamente si raggiungeranno “business as usual”, senza alcuno sforzo virtuoso di riconversione. – dice Francesco Ferrante, fondatore di Green Italia – Merkel forse pensa che tanto in Germania fa come gli pare e che la leadership nel settore la eserciti da sé: “le rinnovabili in un solo Stato”. Ma per il secondo paese manifatturiero d’Europa (che siamo noi) guidato da una classe dirigente e da un sistema politico che di questi temi non si occupa affatto e quando lo fa pensa a follie come le “trivelle libere” che vuole Renzi, la notizia europea è una sciagura».
Questa decisione avrà dei contraccolpi, quindi, anche sulla Green Economy, visto che parecchie imprese si stanno orientando su questo fronte, visto come una leva di sviluppo. «L’accordo Ue al 2030 ostacola il nuovo modello energetico, in un quadro normativo confuso e contraddittorio come quello italiano, di fatto ostacolano e rallentano la transizione verso un nuovo modello energetico. Che ciò accada durante il semestre di presidenza italiano è significativo del perdurare di una politica fossile nel nostro Paese. – afferma Livio de Santoli, il presidente di Aicarr (Associazione italiana condizionamento dell’aria riscaldamento e refrigerazione) – Aicarr in questi mesi è molto impegnata sul fronte dell’efficienza energetica, promuovendo nelle sedi istituzionali tutte le azioni di supporto utili per arrivare ad un testo unico dell’efficienza energetica».
Sergio Ferraris su Twitter @sergioferraris
I contenuti dell’accordo in sintesi*:
L’accordo prevede tre target per il clima e l’energia al 2030:
- “almeno” il 40 per cento di riduzione delle emissioni di gas serra nell’UE (senza l’uso di crediti di compensazione) rispetto ai livelli di emissione del 1990;
- una percentuale vincolante di “almeno” il 27 per cento di rinnovabili nel mix energetico dell’Unione;
- e un obiettivo non vincolante di “almeno” il 27% di crescita dell’efficienza energetica, con possibilità di innalzamento al 30 per cento dopo una revisione nel 2020.
Per i Paesi con economie più deboli, come la Polonia, l’accordo prevede un meccanismo finanziario per sostenere gli investimenti nella ‘modernizzazione energetica e nell’efficienza energetica’. In passato questi fondi sono stati utilizzati anche per sostenere la produzione elettrica a carbone.
Diverse industrie continueranno a ricevere crediti di emissione gratuiti, ma i dettagli riguardo al funzionamento di un mercato della CO2 europeo non saranno chiari sin quando non verrà predisposta, il prossimo anno, una normativa specifica.
E’ stato adottato anche un obiettivo del 15% per le interconnessioni delle reti elettriche al 2030.
*Fonte Greenpeace
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L'autore
Sergio Ferraris
Sergio Ferraris, nato a Vercelli nel 1960 è giornalista professionista e scrive di scienza, tecnologia, energia e ambiente. È direttore della rivista QualEnergia, del portale QualEnergia.it e rubrichista del mensile di Legambiente La Nuova Ecologia. Ha curato oltre cinquanta documentari, per il canale di Rai Educational Explora la Tv delle scienze. Collabora con svariate testate sia specializzate, sia generaliste. Recentemente ha riscoperto la propria passione per la motocicletta ed è divenatato felice possessore di una Moto Guzzi Le Mans III del 1983.
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