Europa
Rinnovabili, efficienza, clima: Unione Europea in retromarcia
I nuovi obiettivi europei al 2030 su emissioni fonti verdi ed efficienza saranno dannosi per l'industria
É una doccia fredda per la sostenibilità in Europa quella arrivata da Bruxelles mercoledì scorso 22 gennaio 2014, con la presentazione del Libro Bianco su clima ed energia. La Commissione europea, infatti, ha tracciato, volutamente, uno scarno scenario al 2039 che potremmo definire Business As Usual (Bau, in gergo tecnico) e che si limita, volendo essere di manica larga, a registrare un trend esistente.
E quando si parla di politiche industriali di un’area come quella Europea in forte crisi, e di problemi ambientali come il cambiamento climatico ciò significa innestare la retromarcia. Ma se non bastasse ciò bisogna rilevare che sembrerebbe aver vinto, speriamo solo sulla carta, un’Europa vecchia, agganciata a una politica industriale “del secolo scorso”.
Vediamo i fatti salienti. L’obiettivo di riduzione delle emissioni di CO2 è del 40%, rispetto al 1990, – e il commissario europeo all’Energia, Gunther Oettinger, ha affermato «avevo chiesto un 35%, un obiettivo meno ambizioso», figuriamoci – è un primo regalo all’industria meno innovativa, poichè sarà possibile raggiungerlo senza alcuna misura particolare per inerzia,- siamo già oggi al 27% -, sia grazie alla deindustrializzazione del Vecchio Continente, sia per l’applicazione di tecnologie esistenti già oggi, come il normale ricambio di fine vita degli impianti.
Si tratta di una cosa che farà mancare un driver essenziale nel campo dell‘innovazione energetica, ossia la spinta all’efficienza. E guarda caso proprio sul fronte dell’efficienza Bruxelles latita poichè non sono stati fissati neanche degli obiettivi di massima, mentre per le rinnovabili si fissa un’altro obiettivo “inerziale” visto che la percentuale è del 27% di rinnovabili, ma attenzione vincolante per l’Europa, e non per i singoli stati.
Un dualismo che chiamare pasticcio è dire poco. E si badi bene che dal mondo scientifico sul clima arrivano analisi allarmanti, poichè il contributo europeo alla riduzione delle emissioni dovrebbe arrivare “almeno al 55% nel 2030 al fine di contenere l’aumento di 2 °C entro il 2100. E ciliegina sulla torta a completare il quadro rispetto emissioni, rinnovabili ed efficienza c’è anche la battuta di Barroso per il quale le energie rinnovabili «non sono un obiettivo in sé».
Ora però facciamo un passo indietro e analizziamo che cosa è successo nei mesi scorsi per essere arrivati a un simile risultato. Di sicuro ci sono state le forti pressioni sulla Commissione europea da parte della Confindustria europea e delle utilities energetiche che hanno visto erodere marginalità dalle rinnovabili, diminuzione di mercato dall’efficienza e possiedono un parco per la produzione elettrica fortemente emissivo ed inquinante.
Nel frattempo da oltre oceano, negli Usa, è arrivata la sirena dello shale gas che promette miracoli – per quanto tempo non si sà – sul fronte della ripresa economica, diminuendo il prezzo dell’energia, a fronte di devastazioni territoriali importanti. A ciò bisogna aggiungere il tentativo di reintrodurre il nucleare in Europa, la testa di ponte è la Gran Bretagna con il nuovo programma di sostituzione dei vecchi reattori obsoleti con gli Epr francesi, incentivati in maniera folle dal Governo di Sua Maestà, spacciandola magari come tecnologia a basso impatto sul clima.
Ed è chiaro che in uno scenario del genere l’imperativo è quello di fermare sia il trend in discesa dei consumi, sia la produzione distribuita da rinnovabili che mettono in difficoltà le fonti fossili. La dichiarazione del presidente della Commissione europea Josè Manuel Barroso sullo shale gas, infine è illuminante: «Gli Stati membri possono decidere se sfruttare questa risorsa o no». Quindi via al Far West della trivellazione, confidando magari nel fatto che si vada in sostituzione con le turbogas dell’inquinante ed emissivo carbone, riducendo così la CO2 in direzione del blando obiettivo del 40% che forse sarebbe meglio definire del 13% “aggiuntivo” al 2030.
E la cosa più preoccupante è cosa succederà all’industria delle rinnovabili e dell’efficienza che in questi anni è cresciuta anche in virtù degli obbiettivi europei del 20-20-20 al 2020. Il segnale dato mercoledì non è incoraggiante, anche perchè in mancanza di uno “zoccolo duro” di mercato interno sarà complicato trovare risorse per continuare il trend d’aumento delle prestazioni e di diminuzione dei costi, intrapreso con profitto in primo luogo dalle aziende europee e solo in seconda battuta da quelle asiatiche che possono, però, continuare a comprimere, per ora, sia le esternalità ambientali, sia quelle sociali.
Si tratta di una decisione, quella della Commissione europea di forte retroguardia che potrebbe fare male a tutto il comparto manifatturiero europeo che potrà trovare sul lungo periodo competitività solo ed esclusivamente con la riduzione dei consumi energetici e con l’utilizzo delle fonti d’energia rinnovabili. Insomma per difendere gli interessi corporativi odierni e consolidati Bruxelles mette una seria ipoteca sul futuro industriale dell’intero continente, come è successo con l’informatica trenta anni addietro quando non si capì l’importanza del comparto emergente e si continuò a puntare solo ed esclusivamente sulla meccatronica nella quale, guarda caso, era leader la Germania.
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L'autore
Sergio Ferraris
Sergio Ferraris, nato a Vercelli nel 1960 è giornalista professionista e scrive di scienza, tecnologia, energia e ambiente. È direttore della rivista QualEnergia, del portale QualEnergia.it e rubrichista del mensile di Legambiente La Nuova Ecologia. Ha curato oltre cinquanta documentari, per il canale di Rai Educational Explora la Tv delle scienze. Collabora con svariate testate sia specializzate, sia generaliste. Recentemente ha riscoperto la propria passione per la motocicletta ed è divenatato felice possessore di una Moto Guzzi Le Mans III del 1983.
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