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Il progetto Desertec entra ufficialmente in crisi | Tekneco

Tekneco #13 – Rinnovabili

Il progetto Desertec entra ufficialmente in crisi

La spaccatura tra i promotori dell’iniziativa rischia di affossare il sogno di rifornire l’Europa con l’energia prodotta sfruttando l’irraggiamento dei deserti africani

Scritto da il 08 gennaio 2014 alle 8:30 | 0 commenti

Il progetto Desertec entra ufficialmente in crisi

Nel mondo dell’energia si legge spesso di progetti dai numeri stratosferici, capaci di assicurare il fabbisogno energetico di migliaia di persone se non di milioni. Non a caso si è utilizzata l’espressione “si legge”: molto spesso, infatti, queste iniziative restano soltanto sulla carta e dei kWh promessi non se ne vede neppure l’ombra, neanche a distanza di anni.

Questa fine ingloriosa incombe anche su Desertec, probabilmente il progetto energetico più noto del Pianeta, che si propone di sfruttare i vasti e disabitati spazi desertici dell’Africa sahariana per produrre elettricità da convogliare poi verso l’Europa. Un’idea che è sembrata per anni a tutti (politici e giornalisti compresi) la classica idea win-win: le popolazioni locali avrebbero potuto contare su investimenti e ricadute miliardarie per le proprie economie, mentre i Paesi europei avrebbero ottenuto quantitativi di energia pulita (in buona parte non intermittente) difficilmente producibili sul suolo del Vecchio Continente.

Addirittura, secondo le previsioni della fondazione che sostiene il mega progetto Desertec, entro il 2050 l’energia solare dal Sahara settentrionale avrebbe potuto soddisfare circa il 15/20% del fabbisogno europeo di energia elettrica e una porzione significativa della domanda di elettricità locale nei Paesi del Nord Africa. La tecnologia produttiva alla base del progetto nordafricano è il solare a concentrazione (il cosiddetto Concentrated solar power, Csp) che, a differenza del fotovoltaico, può garantire una produzione elettrica per 24 ore al giorno. Molte altre fonti, comunque, erano chiamate a offrire un contributo importante, tra cui eolico e fotovoltaico, mentre le reti di nuova generazione avrebbero dovuto giocare un ruolo decisivo per la trasmissione a lunga distanza dell’elettricità prodotta.

Il condizionale, però, è ormai d’obbligo: già nel 2012, che sarebbe dovuto essere l’anno decisivo per i primi passi concreti di Desertec, il progetto ha invece mostrato evidenti segni di difficoltà, con l’abbandono di gruppi industriali del calibro di Bosch e Siemens. L’addio è fondamentalmente legato alla congiuntura economica complessiva, che ha reso difficile l’investimento in un’operazione come Desertec, che chiaramente può garantire ritorni finanziari solo a lunghissimo termine. Anche l’onda lunga di instabilità provocata dalla Primavera Araba non ha aiutato certo un’iniziativa di questo tipo, che ha un fortissimo bisogno di sostegno politico.

Sostegno che ha negato la Spagna, che a fine 2012 – per ragioni tecniche ed economiche – ha rinviato la firma del protocollo che avrebbe dovuto dare il via libera all’assorbimento dell’elettricità prodotta dalla prima centrale operativa del progetto, un impianto termodinamico realizzato in Marocco. Un ulteriore colpo è stato assestato a Desertec dall’Ue, che ha tagliato il budget previsto per il finanziamento delle infrastrutture di rete.

Dopo tutti questi problemi, a fine giugno 2013 è avvenuto il colpo di scena che secondo gli osservatori mette in crisi la fattibilità stessa dell’iniziativa. La fondazione Desertec (l’anima civile del progetto, che comprende scienziati, politici, economisti) ha abbandonato il consorzio Dii (Desertec Industrial Initiative), che raggruppa le società industriali, tra cui Eon, Rwe, Deutsche Bank, Saint Gobain e le italiane Enel e Terna. I motivi della rottura a tutt’oggi restano poco chiari: secondo il comunicato ufficiale diffuso dalla Desertec Foundation, la decisione è stata presa a causa di non meglio precisate controversie insanabili tra i due enti in materia di strategie future e per “lo stile manageriale” dei vertici di Dii.

«Desertec Foundation – ha dichiarato nei giorni della rottura il direttore Thiemo Gropp – sottolinea esplicitamente la sua comprensione per le sfide che il consorzio industriale deve affrontare. È sempre stato chiaro che la nostra idea di produrre energia elettrica dai deserti non è mai stato un compito facile. I dipendenti della Dii hanno contribuito enormemente alla transizione globale verso le energie rinnovabili. Tuttavia, dopo molti mesi, caratterizzati da innumerevoli discussioni, abbiamo dovuto concludere che la Fondazione ha bisogno di preservare la sua indipendenza. Questo è il motivo per cui Dii e Desertec Foundation andranno per strade separate, cosa che non esclude la cooperazione futura».

Apparentemente flemmatica è stata la reazione ufficiale di Dii, che continua a manifestare fiducia nel fatto che le rinnovabili siano destinate a garantire buona parte del fabbisogno della regione nordafricana nei prossimi decenni. Difficile, però, a questo punto, credere che tutto questo avverrà sotto la cornice di un unico faraonico progetto coordinato. Anche in Germania, il Paese che ha più creduto e investito in Desertec, l’aria che tira non sembra buona, secondo quanto si legge in un articolo piuttosto duro pubblicato nelle scorse settimane da Süddeutsche Zeitung. Secondo il quotidiano bavarese, dall’esperienza travagliata di Desertec si possono già oggi ricavare una serie di importanti lezioni per il futuro.

La più importante è che gli ingegneri, i manager e gli scienziati non possono sostituire l’azione politica. « Indubbiamente – si legge nell’articolo – è una tentazione guardare alla carta geografica del mondo o di un Paese come a un semplice foglio di carta sul quale si possono tracciare linee a piacere. Chiunque abbia intenzione di concretizzare un simile grande progetto farebbe tuttavia bene a pensare in primo luogo agli attori politici, ai loro interessi, alle frontiere e alle regioni. Sarebbe opportuno coinvolgere nel progetto i residenti locali e i vicini. Finché non si contattano tutti gli interessati per sapere che cosa ne pensano o almeno per comunicare loro che cosa li aspetta, si corre il rischio di crearsi un potenziale nemico: e una manciata di nemici è sufficiente a far naufragare l’intero progetto. In Paesi in subbuglio come quelli dell’Africa del Nord i partner possono scomparire dall’oggi al domani ». Per questo motivo, insiste il giornale di Monaco, in campo energetico occorrerebbe dare la preferenza a progetti locali, decentrati e reversibili piuttosto che a grandi progetti centralizzati. Il dopo Desertec, insomma, appare già iniziato, anche se questo non significherà la fine dello sviluppo delle energie rinnovabili nel Nord Africa.

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L'autore

Gianluigi Torchiani

Giornalista classe 1981, cagliaritano doc ormai trapiantato a Milano dal 2006. Da diversi anni si interessa del mondo dell’energia e dell'ambiente, con un particolare focus sulle fonti rinnovabili


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