Fotovoltaico, il mercato prova a ripartire
L’emanazione del nuovo schema di incentivi pubblici mette fine all'incertezza normativa, ma la sensazione diffusa è di una frenata in vista per il settore.
Definito il nuovo schema di incentivi pubblici, l’industria italiana del fotovoltaico prova a ripartire. Con la premessa che il risultato questa volta non è scontato, perché se una riduzione dei contributi pubblici era nell’ordine delle cose – alla luce dei progressi tecnologici che hanno abbattuto il costo della materia prima – parecchia confusione hanno creato le misure che rimettono in discussione i diritti acquisiti. Chi ha investito negli anni passati sapendo di poter contare su certi incentivi, e chi lo ha finanziato, oggi perde la fiducia in un regolatore che cambia le carte in corsa e non sono pochi coloro che mettono in conto di investire in altri paesi o abbandonare il settore.
Le strategie
Su un punto tutti sono d’accordo. L’approvazione del decreto che fissa i nuovi incentivi su base pluriennale pone fine al clima di incertezza che lo aveva preceduto. Ora, chi ha intenzione di investire nel settore può fare i conti su quello che deve attendersi e le banche possono vagliare business plan meno aleatori. Del resto, il sole d’Italia continua a far ancora gola a tanti. Il fondo britannico Terra Firma ha sborsato 641 milioni di euro per acquistare Rete Rinnovabile, società di impianti fotovoltaici del gruppo Terna. Il 67% del capitale di Ansaldo Trasmissione e distribuzione, sistemi di generazione di potenza anche per il solare, è stato acquisito da Toshiba. E Sharp, in partnership con Enel Green Power, sta costruendo nel sud Italia, a Catania Sicilia, uno stabilimento per la produzione di pannelli a film sottile che costituiranno un grande impianto in Calabria.
Le maggiori incognite riguardano il settore dei grandi impianti, il più penalizzato dai nuovi incentivi. “La pubblicazione del Quarto Conto Energia sembra avere tranquillizzato molti animi, ma non il nostro”, commenta Agostino Galbignani, sales manager di Martifer Solar. “Non lo consideriamo un risultato raggiunto, ma un fatto storico
inaccettabile, sia per le modalità con cui si è giunti a questo decreto,sia per i suoi contenuti definitivi. La negazione dei diritti acquisiti, il blocco per mesi del business, il disconoscimento del concetto di centrale solare fotovoltaica a terra, persino la negazione dei diritti futuri tramite una imperante incertezza nei requisiti di accesso alle tariffe, sono alcuni elementi di fondo che nessun tipo di giurisprudenza potrebbe giustificare”. Galbignani sottolinea le nuove incognite che si aprono per questo segmento di business: “Tutto il mondo fotovoltaico, con costose e continue consulenze legali, spenderà molto tempo per capire come muoversi in una realtà che comunque non è ancora regolata nei dettagli e quindi riserverà ancora sorprese”. Martifer Solar ora cerca nuove strategie per adeguarsi al mutato contesto normativo, ma sottolinea “che il mercato nel frattempo è crollato, si è impoverito di colpo, ha perso tutte le proprie logiche, costruite nel tempo con molta fatica da parte di tutti gli stakeholder, ha indebolito spesso irrimediabilmente le difese finanziarie di molti operatori e bloccato gli investimenti di quelli più forti, soprattutto di quelli internazionali”.
Resta da capire, poi, come si comporterà l’industria italiana, che proprio negli ultimissimi anni aveva cominciato a svilupparsi, anche attraverso la nascita di distretti industriali come quelli nelle province di Monza e Brianza, Padova, e nel barese, dimostrando un radicamento nel territorio della tecnologia. Per lo più si tratta di aziende di piccole dimensioni, che potrebbero non avere le spalle abbastanza robuste per andare avanti. Le industrie italiane hanno prodotto nel 2010 circa 130 MW di celle fotovoltaiche (225 MW è la capacità produttive) e circa 540 MW di moduli (960 MW di capacità produttiva).
L’imperativo è abbattere i costi
A questo punto il focus si sposta sulla ricerca della redditività perduta. Un obiettivo che può essere conseguito grazie ai progressi tecnologici che abbattono il prezzo dei moduli e puntano a eliminare qualsiasi spreco presente nella filiera, a monte e a valle.
L’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano ha effettuato varie simulazioni dei cali necessari per far tornare su livelli convenienti l’Irr, indice di redditività finanziaria dell’investimento. Nel caso di un impianto da 3 kW interamente finanziato, il costo attuale è di 5mila euro per kW, che garantiscono un rendimento intorno all’11-12%. Quota che già a settembre scenderà al 5-7%, per non superare il 2% da dicembre in poi, ed entrare in terreno negativo nei mesi a venire. Così, per tornare a un Irr del 5%, il costo dei moduli dovrebbe scendere a 4.800 euro per kW entro fine anno (200 euro in meno rispetto a oggi) e a 4.200 entro il prossimo anno.
