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I certificati verdi, un danno per il sistema?

I certificati verdi hanno portato ad una incentivazione superiore al necessario: se non rivisti, entro 10 anni le bollette aumenteranno del 20%. Il parere dell'esperto tariffe

Scritto da il 16 novembre 2010 alle 9:09 | 2 Commenti


I dati di settembre e ottobre indicano in aumento la produzione da fonti rinnovabili: gli impianti idroelettrici fanno segnare un +8% mentre continua a crescere il fotovoltaico spinto finora da false attese sulle proroghe degli incentivi. Un mercato che si sta espandendo oltre le proprie possibilità naturali per colpa di sussidi troppi generosi destinati alle fonti pulite.

Sotto accusa finisono proprio i certificati verdi: il mercato delle agevolazioni cresce esponenzialmente ma, nel contempo, si pongono seri ed importanti interrogativi sulla quantita emettibile nel sistema. Ad oggi, infatti, il piano predisposto per supportare le energie verdi soffre della mancanza di una chiara prospettiva di sviluppo nel suo complesso e di una regolamentazione efficace per gli investimenti dei prossimi 15-30 anni.

La situazione italiana non è impostata con troppo rigore: la liberalizzazione e le imposizioni iniziali hanno condotto ad un sistema ibrido in minima parte affidato al mercato. Le varie modifiche, anche dell’articolo 45 e le precedenti abrogazioni nelle manovre del 2009, lasciano ancora incertezza sul futuro dei certificati, che devono scontrarsi con un onere troppo gravoso per il GSE da una parte e con una volontà di ritorno al nucleare dall’altra.

L’ultima normativa per il ritiro, da parte del Gse, dei certificati verdi stabilisce che ne sia possibile il riacquisto in misura non superiore al 30% rispetto alle competenze del 2010. Si iniziano quindi a regolare anche le quantità in eccesso, un problema rilevante riscontrato sul mercato che può intaccarne anche il valore a lungo periodo.

Inoltre, come sottolinea l’AEEG nell’indagine conoscitiva sulla strategia energetica nazionale, il meccanismo dei CV, nonostante avesse l’obiettivo di sfruttare le regole di mercato al fine di rendere più efficiente l’allocazione delle incentivazioni per le fonti rinnovabili, è stato alterato dalle numerosi disposizioni che ne hanno modificato sostanzialmente il funzionamento.

L’onere complessivo del programma di incentivazione, in parte a carico dei clienti e in parte del GSE, è cresciuto esponenzialmente nel 2009 a causa dell’eccesso di offerta (indotta dalla distorsione dei meccanismi). L’AEEG mostra nei fatti come l’incentivazione media sia pari a quasi 100 €/MWh, cui va sommato il ricavo per la vendita dell’energia, mediamente pari a 70 €/MWh. Si tratta di un livello di incentivazione oggettivamente molto superiore a quello necessario per consentire la realizzazione delle principali fonti rinnovabili.

Per il 2011, sebbene l’articolo 45 della manovra finanziaria per il 2011 disponga la riduzione del 30 % degli esborsi del GSE (peraltro senza indicare chiaramente come raggiungere tale obiettivo), l’onere complessivo non è previsto ridursi a causa dell’incremento della percentuale di obbligo.

Tuttavia, nonostante i certificati verdi aiutino (fin troppo) a stimolare la produzione di energia pulita, il primo beneficio per l’ambiente dovrebbe essere dato dall’applicazione responsabile e corretta dell’efficienza energetica che si traduce anche in un risparmio sulla bolletta per consumatori. Infatti, se da un lato la produzione va nella direzione di rinnovabilità e rispetto del pianeta, dall’altro bisogna far sì che imprese e consumatori siano più attenti alle tematiche di risparmio energetico. Nelle case viene concentrato il 40% del consumi e bisogna sensibilizzare oltre 60 milioni di cittadini che utilizzano l’energia elettrica quotidianamente al fine di convertire i propri elettrodomestici con apparecchi che abbiano raggiunto alti standard di efficienza energetica e possano generare quindi notevoli risparmi. Ad oggi sono oltre 600 mila coloro che hanno installato un impianto fotovoltaico beneficiando degli incentivi, mentre sono poco più di 600 il numero di chi ha scelto di puntare sull’efficienza di motori e impianti esistenti. E il trend è in crescita: 100.000 richieste del 2007, 250.000 nel 2008 e 2009.

