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Ocean Cleanup. Un Oceano di rifiuti da ripulire. Ecco come.

mare pulito

Un Oceano di rifiuti da ripulire. Ecco come

Nel 2016 verranno calate le prime reti in mare aperto del progetto Ocean Cleanup. Obiettivo: catturare la plastica degli oceani prima che diventi cibo (spesso letale) per pesci ed uccelli

Scritto da il 05 gennaio 2016 alle 9:17 | 4 Commenti

Un Oceano di rifiuti da ripulire. Ecco come

I mari e gli oceani affogano nei rifiuti, a farne le spese sono spesso pesci ed uccelli. A breve partirà la sperimentazione in marea aperto di Ocean Cleanup, la barriera “salva oceani”.

In molte città italiane, strade sporche, incapacità di realizzare in modo efficiente la raccolta differenziata e il recupero dei materiali portano spesso il problema dei rifiuti sotto gli occhi (ed il naso) dei cittadini. L’avanzata della spazzatura, purtroppo, non si ferma però sulla terraferma. Come ricorda il vecchio adagio “occhio non vede, cuore non duole” riscopriamo quanti rifiuti vi siano nei fiumi e nei mari solamente quando ci troviamo ad affacciarci sulle acque, non più cristalline, o ci immergiamo riportando con noi in spiaggia buste di plastica che ci sembravano meduse o bottiglie che – lontane dall’essere portatrici di biglietti di naufraghi – ci trasmettono solo i messaggi di una continua mancanza di rispetto dei nostri mari ed oceani. Tra le diverse tipologie che stanno affogando i nostri mari, la plastica è sicuramente quella che fa più notizia perché è capace di rimanere a galla, di frantumarsi in microplastiche, ma non di biodegradarsi (se non dopo migliaia di anni). Scambiata per cibo, anche quando non causa della morte di milioni di uccelli e specie marine, finisce per entrare nella catena alimentare anche dei pesci che poi finiranno sulle nostre tavole.

Si stima che ogni anno, nei mari e negli oceani,si riversino ben otto milioni di tonnellate di plastiche. A causa dei vortici oceanici, questa massa finisce per accumularsi a pelo d’acqua soprattutto in cinque zone, la più grande diventata famosa come Pacific Trash Vortex situata nell’omonimo oceano. Tra le “vittime” di questo fenomeno ci sono anche importanti settori economici come la pesca, i trasporti marittimi ed il turismo.

Se, da un lato, aumentano le iniziative volte a sensibilizzare l’opinione pubblica al fine di ridurre questo fiume di rifiuti che continua a sfociare nelle acque, allo stesso tempo non tardano ad arrivare anche progetti per cercare di ripulire almeno quello che viene a galla, purtroppo però con scarsi risultati e con ipotesi di costo elevatissime a causa dell’utilizzo di navi che intercettino e catturino i rifiuti.

Un nuovo sistema, ora, promette di cambiare rotta. Boyan Slat è un giovane imprenditore olandese che ha messo a punto un sistema di raccolta, ribattezzato the Ocean Cleanup, che, nei progetti dell’ideatore, dovrebbe autofinanziarsi con la vendita della plastica raccolta e avviata al riciclo. Si tratta di una barriera che, ancorata nei fondali, riesce a raccogliere le plastiche che vengono trasportate a pelo d’acqua dalle correnti. Sebbene i ricercatori stimino che il sistema sarà definitivamente messo a punto nel 2020, i primi progetti pilota stanno già prendendo il via.

Nel 2016 si procederà all’installazione di una barriera nei mari del Giappone all’altezza dell’isola di Tsushima sulle cui coste ogni anno spiaggiano circa 30.000 metri cubi di rifiuti, pari a un metro cubo di rifiuti per ogni abitante dell’isola. Nel frattempo, proprio in questi giorni è stata annunciata per il 2016 la sperimentazione del progetto a 23 km al largo delle coste dei Paesi Bassi. Saranno i primi 100 metri di barriera in mare aperto, test fondamentale per poter creare modelli più grandi da ancorare negli oceani.

Come sempre vale la considerazione che non c’è miglior rifiuto di quello non prodotto ma nel frattempo c’è un mare di rifiuti da recuperare. Anzi un Oceano.

Credits immagine: Pagina Facebook The Ocean Cleanup


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L'autore

Letizia Palmisano

Giornalista dal 2009, esperta di tematiche ambientali e “green” e social media manager. Collabora con alcune delle principali testate eco e scrive sul suo blog letiziapalmisano.it. È consulente sulla comunicazione 2.0 di aziende ed eventi green e docente di social media marketing. In 3 aggettivi: ecologista, netizen e locavora (quando si può).


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