Tekneco #10 – Innovazione
Rivoluzione al plasma
Come i plasmi del laboratorio di UniBa hanno cambiato l’industria. A colloquio con il professor Riccardo D’Agostino, ordinario di Chimica Generale
Chi per viaggio o per necessità si è spinto in prossimità dei poli probabilmente ha potuto assistere al fenomeno dell’aurora boreale (o australe, a seconda dell’emisfero), quando il cielo si illumina di striature colorate. Si tratta di uno spettacolo unico al mondo ed è praticamente la sola manifestazione dell’esistenza del plasma a cui un essere umano può assistere in natura.
Lo spettacolo è provocato dall’interazione di protoni ed elettroni di origine solare, il cosiddetto “vento solare”, che interagiscono con la ionosfera del nostro pianeta. Queste particelle eccitano gli atomi dell’atmosfera che, diseccitandosi, emettono luce a varie lunghezze d’onda.
«Il plasma sostanzialmente non è che materia ionizzata – ci spiega il professor Riccardo D’Agostino, ordinario di Chimica generale all’Università di Bari e fra i fondatori della Scuola barese in chimica dei plasmi – ed è sempre accompagnato da una emissione luminosa».
Ma manifestazioni di questo particolare stato della materia sono state per anni disponibili nei nostri salotti come nelle camere dei bambini in quelle lampade rotonde, al cui interno una mistura di gas nobili (xeno, kripton, neon, ecc.) interagendo con delle strutture elettroniche creavano come dei lampi di luce di colori diversi e, toccandole dall’esterno, convogliavano questi “fulmini” verso il punto di contatto. Il primo a costruirne una fu addirittura Nikola Tesla alla fine dell’Ottocento ma le tecnologie necessarie per una produzione su vasta scala non furono disponibili fi no agli anni Settanta quando uno studente del MIT non reinventò l’oggetto per divertimento e lo commercializzò nei decenni successivi.
«È stato nel 1973 la prima volta che si è compreso che attraverso il plasma di potevano compiere delle operazioni per la microelettronica – continua il professor D’Agostino –. È allora che è avvenuta la vera rivoluzione industriale del settore, da quando, cioè, il plasma ha sostituito tutta la fase produttiva che avveniva in ambito liquido. Da allora lo sviluppo dell’elettronica ha cominciato a raddoppiare di anno in anno il numero delle componenti che entravano in un chip».
La Scuola di chimica dei plasmi barese è la più antica d’Europa e la sua storia comincia qualche anno prima, nel 1965, con l’arrivo del professor Ettore Molinari presso il Dipartimento di chimica dell’Università di Bari quando si avvia un programma di ricerca nel campo della chimica dei plasmi. Nel tempo il gruppo crebbe fino a comprendere, oggi, diverse decine di docenti universitari e ricercatori dell’Istituto CNR di metodologie inorganiche e del plasma, e di giovani borsisti e dottorandi, tutti impegnati nei numerosi temi di ricerca della disciplina, e nelle applicazioni del plasma nei materiali.
Il gruppo è una eccellenza di rilievo internazionale e una delle maggiori realtà scientifiche del Sud d’Italia. Vista la versatilità della tecnologia e l’unicità della realtà scientifica barese, la tecnologia al plasma può essere comune denominatore delle “eccellenze” industriali ed in particolare per i distretti aerospaziali, della meccanica, della nautica, dell’agroalimentare, del calzaturiero, del settore tessile/moda, lapideo, della gomma, della plastica e perfino del legno e arredo.
Esistono tre tipologie di plasmi: fisici, caldi e freddi. I plasmi fisici sono quelli che intervengono nella fissione nucleare e agiscono a miliardi di gradi. I plasmi caldi, ovvero intorno al migliaio di gradi, sono oggi utilizzati nel settore metallurgico e in quello della ceramica. I plasmi freddi, che lavorano fino ad una temperatura come quella ambientale, sono utili per le lavorazioni di materiali molto delicati come, appunto, i circuiti integrati, la plastica fino alla carta.
L’uso del plasma fa sì che i materiali trattati non modifichino la propria struttura né le loro proprietà, se non sulla superficie. «Vengono così a crearsi nuove proprietà biologiche, fisiche e chimiche ma solo sulla superficie dei materiali – spiega ancora D’Agostino – . Per esempio le superfici antigraffio degli occhiali da vista. Le lenti sono infatti in policarbonato che è per sua natura un materiale tenero. Con il plasma la superficie sviluppa, diciamo così, un fi lm duro. Nello stesso modo si possono conferire proprietà adesive o più adesive o, al contrario, distaccanti. Ad alcuni materiali si possono conferire, sempre sulla superficie, proprietà idrofile o idrofobe. In questo modo, per esempio, vengono trattati i rivestimenti per le carene delle navi che sviluppano così un coefficiente di attrito molto ridotto col risultato finale di ridurre i consumi di carburante dal 20 al 30 per cento in meno».
«O sotto il profilo della sicurezza – continua D’Agostino – pensiamo alle ali degli aerei rivestite con materiali che con il plasma sono stati resi antighiaccio. Oppure l’industria automobilistica: in un’auto ci sono fra le 100 e le 200 componenti trattate con i plasmi. Un esempio? I paraurti, che per meglio far aderire la vernice sono trattati al plasma. Persino nel biomedicale ci sono materiali con proprietà antibatteriche ottenute grazie a questo tipo di tecnologie. O le lamette da barba: le più costose e durature hanno sul fi lo della lama un deposito in DLC (Diamond-Like Carbon), lo stesso film usato per i motori diesel. Ovviamente al plasma».
Il plasma, inoltre, è di per sé amico dell’ambiente perché tutte le applicazioni avvengono sotto vuoto e nelle operazioni non sono coinvolti agenti chimici. Una rivoluzione silenziosa al punto che stupisce che l’Italia, e in particolare i laboratori di Bari, possano aver giocato un ruolo addirittura a livello mondiale.
«Non solo – chiosa D’Agostino, al quale a dicembre la Camera di Commercio di Bari e la Regione Puglia hanno voluto consegnare una targa di merito per il grande lavoro svolto – . Qui già nel 2004, abbiamo fondato uno spin-off universitario che serve a trasformare alcuni prodotti realizzati in maniera convenzionale in prodotti al plasma grazie a finanziamenti europei. Nel 2009 abbiamo creato il laboratorio pugliese industriale dei plasmi con la vocazione di diffondere fra le aziende queste tecnologie. Nel momento di crisi occorre investire nella ricerca».
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L'autore
Marco Gisotti
Direttore scientifico di Green factor, ha creato e dirige dal 2005 il Master in Comunicazione ambientale del Centro studi CTS con il Dipartimento di scienze della comunicazione della Sapienza di Roma e l’ENEA. È autore, con Tessa Gelisio, di “Guida ai green jobs. Come l’ambiente sta cambiando il mondo del lavoro” (Edizioni ambiente).
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