I certificati bianchi andrebbero nella giusta direzione di rispamio ed efficienza energetica senza creare distorsioni di mercato: tuttavia è chiara la presenza di una difficoltà d’intervento, ed è necessario riprogettare il sistema di incentivazione per consentire una valida opportunità ai meccanismi attuali.

Il rinnovabile non è ancora una fonte efficiente, il sistema non si regge su basi di autosostenibilità e quindi è stato necessario predisporre ingenti sussidi che, forse, sono stati destinati troppo alla vendita e troppo poco alla ricerca. Servirebbero sicuramente meno contributi se il fotovoltaico riuscisse a garantire performance migliori, come dimostrato dai ricercatori di Stanford che hanno evidenziato, con numerose ricerche, il possibile aumento di assorbimento di energia di 10-12 volte rispetto alla quantità finora ritenuta possibile. Già nel breve periodo potrebbero arrivare sul mercato i risultati di alcune ricerche per l’ottimizzazione della resa dei pannelli, introducendo le alternative alle celle fotovoltaiche di silicio, composte da strati di nuovi polimeri ultrasottili, con uno spessore nell’ordine di milionesimi di millimetro.

I certificati verdi impattano sulle tariffe di energia elettrica? Il settore ha risentito di una diminuzione delle componenti che coprono i costi di rete di 14 punti percentuali (reali) negli ultimi 6 anni: una riduzione che non ha impattato in termini negativi sugli investimenti i quali sono raddoppiati nel periodo in esame. Tuttavia il prezzo finale non cenna a scendere: la causa del prezzo più elevato dell’energia elettrica è da ricercarsi prevalentemente nell’onere derivato dai CV (che amplieranno la distorsione di un mercato a breve in apertura tra i Paesi EU). Il risparmio sulle bollette di energia elettrica non si è translato sui consumatori.

Sotto accusa dunque i componenti parafiscali, ossia gli oneri generali di sistema, i quali sono formati in misura preponderante da tutti gli oneri per i diversi tipi di incentivazione delle fonti rinnovabili (CIP6, certificati verdi, tariffa fissa omnicomprensiva). Tutti questi costi e la riparizione degli stessi, condivisibili per raggiungere gli obiettivi europei sulle fonti rinnovabili, non garantiscono massima efficienza.

Il nostro sistema mostra un elevato grado di inefficienza: il costo riversato sui consumatori per le fonti rinnovabili, troppo sovvenzionate (caso comune alla Spagna), è molto superiore al necessario generando anche distorsioni e opacità nel settore. Nel 2010 il costo degli incentivi sostenuti per garantire lo sviluppo delle fonti rinnovabili (fonti assimilate CIP6 escluse) supera, secondo le stime dell’AEEG, i 3 miliardi di euro che corrispondono a circa il 10% di tutto il sistema elettrico complessivo.

Un decimo quindi del costo complessivo finanzia all’incirca 20 miliardi di kWh, generando un incentivo circa doppio rispetto al valore dell’energia prodotta che porta a pagare i KW incentivati circa 3 volte di quella normale. E’ fondamentale una revisione dei meccanismi di compensazione e della durata degli stessi, soprattutto rispetto al fotovoltaico.

E’ inoltre indispensabile effettuare una manovra correttiva al più presto sul mercato dei certificati verdi per ovviare al malfunzionamento emerso sin dall’introduzione. Senza manovre correttive, le bollette aumenteranno del 20% nel giro di 10 anni e il maggiore onere, a carico della parte finale della filiera, non sarà sostenibile. Si mostra necessario spostare parte degli oneri per l’incentivazione dell’energia rinnovabile (in attesa del recupero in efficienza dei sistemi tecnologici) dalla bolletta alla fiscalità generale.

E’ fondamentale sostenere un costo sociale per l’ambiente utilizzando criteri che garantiscono maggiore progressività e proporzionalità. Se così non fosse, ci dovrebbe essere una maggiore libertà di poter fare stabilire all’Autorità le modalità più idonee per la minimizzazione dei costi e la massimizzazione dei benefici. La tipologia di oneri di sistema penalizza l’Italia, per i prezzi al dettaglio dell’energia elettrica, che accusano un gap negativo con i prezzi europei di circa il 25%, di cui il 10% è imputabile direttamente alle maggiori imposte sulle fonti rinnovabili.


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L'autore

Alessandro Bruzzi

Esperto di tariffe, collabora con le principali fonti di informazione italiane come Il Sole 24 Ore e Repubblica nei settori di telefonia, energia e finanza. Rivolge l'attenzione al rinnovabile e alle energie ecosostenibili.


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