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edilizia antisisma

Fenomenologia della ricostruzione

Post-terremoto: innovare significa anche realizzare uno spazio collettivo. Coinvolgendo menti e materiali del luogo, per sentirsi ancora comunità

Scritto da il 13 agosto 2012 alle 8:30 | 0 commenti

Fenomenologia della ricostruzione

Photo: 5.4.7 Arts Center di Greeensburg: accanto al volume dell’edificio le turbine a vento raccontano ecosostenibilità


Un evento sismico come quello dell’Emilia ci induce necessariamente, ad un mese dall’accaduto, ad una riflessione più generale sul tema della ricostruzione, Una riflessione ampia, che abbracci sia tipologie edilizie e per le modalità di costruzione sia i prodotti e le tecnologie da adottare in questi casi.
Quali sono i materiali durevoli che possono preservare la nostra salute anche in circostanze così gravi, come quelle in cui ha versato il nostro Paese negli ultimi giorni? Quali le possibili soluzioni architettoniche per prevenire i disastri a cui abbiamo assistito, attoniti?

Il legno, la paglia, il bambù e la canapa sono materiali edili che la natura ci mette a disposizione: belli e salubri, ma sono ideali per erigere costruzioni antisismiche perché elastici e leggeri.

Queste qualità, in particolare, consentono di dissipare in modo più efficace le sollecitazioni derivanti dalle scosse sismiche, la cui entità è direttamente proporzionale alla massa degli elementi che vanno a colpire. Ad esempio il cemento ha una resistenza equiparabile a quella del legno, ma un peso quadruplo.

Già nel 2007 il progetto Sofie, seguito dall’Istituto Ivalsa CNR ha dimostrato con una prova di simulazione eseguita in Giappone che un edificio realizzato con struttura in x-lam alto sette piani resiste senza particolari danni strutturali ad un terremoto di magnitudo 7,2 della scala Richter.

A seguito dell’esito di questa prova nella ricostruzione seguita al terremoto dell’Abruzzo del 2009 sono stati realizzati alcuni edifici multipiano con questa tecnologia (i primi in Italia), ma giungono in questi giorni notizie dall’Emilia di edifici in legno con la tecnica a telaio che hanno resistito egregiamente al sisma. Tra questi il progetto sperimentale di un edificio con struttura intelaiata in legno e tamponamenti in calce canapulo, il primo in Italia di questo genere realizzato a San Matteo della Decima nel comune di San Giovanni in Persiceto (BO) su progetto di Olver Zaccanti.

In principio era EVA

Una esperienza italiana esemplare nella ricostruzione post-terremoto è quella promossa dallo studio BAG officina mobile, realizzata con l’assistenza tecnica di Caleb Murray Burdeau, esperto in bioarchitettura. Questi giovani architetti all’indomani del terremoto in Abruzzo del 6 aprile 2009, hanno coinvolto alcuni cittadini di Pescomaggiore (AQ) che con l’aiuto degli stessi “progettisti” e di alcuni volontari hanno costruito sette abitazioni con struttura in legno e tamponamenti in paglia che sono risultate a basso costo e ad altissimo risparmio energetico, denominate progetto EVA. Le peculiarità sono state due: l’impiego della paglia, un materiale inusuale, ma anche la progettazione partecipata e l’autocostruzione, che hanno aiutato gli abitanti a ricostruire quel senso di comunità che sembra invece ancora mancare nei nuovi insediamenti dove le abitazioni sono state assegnate in modo “tradizionale”.

Il risultato è oggi un villaggio autocostruito, ancora in via di ultimazione ma molto radicato nella tradizione agricola. È stato infatti realizzato anche un orto biologico che consente loro di essere praticamente indipendenti dal punto di vista alimentare e di vendere i prodotti agricoli in eccesso in modo da finanziare in parte la ricostruzione del paese. Le case in paglia sono state assegnate agli attuali residenti in comodato d’uso e a fine emergenza saranno utilizzate per organizzare attività collettive a favore della comunità locale, a supporto dell’economia della zona. L’intenzione è quella di rivitalizzare un borgo che prima del terremoto era spopolato, tramutando un evento nefasto in un’occasione per realizzare una ricostruzione che non sia solo fisica, ma anche economica e sociale, capace di coinvolgere tutte le età e tutti gli strati sociali.

Un evento tragico solitamente fa riflettere l’opinione pubblica e il mondo della progettazione sull’elaborazione di nuove norme garantiscano una maggiore sicurezza degli edifici nel futuro, ma è capace anche di incrementare lo spirito di comunità e la voglia di condivisione delle popolazioni colpite, che è una buona strategia di elaborazione del lutto.

