Tekneco #14 – Clima
Varsavia, l’ultimo appello è da dimenticare
Dalla diciannovesima Conferenza delle Parti - COP19 di Varsavia solo un bicchiere mezzo pieno. Tutto o, o quasi, rimandato tra un anno a Lima
“Articolo a firma di Veronica Caciagli”
Doveva essere una conferenza intermedia nelle negoziazioni internazionali sui cambiamenti climatici e così è stato: nelle due settimane della diciannovesima Conferenza delle Parti (COP19), a Varsavia, i 188 Paesi aderenti all’UNFCCC hanno condotto le trattative sulle politiche per il clima in vista della Conferenza che si terrà a Parigi nel 2015 (COP21), quando si auspica di raggiungere un accordo su un protocollo legalmente vincolante per la riduzione delle emissioni globali di CO2 e altri gas ad effetto serra. Volendo guardare alla parte del bicchiere mezzo pieno, a Varsavia si sono avuti progressi su alcune questioni economiche di importanza primaria rispetto al proseguimento dei negoziati.
Nel nuovo accordo di Parigi, infatti, si dovranno distribuire nel modo (politicamente) più equo possibile gli impegni riguardo ai tagli delle emissioni, tenendo in considerazione la responsabilità storica (ovvero i gas serra cumulati emessi dai Paesi industrializzati) e la classifica delle emissioni annue attuali, che vede capolista la Cina, seguita dagli Stati Uniti.
I Paesi emergenti chiedono, però, che siano i Paesi industrializzati a pagare per i danni del clima: perciò alla COP19 è stato introdotto un nuovo meccanismo economico, denominato “Loss and Damage”. Prevede che i Paesi in via di sviluppo più vulnerabili agli effetti del riscaldamento globale, tra cui le isole-Stato del Pacifico che ormai certamente scompariranno, possano ricevere dei fondi per rimediare ai danni dei cambiamenti climatici ai quali non è possibile far fronte con misure di adattamento.
Varsavia sarà ricordata anche per un altro passo avanti: l’accordo su un pacchetto di norme per il meccanismo REDD+, “Reducing Emissions from Deforestation and Forest Degradation”. Ci sono voluti 8 anni di trattative per arrivare all’approvazione del REDD+, che dovrebbe convogliare, secondo la stima dell’IISD, circa 30 miliardi di dollari di finanziamenti all’anno per proteggere le foreste.
Rimane, però, una fondamentale parte del bicchiere ancora vuota: come vuoto è ancora il Green Climate Fund (GCF), il fondo per il clima istituito nel 2010 nella Conferenza di Cancun. Le piccole offerte di alcuni Stati per il GCF, tra cui i 40 milioni di dollari della Repubblica di Korea e i 72,5 milioni da parte di sette Paesi europei (tra cui non c’è l’Italia), sono stati insufficienti per ricostruire fiducia nel sistema economico-finanziario che dovrebbe essere in grado di fronteggiare i cambiamenti del sistema climatico: sono ben pochi rispetto all’impegno preso a Cancun di mobilitare 100 miliardi di dollari ogni anno entro il 2020.
Infine, la più grande falla di Varsavia riguarda ancora i numeri: non c’è ancora traccia delle previsioni riguardo a obiettivi di riduzione dei gas serra, né della ripartizione tra gli Stati. Perfino la parola “impegni” di riduzione delle emissioni, prevista nel primo testo negoziale, è stata poi trasformata nel più generico “contributi”. Per il prossimo round negoziale dovremmo attendere un anno: la prossima COP20 di Lima.
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