Cambiamenti climatici
Ciclone sulla Sardegna: il clima c’entra
Il clima è il grande assente dalla tragedia della Sardegna e potrebbe esserlo anche dalle politiche di salvaguardia e sicurezza del territorio
Nelle ore in cui la depressione Ruven, chiamata per chissà quale motivo dai media Cleopatra, lascia la Sardegna con il suo carico di distruzione e vittime (al momento sono 16) per dirigersi verso l’Italia peninsulare è interessante notare come la maggior parte dei politici abbia puntato il dito verso un’unica causa del disastro: il dissesto idrogeologico. Si tratta di un’analisi parziale e che non affronta a fondo il problema. Prima di tutto, pero, bisogna mettere a fuoco di cosa stiamo discutendo. Ruven (Cleoparta) infatti non è una normale perturbazione ma è un TLC (Tropical Like Cyclone) che ha acquisto potenza sul Mar Mediterraneo come si può vedere qui.
Un fatto quindi abbastanza inedito, per le proporzioni, ma non inatteso. Un grande ruolo, infatti, lo gioca la temperatura della superficie marina che in questi giorni è insolitamente calda e quindi è in grado di fornire molta energia ai fenomeni atmosferici. Insomma a causa di un’estate 2013 prolungata, fino a pochi giorni fa la colonnina di mercurio a Roma era fissa a 21 °C, l’acqua ha accumulato parecchio calore/energia. Insomma un effetto dei cambiamenti climatici di origine umana che di recente sono stati confermati dall’Ipcc, nel silenzio generale dei media, così come oggi le pagine sono piene di cronaca, di accuse verso la pessima gestione del territorio, ma troviamo ben poco sul clima, nonostante si stia svolgendo proprio in queste ore la Cop 19 di Varsavia sui cambiamenti climatici.
E veniamo al territorio la cui gestione è sotto accusa, ma in maniera assolutamente generica e sopratutto anonima. Si punta l’indice contro la cementificazione che è passata nel periodo dal 1956 al 2010 da 8.000 a20.500 km2, con un incremento del 156% quando la popolazione è aumentata nello stesso periodo del 24%, ma non si dice dove e come si è cementificato e sopratutto perchè negli ultimi cinque anni, il periodo della recessione, si sia spalmato cemento al ritmo di 8 m2 al secondo.
La realtà è che l’imperativo, miope e poco lungimirante, per molti decisori locali e nazionali è quello di aumentare il cemento per aumentare il Pil. Pil che aumenta, detto per inciso anche con le spese di ricostruzione. Sarebbero 40 i miliardi di euro, secondo le stime del Ministero dell’Ambiente, necessari per mettere in sicurezza il territorio dal rischio idrogeologico odierno.
E qui rientra in gioco il clima e i suoi cambiamenti che pone due problemi. Il primo è che bisogna mitigare gli effetti del riscaldamento globale limitando l’emissione di CO2 nei prossimi anni con l‘efficienza energetica e le rinnovabili, mentre il secondo attiene all’adattamento ai cambiamenti climatici, ossia a ciò che è accaduto in Sardegna ieri. Chiariamo. In 12 ore sull’isola sono caduti 450 mm di pioggia (450 litri per metro quadro o se rende di più l’idea quasi mezza tonnellata, circa la metà della quantità annua che in Sardegna è di 1000 mm) e a questa quantità dovremo abituarci, o meglio adattarci, perché si tratta degli effetti odierni dei cambiamenti climatici, mentre se continueremo a emettere CO2 in atmosfera questa quantità di precipitazioni salirà, di quanto non lo sappiamo, ma salirà.
La conseguenze di tutto ciò potrebbero essere riassunti in tre scenari. Il primo: non si fa nulla per la mitigazione e nulla per il territorio. Risultato: una sempre maggiore insicurezza che sarà anche di classe perchè chi avrà disponibilità economiche sceglierà di vivere in zone “sicure”. Il secondo nel quale si mitiga, oppure anche no, e si mette in sicurezza, spendendo i 40 miliardi di cui sopra, senza però tenere conto dell’adattamento già necessario ora. Risultato: la messa in sicurezza non “tiene il passo” con l’evolversi dei fenomeni e ritarderemmo solo gli effetti.
Nel terzo scenario si mitiga e si mette in sicurezza il territorio tenendo conto dei cambiamenti climatici e dei trend degli effetti correlati. Risultato:un territorio molto più sicuro e stabile. E cosa bisogna fare per realizzare il terzo scenario? La risposta è di una semplicità sconcertante, quanto difficile da attuare. In primo luogo colmare il deficit di manutenzione del territorio spendendo i 40 miliardi, ma al tempo stesso inserire in maniera concreta, permanente ed efficace la manutenzione del territorio e l’adattamento in tutta la legislazione, partendo dai regolamenti edilizi comunali e arrivando alla legislazione nazionale. Si tratta di una cosa indispensabile per la sicurezza dei cittadini che dovrebbero essere i primi a chiederla alla politica, andando oltre l’emergenza.
Numeri e costi del dissesto idrogeologico:
- 4 milioni di ettari di terreno agricolo e forestale in forte erosione e a rischio frane (13% del territorio nazionale);
- 7 miliardi di euro per i prossimi 10 anni la spesa ipotizzata per le aree agro-forestali a maggior criticità;
- 40 miliardi di euro la spesa per la messa in sicurezza del territorio stimata dal Ministero dell’Ambiente;
- 2 miliardi di euro per danni causati da eventi alluvionali a colture e aziende agricole erogati negli ultimi 10 anni Ministero delle politiche agricole e forestali alle Regioni;
- 2,5 miliardi di euro in 10 anni il danno stimato per la costante perdita di suolo agricole produttività delle superfici forestali (a cui vanno aggiunte le spese periodiche di ripristino e manutenzione gestite direttamente dai comuni);
- 3,5 miliardi di euro per calamità idrogeologiche stanziati con Ordinanze di protezione Civile.
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L'autore
Sergio Ferraris
Sergio Ferraris, nato a Vercelli nel 1960 è giornalista professionista e scrive di scienza, tecnologia, energia e ambiente. È direttore della rivista QualEnergia, del portale QualEnergia.it e rubrichista del mensile di Legambiente La Nuova Ecologia. Ha curato oltre cinquanta documentari, per il canale di Rai Educational Explora la Tv delle scienze. Collabora con svariate testate sia specializzate, sia generaliste. Recentemente ha riscoperto la propria passione per la motocicletta ed è divenatato felice possessore di una Moto Guzzi Le Mans III del 1983.
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