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La chimica verde per aiutare le rinnovabili | Tekneco

Sviluppo sostenibile

La chimica verde per aiutare le rinnovabili

Biocarburanti, eolico, solare, biomasse si sviluppano grazie a una scienza che in passato è stata spesso criticata e che oggi, invece, è strategica

Scritto da il 26 novembre 2012 alle 8:30 | 0 commenti

La chimica verde per aiutare le rinnovabili

Photo: Carolina Biological Supply Company, Flickr


Arundo donax. È il nome latino della canna comune, una pianta che passa per lo più inosservata, presente per lo più vicino ai fossi. Bene, per questa pianta finora trascurata si prefigura un ruolo di assoluta protagonista nei destini energetici mondiali. Come? Grazie a un procedimento mediante cui viene utilizzata per generare biocarburanti di seconda generazione.

Tutta questa “magia” è stata possibile grazie alla chimica. Proprio così, quella scienza troppo spesso considerata “inquinante e ambientalmente incompatibile”, che invece da tempo ha un ruolo strategico per un mondo davvero sostenibile ed ecocompatibile.

La chimica, da “pecora nera” a green

Partiamo allora dal comparto della chimica. Solo in Italia (dati Federchimica) si stima siano quasi tremila le imprese del settore con un valore della produzione prossimo ai 53 miliardi di euro e con circa 115 mila addetti. Considerando anche l’occupazione indiretta, in Italia i posti di lavoro che dipendono dalla chimica sono quasi 350 mila.

Non solo: secondo quanto rileva Vittorio Maglia, di Federchimica, «L’industria chimica ha una caratteristica unica, quella di essere un’industria che ha una scienza, quella chimica, con il suo stesso nome e che ne determina la caratteristica di “industria basata sulla scienza”. Questa affermazione non è banale, ma ha determinato e determina la spinta innovativa del settore e il legame forte che lo stesso deve avere con il mondo scientifico». Prova ne è che nel nostro Paese la chimica conta su circa 1200 imprese innovative, di cui oltre 800 attive nella ricerca: in Europa siamo secondi solo alla Germania.

Certo, è un settore energivoro, quindi, legato ai combustibili fossili. Ma il suo sviluppo va di pari passo con la possibilità di ridurre sempre più l’impronta inquinante, creando nuovi combustibili, sempre più rispettosi dell’ambiente, nonché partecipando attivamente allo sviluppo di fonti rinnovabili che non siano solo i biocarburanti ma anche l’energia eolica, solare, geotermica e così via.

A partire dagli anni Novanta si è fatto spazio nella comunità scientifica mondiale il termine di green chemistry, un termine che identifica una concezione di una chimica che si basi su principi (dodici, per la precisione) che comprendono il divieto di progettare prodotti pericolosi, di puntare sull’efficienza energetica, ma soprattutto la chimica verde è una concezione filosofica ben consapevole che le scorte dei combustibili fossili siano in via di estinzione e che, quindi, sia necessario ridurne il più possibile il loro contributo e rimpiazzarli con alternative “pulite” e rinnovabili.

Il ruolo della chimica nelle energie rinnovabili

Come accennato, la chimica è impegnata in ogni branca delle fonti rinnovabili. Come rileva Secondo Andrea Lulli, deputato del Pd e membro della Commissione attività produttive della Camera, a proposito di chimica verde ha scritto: «La ricerca chimica riveste un ruolo fondamentale nello sviluppo di tecnologie basate su fonti energetiche rinnovabili, quali il sole, il vento, le risorse idriche, le risorse geotermiche, le maree, il moto ondoso, sull’impiego di vettori energetici innovativi (es. idrogeno, metanolo, ecc.) e sull’estrazione di energia dai prodotti vegetali (biomasse) o dei rifiuti organici».

Tradotto in pratica, sempre prendendo spunto da dati Federchimica, vediamo qualche esempio di questa applicazione, attraverso la produzione di composti specifici. Cominciamo col polietilene ad alta densità (Pead): è un composto chimico grazie al quale è possibile realizzare tubi dentro i quali viene trasportato il biogas. Degni di nota sono certamente i nitrati di sodio e di potassio, che rendono possibile la creazione dei sali fusi, elementi indispensabili per gli impianti solari termodinamici.

