Biodiversità
Animali più piccoli a causa dei cambiamenti climatici
Lo afferma uno studio sulla taglia dei camosci alpini. Se diventassero più piccoli anche gli animali da allevamento, calerebbe la produzione di cibo
I cambiamenti climatici potrebbero, a lungo tempo, influenzare negativamente la crescita degli animali allevati per produrre carne o latte. Lo ha dichiarato Stephen Willis, uno dei ricercatori del team – composto da Tom Mason e Philip Stephens della School of Biological and Biomedical Sciences della Durham University, e Marco Apollonio e Roberta Chirichella del dipartimento Scienze della natura e del territorio dell’Università di Sassari – che ha condotto lo studio “Environmental change and long-term body mass declines in an alpine mammal”, pubblicato su Frontier in Zoology.
La ricerca ha indagato sugli effetti a lungo termine dei cali della massa corporea nei giovani di camoscio alpino (Rupicapra rupicapra) in tre popolazioni confinanti delle Alpi italiane, scoprendo che oggi pesano in media il 25 per cento in meno rispetto agli animali della stessa età di 30 anni fa; nello stesso periodo, le temperature nella regione sono aumentate dai 3 ai 4 gradi centigradi. Secondo il team italo-britannico, esiste «una forte evidenza che l’aumento della densità di popolazione e il riscaldamento le temperature durante la primavera e l’estate sono legati ai cali della massa». Nessuna prova, invece, che i tempi o la produttività delle risorse siano state modificate durante questo periodo.
La spiegazione del fenomeno sembra risieda nelle abitudini di questi animali, che quando fa caldo trascorrono più tempo a riposo, e quindi mangiano meno; è anche possibile che la minore alimentazione sia legata all’aumento di densità della popolazione degli ultimi decenni, in cui è stato istituito il divieto di caccia a questa specie. Non è ancora chiaro quali effetti possa avere il cambiamento climatico sulla popolazione dei camosci, ma è possibile che possa comprometterne la sopravvivenza. Per quanto il calo di dimensioni possa aiutare i camosci a resistere alle temperature elevate, d’altro canto potrebbe renderli più vulnerabili ai rigori invernali.
«Lo studio condotto sui camosci potrebbe avere delle implicazioni anche sulle specie domestiche. Se il cambiamento climatico produce gli stessi effetti sul bestiame – ha sottolineato Willis –, ciò avrà delle ripercussioni sulla produttività agricola dei prossimi decenni: animali che mangiano meno equivalgono a meno carne sul mercato».
Non è la prima volta che i cambiamenti climatici vengono messi in relazione a mutamenti di taglia di animali e piante. La ricerca dei biologi David Bickf e Jennifer Sheridan, pubblicata a ottobre 2011 su Nature Climate Change, ha dimostrato questo legame partendo dallo studio dei fossili e confrontando i dati ottenuti con analisi sugli esemplari del giorno d’oggi: esaminando 85 specie di piante e animali, hanno scoperto che circa il 55% delle specie ha subìto variazioni dimensionali negli ultimi decenni, e di questi l’80% si è rimpicciolito, mentre il 20% ha mostrato un aumento delle dimensioni medie. Queste mutazioni potrebbero avere ripercussioni sull’adattamento delle specie animali ai cambiamenti climatici, anche in relazione ad un possibile aumento delle dimensioni delle prede. E anche questo studio aveva lanciato un allarme per la sicurezza alimentare: una riduzione media della taglia dei pesci, ad esempio, potrebbe alterare la catena alimentare marina, oltre che far calare drasticamente la disponibilità di pescato.
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L'autore
Stefania Marra
Stefania Marra, giornalista professionista dal 1994, è stata per circa dieci anni caporedattrice della rivista Modus vivendi. Dal 2005 gestisce il modulo pratico di giornalismo al Master di comunicazione ambientale (CTS/Facoltà di Scienze delle comunicazioni Università La Sapienza). Scrive soprattutto di storia sociale dell'alimentazione e di ambiente, settore per il quale ha ricevuto diversi premi giornalistici.
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