La storia del terremoto di Greensburg

La comincia il 4 Maggio 2007, quando un tornado devastante si è abbattuto sulla città di Greensburg in Kansas, distruggendo il 95% degli edifici della città e dei suoi dintorni ma non la voglia di futuro dei suoi 1500 abitanti. Dopo questo tragico evento, l’intera comunità cittadina ha deciso che il primo edificio pubblico da ricostruire doveva essere dedicato all’arte, chiamata ad essere una parte essenziale del nuovo futuro della città. Lo psicologo Rudolf Arnheim sosteneva che l’arte è da sempre uno strumento prezioso che può aiutare notevolmente a superare i momenti e le situazioni di difficoltà. L’arte può rivelarsi uno strumento fondamentale per creare o ricostruire una comunità con la sua identità, basandosi su radici come la storia e la cultura, oltre ad essere un elemento fondamentale per migliorare la qualità della vita di coloro che abitano una città a qualsiasi generazione appartengano. È nata così l’idea del 5.4.7 Arts Center di Greensburg, un punto d’incontro in cui la comunità può trovare stimoli per conoscere e comprendere tutte le forme d’arte contemporanea, rendendole di fatto accessibili al grande pubblico attraverso corsi, mostre ed esibizioni. Il nome dell’associazione richiama il giorno in cui si è scatenato il tornado, affinché in futuro non si dimentichi il tragico momento in cui la comunità ha conosciuto un nuovo inizio.

5.4.7 Arts Center

L’edificio che doveva ospitare il centro era chiamato a costituire un modello: sarebbe dovuto diventare il simbolo della ricostruzione civica della città.

Uno dei punti irrinunciabili del progetto era la a massima sostenibilità coniugata con le migliori forme dell’architettura contemporanea, in quanto l’amministrazione locale aveva deciso che tutti gli edifici costruiti con fondi pubblici dopo il tornado avrebbero dovuto ottenere il massimo livello emesso dal sistema di certificazione ambientale LEED. La sede del 5.4.7 Arts Center doveva essere un prototipo capace di ispirare e guidare gli abitanti nella ricostruzione della cittadina, mostrando loro come si costruisce un edificio ecologico e quali sono i numerosi vantaggi che si ottengono applicando questo genere di tecnologie. Otto mesi dopo il tornado la comunità ha chiesto alla facoltà di Architettura dell’Università del Kansas di progettare un edificio con queste caratteristiche, che doveva essere costruito prima possibile in quanto nel breve periodo doveva essere interpretato come uno strumento di ricostruzione e di aggregazione, che avrebbe continuato a vivere nel futuro come un centro d’arte contemporanea. Gli studenti della Facoltà, sotto la guida del professor Dan Rockhill, hanno disegnato e costruito il prototipo avvalendosi anche dell’aiuto dei fondatori del centro. Sono riusciti a consegnare alla comunità le chiavi soltanto dopo quattro mesi, in occasione della ricorrenza del primo anno dal tornado. Gli stessi si sono occupati personalmente di tutte le fasi del progetto, non solo della progettazione e della costruzione (che dovevano essere estremamente dettagliati visto l’obiettivo di ottenere la certificazione LEED platinum), ma anche della raccolta fondi e della intera gestione del cantiere. Il progetto presenta una planimetria molto semplice che si risolve in una successione lineare di un atrio, uno spazio espositivo e una sala riunioni, serviti da una piccola cucina e servizi igienici, ma è altrettanto curato nei dettagli. La semplicità degli spazi induce un loro impiego multifunzionale, per cui lo spazio espositivo diventa al bisogno un luogo dove ospitare incontri, feste e seminari, oltre a proiezioni cinematografiche e spettacoli teatrali nel week end. Questi ultimi durante la bella stagione possono essere organizzati sul prato antistante, verso il quale lo spazio espositivo multifunzionale si apre completamente grazie ad un portone vetrato simile a quello impiegato negli hangar degli aerei.

Quattro mesi per rimettersi in piedi

L’obiettivo di costruire un edificio che doveva ottenere il prestigioso certificato emesso dal sistema di valutazione ambientale più influente degli Stati Uniti ha condizionato molte scelte da questo punto di vista, analogamente al fatto di dover essere costruito in un tempo record di quattro mesi. Questa urgenza ha imposto l’adozione di un sistema di costruzione in prefabbricato, che permettesse ulteriori vantaggi dal punto di vista ecologico quali un volume molto ridotto di rifiuti prodotti e una maggiore solidità e durata del manufatto costruito ottenuta soprattutto grazie alla maggiore precisione di esecuzione, che consente a sua volta anche un migliore comportamento in termini di dispersioni termiche. Il corpo di fabbrica è stato suddiviso in diversi moduli, costruiti in un laboratorio posto a cinque ore di distanza da Greensburg e trasportati in un secondo tempo con appositi camion fino al cantiere. I 22 studenti coinvolti ed il professor Rockhill hanno realizzato tutto da soli, lavorando sette giorni alla settimana dalle 6.30 del mattino fino a mezzanotte per riuscire a consegnare il tutto alla data prefissata.

