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Fotovoltaico, il caos normativo complica gli investimenti
La recente circolare interpretativa dell’Agenzia delle entrate sul carattere fiscale degli impianti complica il quadro anziché semplificarlo
Le complessità normative a cui sono sottoposti nel nostro Paese famiglie e imprenditori che decidono di investire nelle energie rinnovabili sono ben esemplificate dal caso delle regole per identificare la natura “fiscale” del fotovoltaico, come ha spiegato recentemente Angelo Parisi, in un’analisi condotta per conto del Cetri-Tires, di cui è componente del tavolo tecnico.
La domanda è se gli impianti solari debbano essere considerati o meno come beni immobili. Per cercare di dare una risposta a questa domanda secca l’Agenzia delle entrate è stata capace di sfornare un documento monstre di ben 66 pagine, la circolare 36/E del 19 dicembre 2013, che chiarisce ben poco e, anzi, confonde di più le idee rispetto a prima.
Innanzitutto, in un linguaggio a dir poco criptico si fa notare il carattere di “immobilità” degli impianti fotovoltaici: “non rileva esclusivamente la facile amovibilità delle componenti degli impianti fotovoltaici, né la circostanza che tali impianti possano essere posizionati in altro luogo mantenendo inalterata la loro originale funzionalità e senza antieconomici interventi di adattamento”.
In realtà, però, in un successivo passaggio si sostiene che l’obbligo di accatastamento sarebbe legato “al rapporto di tali componenti con la capacità ordinaria dell’unità immobiliare a cui appartengono di produrre un reddito temporalmente rilevante”.
Ma quando sussiste l’obbligo della “menzione nella dichiarazione in catasto”? Difficile trarre delle conclusioni definitive sulla base delle contraddittorie frasi della circolare: alla fine, come spesso capita nel nostro Paese, la decisione finale sarà molto probabilmente assunta con discrezionalità dai singoli funzionari dell’Agenzia delle Entrate. Una decisione che, oltre a effetti catastali, produce ben più importanti effetti fiscali, in particolare in materia di imposte dirette.
I titolari di attività di impresa, i lavoratori autonomi e le associazioni professionali possono dedurre il costo sostenuto per l’acquisto dei beni strumentali impiegati nell’ambito dell’attività, ammortizzandolo nel corso di più anni. Fino ad ora l’Agenzia delle Entrate aveva sostenuto che gli impianti fotovoltaici impiegati nell’ambito dell’attività fossero considerati dei beni mobili strumentali e che, dunque, bisognasse applicare una aliquota di ammortamento pari al 9%, analogamente a quanto stabilito per la voce “centrali termoelettriche (esclusi i fabbricati)”, ammortizzando il costo così in 11 anni.
Quando, però, l’impianto fotovoltaico deve essere menzionato in catasto si trasforma in bene immobile, dovrà applicarsi una aliquota di ammortamento del 4% annuo, pari a quella prevista per la voce “Fabbricati destinati all’industria”. In questo modo il costo sarà ammortizzato in ben 25 anni, un periodo che rischia di rivelarsi troppo lungo. Sulla modifica di questa circolare le associazioni delle rinnovabili, tra cui Msa (Movimento per lo Sviluppo delle energie Alternative) stanno perciò da tempo dando battaglia.
Al di là di come andrà a finire, il caso dimostra come dietro la nebulosità delle normative nazionali, spesso ci siano delle decisioni che possono cambiare in modo significativo l’opportunità dell’investimento e, alla fine, anche il destino delle rinnovabili nazionali.
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L'autore
Gianluigi Torchiani
Giornalista classe 1981, cagliaritano doc ormai trapiantato a Milano dal 2006. Da diversi anni si interessa del mondo dell’energia e dell'ambiente, con un particolare focus sulle fonti rinnovabili
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