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Tekneco #14 – Internazionalizzazione

Le rinnovabili italiane traslocano all’estero

Per le imprese italiane del settore l’Italia non conviene più. Calo degli incentivi e complicazioni normative stanno spingendo i produttori a nuove strategie di business

Scritto da il 18 febbraio 2014 alle 8:30 | 0 commenti

Le rinnovabili italiane traslocano all’estero

Leggendo i comunicati ufficiali diffusi negli ultimi tempi dai maggiori operatori nazionali delle rinnovabili, ormai si può fare un vero e proprio giro del mondo: Usa, Cile, Sudafrica, Brasile, Cina, India e Australia, sono tra i nomi di Paesi più citati dalle aziende nostrane, che ormai dedicano una parte preponderante dei propri investimenti a questi Paesi.

E l’Italia? Gli annunci che riguardano nuovi impianti nel nostro Paese sono sempre più rari e non è difficile capire il perché. Dopo la profonda crescita del periodo 2008-2011, il mercato nazionale è profondamente cambiato o, per essere più espliciti, si è ridimensionato, soprattutto in conseguenza del netto calo del livello di incentivazione.

Il Conto energia per il fotovoltaico è infatti definitivamente terminato nel luglio 2013 e i nuovi impianti possono contare (e soltanto sino ai 20 kW di potenza) su un sistema di detrazioni fiscali. Vero è che un meccanismo di incentivi è ancora presente per eolico e biomasse, ma la loro effettiva erogazione è resa incerta dal complicato sistema di aste e incentivi in vigore dall’inizio del 2013. Solo nella geotermia, forse, si assiste a un dinamismo dal lato progettuale, ma i tempi tecnici e la burocrazia non hanno certo portato ultimamente a un boom di nuove installazioni. Oltre alla stretta sugli incentivi, anche alcune novità normative hanno ridotto l’appeal nazionale per le fonti pulite.

Le imprese del settore, infatti, si sono progressivamente trovate a sostenere una serie di oneri che originariamente non erano previsti nei piani industriali. Ad esempio, per fronteggiare le problematicità poste dalla massiccia penetrazione delle rinnovabili intermittenti, dall’inizio del 2013 i proprietari degli impianti sono tenuti a pagare i cosiddetti “costi di sbilanciamento”.

Oppure gli oneri Gse, introdotti anch’essi all’inizio dello scorso anno, che ammontano a 0,05 centesimi di euro per ogni kWh di energia pulita prodotta. Senza dimenticare la Robin Tax, l’imposta addizionale sul reddito delle società, che è dovuta anche dalle imprese che producono energia da fonti pulite con ricavi sotto i 3 milioni di euro e reddito imponibile sopra i 300.000 euro. Il risultato finale è che in Italia, ma in realtà un po’ in tutta l’Ue (poiché gli incentivi sono stati ridotti quasi ovunque), è finito il tempo in cui qualunque società, magari anche senza le migliori competenze possibili, poteva entrare nel settore conseguendo cospicui utili.

Dunque, già da diversi anni, i principali player delle energie verdi hanno dovuto mettere in atto una serie di strategie per fare fronte ai cambiamenti del mercato nazionale e continentale. Un recente rapporto Oir-Agici ha individuato cinque diverse linee di tendenza: internazionalizzazione, sviluppo della generazione distribuita, estensione dell’offerta commerciale, efficienza nella gestione, alleanze e aggregazioni.

L’attenzione ai mercati esteri è senza dubbio l’aspetto più immediatamente percepibile della nuova politica degli operatori italiani: gli investimenti, in particolare, si dirigono in Paesi emergenti in fase di crescita economica, caratterizzati da una domanda di energia in crescita e da iter burocratici, di norma, più snelli e soprattutto più chiari rispetto al caso italiano, senza dimenticare altre condizioni favorevoli come il costo più basso della manodopera e dei componenti.

Emblematico è il caso di Enel Green Power, di gran lunga il campione nazionale nel settore delle energie verdi, che ha in programma l’installazione di oltre 4 GW di nuovi impianti entro il 2017. Di questi, però, soltanto il 19% saranno installati in Italia, tutto il resto in America del Nord e nei Paesi emergenti. Ma strategie simili, ormai, riguardano anche le altre aziende del comparto, tra cui Falck Renewables, Erg, TerniEnergia, ecc.

Altra strada è, appunto, lo sviluppo della generazione distribuita, che consiste cioè nell’installazione di impianti di piccola taglia per conto terzi, spesso semplici privati. C’è da rilevare che questo approccio non è naturale per i grandi produttori da fonti rinnovabili, storicamente focalizzati sulle grandi centrali, ma è quasi obbligato se si vuole continuare a presidiare il mercato italiano, in cui l’unico segmento in crescita è quello residenziale. Si è perciò diffusa l’offerta di servizi che vanno dal sopralluogo, all’installazione, al reperimento del finanziamento, all’assistenza nella gestione delle pratiche, spesso con formule chiavi in mano o in comodato d’uso.

Per estensione dell’offerta commerciale, invece, si intendono fondamentalmente due tipi di servizi: attività di O&M per conto terzi, oppure la fornitura di beni e servizi post contatore. L’Operations & Maintenance riguarda la gestione e manutenzione, ordinaria e correttiva, di impianti da fonti pulite posseduti da soggetti terzi. I servizi post contatore presuppongono, invece, una pluralità di interventi rivolti al consumatore finale: audit energetici, vendita di prodotti energy saving, servizi assicurativi.

Entrambe queste strategie, però, al momento risultano poco praticate dagli attori italiani delle rinnovabili, anche perché presuppongono un notevole radicamento nel territorio. Una parte dei margini perduti può arrivare anche da una migliore efficienza nella gestione aziendale, che passa, ovviamente, per tantissime soluzioni (migliore selezione e formazione delle risorse umane, più spazio alla ricerca e sviluppo, interventi di asset management, ecc).

La quinta possibilità suggerita dallo studio Oir-Agici è anche la più difficile da applicare al contesto italiano: Enel Green Power, di fatto, è l’unica realtà nazionale con un peso paragonabile a quello dei grandi operatori internazionali delle fonti pulite. Tra l’altro è chiaro che, per operare con successo sui mercati esteri, occorrerebbe avere alle spalle una società di dimensioni importanti. Eppure, per una caratteristica quasi intrinseca del capitalismo italiano, spesso di origine familiare, è raro assistere a fusioni, aggregazioni o anche a semplici alleanze. Ma la crescente competizione sul mercato globale delle rinnovabili è destinata, prima o poi, a imporre scelte di questo tipo anche nel nostro Paese.

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L'autore

Gianluigi Torchiani

Giornalista classe 1981, cagliaritano doc ormai trapiantato a Milano dal 2006. Da diversi anni si interessa del mondo dell’energia e dell'ambiente, con un particolare focus sulle fonti rinnovabili


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