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Tekneco #16 - Soluzioni Green

La conceria che non ti aspetti

Più del 50% della materia prima usata nella conceria diventa scarto, senza contare la grande quantità di prodotti chimici che un tempo venivano dispersi nell'ambiente

Scritto da il 08 settembre 2014 alle 8:00 | 0 commenti

La conceria che non ti aspetti

Articolo a firma di Veronica Caciagli

Quando si parla di green economy si pensa immediatamente ad alcuni settori, come quello delle energie rinnovabili o del biologico. La green economy è in realtà un concetto più ampio, una riconversione del sistema produttivo e industriale che attraversa tutte le produzioni di beni e servizi, anche e soprattutto quelle più inquinanti. Ecco allora che uno dei settori che negli ultimi anni ha compiuto più progressi dal punto di vista della riduzione dell’impatto ambientale è un settore che non ti aspetti: quello dell’industria conciaria.

Chi, come me, è nato nel “Comprensorio del Cuoio”, il distretto industriale compreso tra Santa Croce sull’Arno, Castelfranco di Sotto e San Miniato, conosce bene l’importanza economica dell’industria del pellame sul territorio.

Negli anni ‘70 e ‘80 chiunque nella zona avesse a disposizione un fondo commerciale o persino un garage avviava la sua piccola attività collegata alla pelle: nacquero così decine di calzaturifici, solettifici, tomaifici, tacchifici, guardolifici, stamperie e ogni altra piccola fabbrica per la lavorazione della scarpa. Ad alimentare tutti i processi di trasformazione che avevano un’unica finalità: le concerie. A quei tempi non si parlava di protezione dell’ambiente e i processi produttivi, frammentati tra centinaia di piccoli e piccolissimi imprenditori, non avevano la benché minima velleità di controllo degli impatti. Intanto, nell’Arno non si poteva più andare a pescare e a fare il bagno, ma era un sacrificio accettato per il nuovo benessere economico.

Sull’industria conciaria l’Italia conserva una leadership indiscussa a livello mondiale: secondo il report “GreenItaly – La concia: reti, territori e sostenibilità”, del 2011, realizzato dalla Camera di Commercio di Pisa, Unioncamere e Symbola, nonostante la crisi economica e la concorrenza internazionale, in Italia si realizza ancora il 66% della produzione conciaria europea e il 16% di quella mondiale (dati dell’Unione Nazionale Industria Conciaria). Inoltre, a caratterizzare il nostro Paese è anche una propensione all’esportazione, con una quota sul valore dell’export mondiale del 27%: quasi una pelle su tre è made in Italy. Circa il 90% della produzione deriva dai tre maggiori distretti industriali: ad Arzignano in Veneto, a Solofra in Campania e nel ”Comprensorio del Cuoio” in provincia di Pisa.

Nella concia vengono utilizzate sostanze che si fissano alle fibre della pelle per impedirne la decomposizione e permettere, così, le lavorazioni successive che portano alla produzione di capi di abbigliamento e calzature. Il processo di conceria più diffuso è quello al cromo, che utilizza dei “bottali”, ovvero delle macchine simili a grandi lavatrici, con l’utilizzo di prodotti chimici concianti. Forse proprio le profonde conseguenze degli impatti delle concerie sull’ambiente e sulla salute umana hanno spinto il Comprensorio del Cuoio e gli altri principali distretti italiani a un lento e progressivo cambiamento, con una nuova cultura ambientale che sta trasformando il settore conciario. Una cultura della sostenibilità che si sta diffondendo soprattutto per i maggiori impatti, ovvero gestione delle acque, produzione di rifiuti ed emissioni in atmosfera.

Secondo il report GreenItaly, dal 2002 al 2010 l’incidenza dei costi ambientali sul fatturato è passato dall’1,9% del 2002 al 4% del 2010, dato che conferma il crescente impegno ambientale delle concerie, soprattutto nella gestione delle acque. La conceria, infatti, impiega grandi quantitativi di acqua, che a fine processo devono essere avviati alla depurazione: in azienda solitamente si procede a un pre-trattamento, mentre nei principali distretti sono stati istituiti dei consorzi per la depurazione degli scarichi che trattano la maggior parte delle acque reflue. Le concerie inviano, quindi, le acque utilizzate ai depuratori, che separano i fanghi di risulta. I fanghi vengono poi trattati in altri impianti, come l’impianto di Ecoespanso di Santa Croce sull’Arno. Ancora, nel Comprensorio del Cuoio opera un altro consorzio, il Cuoiodepur, che con la collaborazione delle Facoltà di Agraria di Pisa e Piacenza, conduce sperimentazioni sul riutilizzo in agricoltura dei fanghi prodotti dalle aziende che conciano al vegetale, basato su concianti naturali come i tannini, estratti dalla corteccia delle piante: dalla sperimentazione è stato avviato il progetto Fertilandia per la produzione di un nuovo fertilizzante di natura organica, il cosiddetto “pellicino integrato”.

Per quanto riguarda i rifiuti, occorre considerare che solo il 20-25% della materia prima in entrata diventa prodotto finito; il resto è scarto, che viene differenziato in alte percentuali: le percentuali di raccolta differenziata, dal 2002, non sono mai scese al di sotto del 91% dei rifiuti prodotti, fino a toccare, nel 2010, il massimo storico, ossia il 98% (fonte: Unione Nazionale Industria Conciaria – Rapporto Ambientale relativo al periodo 2002-2010). Alcuni sottoprodotti sono riutilizzati, come il pelo, che può essere recuperato e riutilizzato come feltro, e il carniccio, utilizzato per la produzione di saponi o in agricoltura.

Inoltre, anche al fine di limitare i costi collegati alla depurazione, negli ultimi anni si sta investendo nella riduzione dell’impatto a monte del ciclo produttivo, ovvero nella diminuzione del consumo di acqua, che è stato ridotto del 23,5% dal 2002 al 2010, e nella riduzione del livello di inquinanti negli scarichi idrici. Ad esempio, a Santa Croce sull’Arno è attivo il Consorzio Recupero Cromo, un impianto centralizzato per il recupero del cromo trivalente dalle acque esauste del processo conciario. Il cromo recuperato è poi riciclato nei processi produttivi aziendali, sostituendo il 20-35% del sale di cromo fresco, con un vantaggio sia di tipo economico che ambientale.

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