Fonti pulite
L’eolico offshore è ancora al palo in Italia
Secondo l’ultimo report dell’Ewea nel nostro Paese non è operativa nessuna turbina marina, anche se un progetto è stato autorizzato
L’eolico marino non è di casa in Italia: la tecnologia offshore, nonostante le sue indubbie potenzialità, non si è ancora affermata nel nostro Paese, tanto che, al momento, le installazioni funzionanti con questa tecnologia sono a quota zero.
D’altronde, come si può facilmente notare con un semplice clic sui motori di ricerca, la semplice presentazione di un progetto offshore scatena la reazione di comitati spontanei di cittadini, quasi sempre seguiti a ruota da sindaci, presidenti di Provincia e Regione.
La conferma arriva dall’ultimo report dell’Ewea: l’European wind energy association ha reso noto che nel corso dell’anno passato sono state installate e collegate alla rete elettrica 293 turbine per un totale di 1.165 MW. Le turbine complessivamente in esercizio sono 1.662, distribuite in 55 parchi offshore per una potenza complessiva 4.995 MW.
La top ten dei paesi produttori di energia dal vento colloca ancora una volta al primo posto la Gran Bretagna, con quasi il 60% della potenza installata in Europa. Al secondo posto c’è la Danimarca (18%), seguita dal Belgio (8%) e dalla Germania (6%), mentre l’Italia è ancora fuori da questo elenco.
Certo, la potenza del vento che spira lungo le nostre coste non è sicuramente paragonabile a quella dei Mari del nord, però, secondo il Wind energy report 2012 del Politecnico di Milano, l’Italia ha un potenziale di circa 10 GW di installato.
Qualcosa, in realtà, sembra smuoversi: nei mesi scorsi il Governo ha autorizzato, tra l’opposizione della popolazione locale, un progetto da 136 MW al largo del Canale di Sicilia che, infatti, è già dato per acquisito dall’Ewea per il 2013-2014 e potrebbe contribuire per il 4% al totale delle nuove installazioni offshore previste per il prossimo biennio.
Anche su questo progetto, nonostante la Valutazione d’impatto ambientale positiva, pesa però l’ombra dei ricorsi al Tar. L’eolico offshore, insomma, patisce in pieno in Italia la sindrome Nimby (Not in my back yard); eppure, considerato che per questa tecnologia il costo delle fondazioni marine e delle linee elettriche subacquee e delle operazioni d’installazione/rimozione incide per circa il 50% su quello dell’intero impianto, si potrebbero creare delle importanti opportunità per l’industria italiana dei cantieri navali e dell’offshore petrolifero, in questo momento sicuramente in affanno.
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L'autore
Gianluigi Torchiani
Giornalista classe 1981, cagliaritano doc ormai trapiantato a Milano dal 2006. Da diversi anni si interessa del mondo dell’energia e dell'ambiente, con un particolare focus sulle fonti rinnovabili
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