Biocarburanti, la ricerca fa passi da gigante
Dagli Usa, al Brasile, passando per l'Italia cresce la produzione dei combustibili alternativi
Photo: nmorao
Le forti oscillazioni dei prezzi petroliferi stanno spingendo diversi governi ad accelerare sulla ricerca nel campo dei biocarburanti. Un settore destinato a crescere perché, oltre a rappresentare un potenziale sostituto dei combustibili fossili, la cui disponibilità è destinata a esaurirsi nel tempo, è in grado di limitare il surriscaldamento globale attraverso emissioni più limitate di gas serra.
Un settore in crescita
Il settore dei biocarburanti è destinato a crescere e l’Europa si candida a essere uno dei maggiori importatori. Secondo uno studio di settore condotto nel 2011 dalla società Frost, la domanda di biocarburanti in Italia potrebbe spingersi fino a sei milioni di tonnellate entro il 2020, pari a circa il 12% del fabbisogno dell’Unione europea. Secondo il Worldwatch Institute, inoltre, nonostante una economia globale in difficoltà, l’utilizzo dei biocarburanti continua a salire. Nel 2010, la loro produzione globale è aumentata del 17% rispetto al 2009. L’aumento della produzione di biocarburanti è stata trainata da diversi fattori, come l’elevato prezzo del petrolio, la ripresa economica globale e le nuove leggi in materia approvate in paesi come Canada, Cina, Stati Uniti, Brasile e Argentina. La ricerca ha inoltre rilevato che Stati Uniti e Brasile rimangono i due maggiori produttori di biocarburanti, rispettivamente con il 57% e il 33% della produzione mondiale. In particolare, Stati Uniti e Brasile sono i leader mondiali nella produzione di etanolo, mentre il più grande produttore di biodiesel è l’Europa con il 53% della produzione totale nel 2010.
In Usa investiti 500 milioni di dollari in ricerca
Una strada che gli Stati Uniti intendono continuare a percorrere. I dipartimenti americani dell’Agricoltura, dell’Energia e della Marina hanno infatti approvato un investimento da 500 milioni di dollari nella ricerca sui biocarburanti. L’importo, ripartito in un periodo di tre anni, servirà a sviluppare il mercato per il trasporto commerciale e militare. Secondo le previsioni il programma dovrebbe essere in grado di accelerare lo sviluppo di carburanti sostitutivi a quelli fossili. In particolare, al dipartimento dell’Agricoltura spetterà il compito di valutare le colture d’origine e alla Marina Militare quello di accelerare la diffusione del biocarburante su un mercato più vasto.
Usa: dal Doe la spinta per la commercializzazione dei biofuel drop-in
Sempre in America, il Doe (Dipartimento dell’energia) ha annunciato l’assegnazione di dodici milioni di dollari all’amministrazione Obama per finanziare tre progetti di piccola scala in Illinois, Wisconsin e North Carolina che mirano a commercializzare nuove tecnologie di conversione per accelerare lo sviluppo di biocarburanti drop-in e di altri prodotti chimici a base biologica.
I biofuel drop-in sono carburanti che possono essere usati per sostituire o integrare la benzina e il gasolio per l’aviazione, con la possibilità di ridurre significativamente la dipendenza degli Stati Uniti dalle importazioni di petrolio.
Biocarburanti: la soluzione arriva dai panda
Una scoperta molto importante in questo campo potrebbe essere quella proveniente da alcuni scienziati americani della Mississippi State University, i quali, dopo aver studiato per circa un anno gli escrementi del panda, sono arrivati alla conclusione che i vari tipi di batteri presenti nel suo intestino potrebbero essere utili per ricavare del biocarburante praticamente da ogni fibra vegetale presente in natura. I batteri ritrovati nell’apparato digerente dell’animale sono infatti in grado di digerire la canna di bambù di cui si nutre, agendo in modo da trasformare questo alimento in zuccheri. Che possono poi essere impiegati, dopo essere fatti fermentare, come bioetanolo. E ancora dall’America arriva l’annuncio della scoperta del batterio TU-103, un micro-organismo in grado di trasformare la cellulosa, come ad esempio quella impiegata nella carta, direttamente in butanolo.
Microalghe per produrre biodiesel
Un contributo al settore arriva anche dall’Italia. I ricercatori del Centro per la gestione delle risorse idrobiologiche e per l’acquacoltura dell’Università Federico II di Napoli hanno infatti scoperto che coltivare le microalghe nelle acque reflue permette di raggiungere un duplice obiettivo: fornire un sistema naturale di depurazione marina, sviluppando al tempo stesso biomassa di qualità per la produzione di biodiesel. Una prospettiva affascinante le cui enormi potenzialità sono emerse da un test avvenuto nel golfo di Napoli, a Nerano e Capri, condotto sulle alghe Botryococcus braunii e Scenedesmus obliquus. L’analisi dell’acqua dopo la coltivazione con le microalghe ha fatto osservare un abbattimento di azoto e fosforo di circa il 90%. Le analisi sugli acidi grassi contenuti in queste due alghe hanno inoltre dimostrato che entrambe sono una buona fonte di grassi da cui ottenere biodiesel.
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