E non si possono certo trascurare i nanotubi in carbonio, grazie ai quali è possibile realizzare pale eoliche che fanno proprie caratteristiche basilari quali la leggerezza e migliori performance. Non solo: i nanotubi di carbonio, per via delle loro peculiari proprietà elettriche, sono oggetto di studi per la creazione delle celle fotovoltaiche del futuro. E ancora: particolari pellicole polimeriche trovano impiego per la conversione dell’energia solare in elettrica, come pure membrane elettrolitiche polimeriche sono utilizzate per la realizzazione delle celle combustibili. Un elenco decisamente corposo.

I biocarburanti, chiave della mobilità sostenibile

Tra tutti gli impieghi della chimica verde un ruolo particolarmente importante è però quello che gioca nella realizzazione dei biocarburanti.

Il settore dei trasporti, da quello su strada a quello navale e aeronautico, è energivoro: incide pesantemente sulla richiesta di carburanti ma soprattutto sulla produzione di emissioni inquinanti. Ecco che poter contare su alternative quanto più “pulite” ed ecosostenibili diventa un fattore strategico tanto che la Commissione Europea intenderebbe fissare un obiettivo minimo di produzione di biocarburanti del 10% entro il 2020. Altre realtà si sono poste obiettivi ancora più impegnativi, come dimostra la Marina Usa, che punta alla immissione del 50% di biocarburanti nei serbatoi delle proprie navi sempre entro il 2020. Ecco allora che alternative più ecologiche (e più economiche) dei carburanti di origine fossile diventano un fattore di business di straordinario valore.

Il problema emerso, però, è che gli stessi biocarburanti possono avere un impatto non indifferente: si tratta dell’utilizzo di mais o di altri coltivazioni che sono impiegate (tuttora) nella produzione per uso alimentare.

Da qui la ricerca ha lavorato per trovare soluzioni eco-friendly che convergono principalmente su due fonti: scarti di produzione agricola o fonti alternative e rinnovabili quali alghe e specie non commestibili come la canna comune.

Nel primo caso, gli interessi di colossi come Bp o Exxon sono noti, a evidenziare come il mercato sia in fermento: secondo un rapporto della società consulenza Sbi Energy, il comparto dei biocarburanti da alghe registrerà una crescita annuale del 43% e il volume d’affari passerà dai 271 milioni di dollari del 2010 a 1,6 miliardi di dollari.

Il caso di Mossi & Ghisolfi…

Tuttavia, è sulla canna comune che un colosso italiano come il gruppo Mossi & Ghisolfi è disposto a investire e non poco: stiamo parlando di un gruppo leader nel comparto chimico,tra i maggiori produttori di PET al mondo, con cui si costruiscono le bottiglie di plastica totalmente riciclabili.

Il gruppo ha puntato su una politica fatta sia di joint venture sia di realizzazioni in proprio: nel primo caso va segnalata, per esempio, la joint venture Beta Renewables, insieme al fondo d’investimenti americano Tpg, finalizzata alla vendita della tecnologia Proesa, specializzata nei biocarburanti derivati da biomassa non alimentare ottenuta dagli scarti delle coltivazioni di mais e dalla vegetazione dei terreni marginali.

Nel secondo caso ha costruito l’impianto IBP (Italian Bio Products), che entro l’anno produrrà, primo nel mondo, bioetanolo di seconda generazione. La bioraffineria di Crescentino (Vercelli) avrà una capacità produttiva di 40.000 tonnellate annue di bioetanolo, realizzato a partire da biomasse ligno-cellulosiche disponibili in filiera locale (nel raggio di 40 chilometri) e non destinate al consumo alimentare. Un progetto su cui Mossi&Ghisolfi ha investito 120 milioni di euro e che è frutto di un progetto di ricerca durato cinque anni.

E ci ricolleghiamo così alla Arundo donax, la canna comune, materia prima fulcro della ricerca del gruppo definita da Giuseppe Fano, direttore corporate del Gruppo M&G, «coltura ideale da cui ottenere cellulosa ed emicellulosa per la produzione di etanolo di seconda generazione. Attraverso il processo messo a punto da Chemtex Italia (società del gruppo) le rese in etanolo ottenute convertendo biomassa di Arundo sono elevatissime, con un rapporto etanolo/biomassa anidra di 1:4».

Non solo: sempre secondo quanto illustrato da Fano, «la canna comune è facilmente coltivabile, non richiede attrezzatura specifica da parte dell’azienda agricola e, soprattutto, è ammissibile all’abbinamento dei titoli e, di conseguenza, al Regime di pagamento unico. In seguito ai regolamenti comunitari sull’obbligo alla miscelazione per la prima volta in Italia viene a crearsi la condizione per l’implementazione di un sistema integrato di filiera, per un modello agro energetico sostenibile».

