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L’anello debole della manifattura italiana | Tekneco

Tekneco #15 - Filiera

L’anello debole della manifattura italiana

Il compromesso sui dazi non risolleva l’industria italiana. Il presidente del Comitato Ifi, Alessandro Cremonesi, auspica il varo di misure più incisive da parte di Bruxelles

Scritto da il 27 giugno 2014 alle 7:30 | 0 commenti

L’anello debole della manifattura italiana

L’esistenza di pratiche commerciali scorrette messe in atto dalle aziende cinesi per conquistare il mercato europeo del fotovoltaico è ormai stata accertata dall’Unione europea da diversi mesi. Come noto, dopo una prima fase di contrapposizione frontale con Pechino, nell’estate del 2013 Bruxelles ha optato per un compromesso, il cosiddetto accordo sui prezzi minimi, che di fatto ha imposto un valore certo ai pannelli importati dalla Repubblica popolare. Secondo l’analisi comune, questa intesa ha favorito la stabilizzazione dei prezzi dei pannelli fotovoltaici. Come, però, racconta a Tekneco Alessandro Cremonesi, presidente del Comitato Ifi (Industrie fotovoltaiche italiane), l’associazione di rappresentanza dell’industria del solare italiana, non è semplice valutare l’impatto di queste misure sul mercato nazionale. “In realtà è difficile considerare da sole le misure antidumping, al netto di altre variabili determinanti, quali la crescita o meno del mercato e quindi la minor o maggior pressione della domanda sull’offerta. Ad oggi, il mercato risente molto della fine degli incentivi e quindi procede molto a rilento. In aggiunta, le misure di detrazione fiscale solo sulle persone fisiche sono tese a un mercato domestico e non industriale. Questo ha fatto sì che molte delle aziende cinesi che erano interessate all’Italia per lo sviluppo di impianti di larga scala abbiano cambiato orizzonti, rivolgendosi a mercati extra-europei più appetibili per la loro dimensione di business”. Logico, dunque, che la filiera del settore sia ancora in sofferenza, nonostante il compromesso antidumping. Secondo il presidente del Comitato Ifi, l’industria è sicuramente l’anello più debole, con margini al minimo e pesanti situazioni finanziarie, anche per effetto dei vari stop and go delle normative succedutesi nel tempo. Questo ha comportato una netta riduzione della base manifatturiera nazionale del solare, tanto che, nel solo ultimo anno, almeno sei industrie sono state poste in liquidazione o in misure di concordato. Insomma, anche se probabilmente ci sono un po’ meno moduli cinesi in circolazione sul mercato nazionale, le imprese industriali non hanno troppo di che gioire, considerato che le commercializzazioni di pannelli non sono andate oltre gli 1,5 GW nel 2013, contro almeno il doppio dell’anno precedente. Una speranza cullata dall’Ifi e dal resto dell’industria europea è che il fragile compromesso raggiunto tra Bruxelles e Pechino vada in frantumi, con il varo di sanzioni antidumping più dure rispetto ad oggi: “È aperto un ricorso presso la Corte di Giustizia europea da parte di alcune manifatture europee contro la Commissione Ue e i suoi modi arbitrari di accettazione dell’accordo con i cinesi e di determinazione del prezzo soglia. Cosa che non ha eliminato alcun pregiudizio all’industria, ove invece espressamente previsto dal Regolamento del Consiglio Ue, quando si interviene in materia di antidumping”, spiega Cremonesi. L’Ifi non teme che l’adozione di misure più dure possa bloccare la corsa del fotovoltaico verso la piena competitività con le fonti fossili: “Il concetto di grid parity, come si è detto più volte, non è semplicisticamente il prezzo a watt equivalente acquistato dal mercato tra fonti alternative diverse; comprende anche costi di smantellamento e di inquinamento ambientale. La grid parity è sicuramente ottenibile, soprattutto se nel corso del tempo si inciderà sulle tecnologie di accumulo, riducendone i prezzi e rendendola competitiva sul mercato. Quello sarà il momento in cui anche l’operatore domestico potrà rendersi totalmente autonomo dalla rete e, quindi, avere un prezzo fisso dell’energia per sempre, senza dover rimanere ancorato alla volatilità dei prezzi del petrolio o del gas”.

COMMERCIO

Tra Usa e Cina resta alta la tensione sul solare
Un aspetto positivo del compromesso raggiunto tra Bruxelles e Pechino riguarda senza dubbio la fine delle tensioni commerciali tra i due, che rischiava di estendersi pericolosamente anche ad altri campi estranei al fotovoltaico. Il livello di scontro, invece, resta pericolosamente alto tra Cina e Usa, poiché quest’ultima non ha certo rinunciato ai dazi antidumping varati nel maggio del 2012 per proteggere l’industria del solare a stelle e strisce. Anzi: lo scorso 23 gennaio, il Dipartimento del commercio americano, su pressione della lobby industriale americana del solare, ha annunciato l’apertura di ulteriori dazi antidumping sull’importazione di alcuni prodotti fotovoltaici (non interamente assemblati) in silicio cristallino dalla Repubblica popolare cinese e Taiwan, nonché la contemporanea introduzione di un dazio compensativo. Le industrie americane, in questo modo, sperano di evitare e punire il classico comportamento anti misure restrittive: pannelli costruiti quasi del tutto in Cina, ma poi assemblati e rimarchiati sul suolo americano, così da scampare ai dazi. La risposta dall’altra parte del Pacifico non si è fatta attendere: pochi giorni dopo, infatti, la Cina ha annunciato l’introduzione di dazi del 57% sull’importazione di polisilicio statunitense, con impatto negativo su aziende del calibro di AE Polysilicon Corp e REC Solar Grade Silicon. Una decisione che ha comportato l’insurrezione della lobby del solare americana, che parla esplicitamente di rappresaglia per la politica “protezionista” di Washington, effettuata attraverso una procedura arbitraria e sommaria. C’è da rilevare, però, come questo ultimo capitolo abbia dato voce a chi, negli Usa, spera nella fine della guerra commerciale. La filiera degli installatori, in particolare, teme che la battaglia tra i due Paesi possa compromettere lo sviluppo del fotovoltaico americano, innescando, magari, tensioni sui prezzi. Come spiega la Seia, la Solar Energy industry association, se è vero che negli States esistono circa 30.000 posti di lavoro legati alla realizzazione industriale dei pannelli, ce ne sono almeno altri 90.000 legati alle altre fasi (distribuzione, installazione, ecc), che sono legati alla crescita continua delle installazioni. Una crescita che, rileva opportunamente la Seia, è stata principalmente favorita dalla caduta del prezzo dei moduli fotovoltaici degli scorsi anni, a sua volta innescata dall’aggressiva concorrenza cinese. Insomma, non è escluso che, per ragioni di convenienza economica, prima o poi la pace nel solare possa esplodere persino tra Usa e Cina.

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L'autore

Gianluigi Torchiani

Giornalista classe 1981, cagliaritano doc ormai trapiantato a Milano dal 2006. Da diversi anni si interessa del mondo dell’energia e dell'ambiente, con un particolare focus sulle fonti rinnovabili


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