Buona parte della struttura in legno, assieme ad altro materiale tra cui le tavole che rivestono l’esterno dell’edificio per un totale di 7 tonnellate, proviene da un deposito di munizioni dismesso presenti nelle vicinanze, che gli studenti stessi hanno provveduto a smontare per procurarsi la maggior parte del materiale riciclato. Tra gli altri materiali impiegati si annoverano legno proveniente da foreste certificate con il marchio FSC, isolamento termico in schiuma di cellulosa ottenuta da vecchi giornali, elementi in sughero e bamboo considerati rapidamente rinnovabili. Le finiture sono state eseguite con sostanze a basso contenuto di VOC e gli arredi realizzati con materiali privi di formaldeide o elementi riciclati, come i piani di lavoro dell’ufficio e della cucina che impiegano cartone usato.

Edificio pubblico che consuma poco

Un punto essenziale per costruire un qualsiasi edificio realmente ecologico è sapere sfruttare le strategie climatiche passive per ridurre il fabbisogno energetico, secondo la regola che “l’energia più preziosa è quella risparmiata”. In questo caso le aperture dell’edificio sono orientate prevalentemente a Sud ed è stato acquistato buona parte del terreno affacciato su questo fronte confinante al corpo di fabbrica , in modo da assicurarsi dal fatto che nel tempo il soleggiamento venga meno a causa della costruzione di edifici circostanti. L’intero involucro opaco è rivestito da una pelle trasparente composta da 260 lastre di vetro temperato che formano una facciata ventilata in grado di proteggere nel contempo il legno che la riveste e da mantenere l’edificio più caldo durante l’inverno e più fresco durante l’estate in modo passivo. La massa termica è fornita dal solaio del pavimento, una lastra di cemento spessa più di dieci centimetri che è in grado di assorbire e rilasciare con un certo ritardo i raggi del sole che entrano dalla grande apertura finestrata.

Quest’ultima è dotata anche di una pensilina metallica che fornisce l’ombreggiamento necessario durante l’estate, una strategia di raffreddamento che si aggiunge alla ventilazione naturale incrociata e alla presenza del tetto verde coltivato a piante grasse e sedum. Sulla copertura sono stati previsti una serie di lucernari che convergono la luce naturale all’interno dell’edificio e che sono combinati con un adeguato sistema di illuminazione artificiale, in grado di attivarsi automaticamente solo in caso di illuminazione insufficiente o in presenza di persone all’interno del centro. Anche i consumi idrici sono stati razionalizzati, prevedendo una cisterna per la raccolta di acqua piovana da circa 5000 litri che alimenta il sistema di irrigazione del giardino circostante, l’installazione di water a doppia cacciata e la presenza di un sistema di drenaggio riduce l’afflusso dell’acqua piovana nel sistema di fognatura.

La domanda di energia residua viene soddisfatta da un sistema combinato alimentato con fonti rinnovabili in grado di produrre dall’80 al 120% della quantità richiesta. In caso di sovrapproduzione, l’energia viene stoccata in apposite batterie o venduta alla rete in modo da ridurre le spese di gestione. Il sistema di produzione più evidente consiste in tre turbine a vento da 600 Watt ciascuna che svettano a fianco dell’edificio, in grado di produrre complessivamente circa 430 kWh al mese (con una velocità media del vento di circa 5 metri al secondo). In copertura sono stati alloggiati 8 pannelli fotovoltaici da circa 175 W ognuno, in grado di generare 140 kWh di energia elettrica al mese, considerando in media l’80% della luce naturale che arriva per 5 ore al giorno. La produzione di energia di questo impianto può essere costantemente monitorata su una pagina internet ad hoc (http://goo.gl/BnfPq), dove vengono riportati i dati inerenti la produzione di energia giornaliera, settimanale, mensile ed annuale, completi del calcolo dei corrispondenti benefici ambientali ottenuti. Il tutto è completato da un sistema geotermico dotato di tre sonde inserite alla profondità di 60 metri in grado di fornire un fluido ad una temperatura di circa 12° che, ulteriormente riscaldata o raffrescata, provvede a climatizzare l’interno dell’edifico nelle diverse stagioni.

I progettisti: Studio 804

Studio 804 è una associazione no profit composta dagli studenti della Facoltà di Architettura dell’Università del Kansas. Progetta e realizza di architetture contemporanee utilizzando sistemi prefabbricati. L’obiettivo è dare una risposta ai problemi di densità e sostenibilità dell’ambiente costruito utilizzando soluzioni locali inserite nel contesto urbano e ambientale con costi ragionevoli. Ogni lavoro è svolto nel corso dell’ultimo laboratorio di studio e serve a sensibilizzare i ragazzi e a offrire loro strumenti e senso critico, che poi si rivelerà indispensabile nell’esercizio della professione. Gli edifici costruiti dal 1995 sono abitazioni unifamiliari, che dopo l’esperienza del centro di Greensburg si fregiano del certificato LEED platinum.


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L'autore

Beatrice Spirandelli

Divisa tra le professioni di architetto, ricercatrice e giornalista free lance, Beatrice Spirandelli congiunge queste diverse forme di espressione con un filo verde, la passione sostenibilità. Questa passione arriva dalle sue radici in quanto, nonostante viva a Milano, è nata nella campagna veneta e vanta un padre e un nonno falegnami.


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