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Ambiente

La crisi non arresta il consumo di suolo

Nel triennio 2009-2012 sono stati cementificati ulteriori 720 km2 di territorio. La colpa non è solo dell’edilizia

Scritto da il 27 marzo 2014 alle 15:01 | 1 commento

La crisi non arresta il consumo di suolo

La sensazione era che la crisi economica avesse in qualche modo rallentato la cementificazione del territorio italiano. I numeri dell’Ispra, invece, suonano come una doccia fredda, che acuiscono ancora di più un problema cronico per il nostro Paese: nel triennio 2009-2012  altri 720 km2 si suolo, 0,3 punti percentuali in più rispetto al 2009, un’area pari alla somma dei comuni di Milano, Firenze, Bologna, Napoli e Palermo, sono stati cementificati.

In termini assoluti, si è passati da poco più di 21.000 km2 del 2009 ai quasi  22.000 km2 del 2012, mentre in percentuale è ormai perso irreversibilmente il 7,3% del nostro territorio.

La cementificazione, insomma, non perde velocità per colpa della crisi, ma continua procedere al ritmo di 8 metri quadri al secondo. La ragione è che la colpa non è solo dell’edilizia: ben oltre la metà del sacrificio di suolo fertile in Italia è servito a costruire strade, autostrade, parcheggi e piazzali, un dato che supera perfino quello dello spazio occupato, nel loro complesso, dagli immobili, residenziali e produttivi.

A livello regionale, Lombardia e Veneto, con oltre il 10%, mantengono il “primato nazionale” della copertura artificiale, mentre Emilia Romagna, Lazio, Campania, Puglia e Sicilia si collocano tutte tra l’8 e il 10%. I Comuni più cementificati d’Italia rimangono Napoli (62,1%), Milano (61,7%), Torino (54,8%), Pescara (53,4%), Monza (48,6%), Bergamo (46,4) e Brescia (44,5).

La trasformazione del suolo agricolo in cemento produce impatti anche sull’acqua e sulla capacità di produzione agricola. Nei 3 anni presi in esame, tenendo presente che un suolo pienamente funzionante immagazzina acqua fino a 3.750 tonnellate per ettaro – circa 400 mm di precipitazioni – per via della conseguente impermeabilizzazione l’Italia ha perso una capacità di ritenzione pari a 270 milioni di tonnellate d’acqua che, non potendo infiltrarsi nel terreno, deve essere gestita. Con conseguenze non solo ambientali ma anche economiche: secondo uno studio del Central Europe Programme, un ettaro di suolo consumato comporta una spesa di 6.500 euro (solo per la parte relativa al mantenimento e la pulizia di canali e fognature), tanto che il costo della gestione dell’acqua non infiltrata in Italia dal 2009 al 2012  è stato stimato intorno ai 500 milioni di euro.

Inoltre, il consumo di suolo produce forti impatti anche sull’agricoltura e quindi sull’alimentazione: se i 70 ettari di suolo perso ogni giorno fossero stati coltivati, nel periodo 2009-2012 si sarebbero prodotti 450.000 tonnellate di cereali, evitando un ulteriore aumento della dipendenza italiana dalle importazioni. Un impegno a cambiare rotta è stato assunto dal ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti: “Difendere il suolo dalle aggressioni indiscriminate – ha commentato il -significa tutelare non solo una risorsa economica strategica, ma anche proteggere il Paese dalla minaccia del dissesto idrogeologico che, proprio a causa dell’uso dissennato del territorio, spesso ha conseguenze gravissime,soprattutto in termini di perdita di vite umane”. 

Legambiente chiede però al Governo di passare immediatamente ai fatti: “È ora di dire basta al consumo di suolo e di iniziare quella strada del cambiamento che si chiama rigenerazione urbana, un nuovo modo di concepire e tutelare il territorio, gli spazi urbani in chiave sostenibile puntando sulla riqualificazione edilizia, energetica e antisismica del patrimonio esistente. La prima scelta indispensabile da fare è quella di abolire la legge Obiettivo con il suo infinito elenco di strade e autostrade,  perché le ‘grandi opere’ che servono all’Italia sono già nelle città e nella mobilità su ferro”, ha commentato Damiano Di Simine, responsabile suolo di Legambiente.


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L'autore

Gianluigi Torchiani

Giornalista classe 1981, cagliaritano doc ormai trapiantato a Milano dal 2006. Da diversi anni si interessa del mondo dell’energia e dell'ambiente, con un particolare focus sulle fonti rinnovabili


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