Se si considera, invece, un impianto da 200 kW realizzato con una leva del 75%, il costo medio è di 3.500 per kW e il rendimento attuale su un edificio in vendita supera il 9%. Quota destinata a calare rapidamente nei prossimi mesi, tanto da attestarsi poco sopra l’1% tra un anno. A quel punto, per riportare l’Irr sopra il 10% occorre riuscire ad abbattere i costi dei moduli fino a 2.400 euro. Quante probabilità ci sono di tagliare così drasticamente i costi nell’arco di dodici mesi? Al momento nessuno può dirlo, e questo è il vero enigma che sta frenando gli investitori e complicando i rapporti con le banche.
Investitori esteri sul piede di guerra
Gli investitori esteri, che in massa sono calati in Italia sapendo di poter contare sugli incentivi più generosi al mondo investendo fin qui circa un miliardo e mezzo di euro, sono sul piede di guerra. Dopo aver cercato invano una mediazione con il Governo, gli operatori esteri hanno deciso di chiedere un risarcimento di 500 milioni di euro accusando l’Italia di aver violato la Carta dell’Energia di Lisbona. Una posizione condivisa dalle società raccolte intorno a Sos Rinnovabili (associazione nata sul Web nelle settimane calde che hanno preceduto il nuovo decreto), che presenteranno un ricorso alla Corte di Giustizia dell’Ue lamentando una misura difforme rispetto alle direttive europee che prevedono lo sviluppo delle rinnovabili. Di pari passo agiranno alla Corte costituzionale “perché il provvedimento danneggia le aziende che, pur avendo rispettato le norme di legge vigenti, avranno un diverso trattamento a livello di tariffe incentivanti per colpa di un tardivo allaccio alla rete elettrica”.
In questa direzione si sta muovendo anche Aper, con il nuovo presidente Antonio Re Rebaudengo che spiega: “Se da una parte, le nuove regole interrompono un periodo di estrema incertezza per il mercato, che sicuramente non ha giovato al settore, rimane irrisolto il problema della tutela dei diritti acquisiti e quello relativo agli indennizzi riservati agli impianti già autorizzati e in fase di costruzione in regime di vigenza del III Conto Energia. Per questo motivo stiamo valutando l’opportunità di segnalare alla Commissione Europea gli elementi di mancato recepimento della direttiva 28/2009/CE. Aper valuterà inoltre eventuali azioni ad adiuvandum degli imprenditori che decideranno di adire alla giustizia amministrativa a tutela dei propri investimenti in corso, gravemente pregiudicati dalla nuova normativa”. Quindi aggiunge: “Non vogliamo che l’assenza di un vero tavolo di concertazione, che ha causato questa situazione nel settore fotovoltaico, si ripeta nei prossimi mesi per le altre fonti”.
Divisioni in seno ai produttori
Queste ultime considerazioni mettono in luce un problema emerso negli ultimi mesi: il nuovo regime di sostegno al settore ha spaccato i produttori, portando a una parcellizzazione di posizioni che – a conti fatti – ha fatto loro perdere capacità contrattuale a fronte di un Governo che è andato avanti lancia in resta con i tagli. A fronte di una netta opposizione da parte di Aper, Assosolare, Sos Rinnovabili, Assosolare e investitori esteri, va segnalata la sostanziale approvazione da parte di Anie Gifi, associazione nata in seno a Confindustria, che per prima ha chiesto all’Esecutivo un taglio netto agli incentivi per il fotovoltaico, lamentando che il peso degli stessi ricade sulla bolletta degli utenti, soprattutto sulle aziende energivore. Anie Gifi ha accolto il nuovo decreto come “un momento storico che consentirà al settore di ripartire avendo davanti una prospettiva di cinque anni di crescita”. Resterà da capire se il tempo potrà aiutare a sanare le divisioni tra gli operatori del settore, che nelle condizioni attuali non sono in grado di esprimersi come categoria unitaria.
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L'autore
Luigi Dell'Olio
Luigi dell'Olio, giornalista pugliese free-lance, vive a Milano, dove si occupa di temi legati all'economia, alla tecnologia e alle energie rinnovabili.
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Dimitri
scrive il 25 agosto 2011 alle ore 12:16
I prezzi attuali al kWp sono largamente inferiori a quelli riportati da Dell'Olio. Forse l'articolo è stato scritto molto tempo fa.
Luigi Dell'Olio
scrive il 25 agosto 2011 alle ore 12:50
Sì, come indicato si tratta di un articolo ricavato dallo scorso numero del trimestrale
Diego Truccolo
scrive il 25 agosto 2011 alle ore 23:15
I prezzi odierni per un impianto fotovoltaico di ottima qualità non supera i 3000/oo Euro a Kw/p. Il costo dei pannelli è sceso a 0,9 euro a w/p. La tabella riportata redatta dall'ottimo Ing. Chiesa non è assolutamente aggiornata e può indurre in errore è necessario una rettifica.
Luigi Dell'Olio
scrive il 26 agosto 2011 alle ore 09:03
vale quanto detto sopra...