Credendo fermamente nelle potenzialità del biocarburante 2G, il gruppo ha annunciato l’intenzione di costruire in Brasile un innovativo impianto che entrerà in funzione, entro il 2013, prevedendo una capacità produttiva di 65.000 tonnellate l’anno di bioetanolo, e utilizzerà gli scarti della lavorazione della canna da zucchero reperiti localmente.

… e il ruolo dell’Italia

Mossi & Ghisolfi è la punta di diamante di una realtà, quella italiana, capace di numeri di assoluto rilievo nel settore: ricorda infatti Federchimica che il nostro Paese, in Unione europea, è posizionato nei primi posti per know-how e capacità industriale nel settore petrolifero e dei biocarburanti: per capacità di raffinazione primaria, per capacità produttiva di biodiesel e quarto per capacità produttiva di eteri.

E poi si devono segnalare i diversi poli dedicati alla chimica verde che stanno nascendo o si stanno riconvertendo “in tinta green” un po’ in tutta la Penisola: è il caso, per esempio, del polo della chimica verde di Porto Torres, annunciato come il più grande d’Europa nella categoria; in Veneto si prevede le riconversioni dei poli chimici Porto Marghera (in cui prenderanno vita diverse attività anche in tema di biocombustibili e biocarburanti evoluti e di cui si è parlato nello scorso numero di Tekneco) e in Umbria di Terni, in cui sorge un’importante bioraffineria, ad opera di Novamont.

Infine, l’Italia si conferma anche un mercato attraente, come comprova la recente acquisizione da parte del colosso tedesco Basf della società B.C. Foam di Volpiano (Torino), in particolare del ramo d’azienda che produce schiume di PET, utilizzata prevalentemente perla creazione di pannelli che riempiono le pale dei mulini eolici. Tanto per confermare che chimica e rinnovabili posso andare perfettamente d’accordo.

Una nuova sostenibilità

La chimica impegnata per l’ambiente

Il ruolo ecosostenibile svolto dalla chimica si declina in diversi modi: innanzitutto nel risparmio energetico, considerato per la sua importanza alla stregua di una fonte energetica, tanto che negli obiettivi 20/20/20 dell’Unione europea uno dei punti cardine è quello di un risparmio energetico del 20% entro il 2020. Non solo: l’efficienza energetica, recita l’Ue, è il mezzo che offre il miglior rapporto costi/efficacia per ridurre le emissioni.

La chimica, anche in questo caso, fa il suo dovere: secondo il report “Innovations for GreenHouse Gas Reduction” a cura di McKinsey & Company si dice chiaramente che «L’analisi del ciclo di vita della CO2, dimostra che l’industria chimica rende possibili significative riduzioni nette nelle emissioni di GHGs, e che quindi l’utilizzo dei propri prodotti permette di ridurre più emissioni di quelle connesse ai processi produttivi».

Rileva Federchimica come «dal confronto dei dati Ispra 2010, in meno di 20 anni (1990-2008) la chimica ha dimezzato le sue emissioni di anidride carbonica, raggiungendo e superando sia gli obiettivi sulle emissioni di gas serra fissati dal Protocollo di Kyoto per il 2012, sia quelli indicati dall’Ue per il 2020». Non solo: «Oltre ad abbattere le proprie emissioni, la chimica consente di ridurre le emissioni dei settori utilizzatori.

A livello italiano, a fronte di emissioni di gas serra pari a 26,1 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, l’uso di prodotti chimici (in sostituzione di tecnologie alternative) evita emissioni per circa 68,1 milioni di tonnellate all’anno. Questo risparmio deriva dall’utilizzo di prodotti chimici nell’agricoltura (fertilizzanti e agrofarmaci), nell’edilizia (isolamento termico e illuminazione) e in altri svariati ambiti (imballaggi, detergenza, autoveicoli, ecc.).»

Sempre grazie alla chimica sono stati introdotti prodotti grazie ai quali c’è un enorme abbattimento di inquinanti: si pensi ai bioshopper biodegradabili in sostituzione delle borse di plastica, ma anche le vernici naturali, i solventi ecologici, i fitofarmaci naturali, i composti e le fibre vegetali… l’elenco è lungo a dimostrare una sempre maggiore attenzione della chimica per l’ambiente.


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L'autore

Andrea Ballocchi

Andrea Ballocchi, giornalista e redattore free lance. Collabora con diversi siti dedicati a energie rinnovabili e tradizionali e all'ambiente. Lavora inoltre come copywriter e si occupa di redazione nel settore librario. Vive in provincia di Milano.


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