Tekneco #16 - Primo piano
I verdi mestieri per l’ edilizia
La ricerca fatta da''Associazione Bruno Trentin - IRES - ISF su come siano cambiati i mestieri dell'edilizia rivela che l'innovazione tecnologica ha dato un impulso nuovo alle competenze del settore
C’era una volta il sindacato. Così verrebbe da dire vedendo alcune pubblicazioni e studi dei decenni passati nei quali si trovavano analisi sul mondo del lavoro e sui processi di produzione che lasciano stupefatti per la profondità d’analisi e, alcune volte, per il fatto che questi studi possiedano ancora oggi una forte carica d’attualità. Una delle cose che più ha colpito chi scrive è quella di aver trovato di recente un documento dell’allora Flm, Federazione Lavoratori Metalmeccanici – la sigla che raggruppava Fiom, Fim e Uilm -, datato gennaio 1980, che criticava in maniera netta e decisa la svolta nucleare del Governo italiano, quando il Piano energetico nazionale del 1975 prevedeva ben 20 GWe d’energia atomica entro il 1985, redatto a un solo anno dall’incidente di Harrisburg e con sei anni d’anticipo rispetto all’esplosione di Chernobyl. Scorrendo quelle pagine e confrontandole con quelle più recenti delle cronache sindacali ci si chiede se il sindacato oggi sia ancora in grado di produrre analisi di questo tipo, specialmente in relazione ai grandi cambiamenti introdotti nel mondo delle imprese e del lavoro negli ultimi decenni, in modo particolare sotto la spinta dell’innovazione informatica e delle reti. A prima vista, si direbbe di no, ma in realtà, grattando l’opaca patina mediatica fatta di politica superficiale, alcune volte si fanno scoperte interessanti, come quelle che dimostrano che il sindacato si occupa non solo di retribuzioni, cassa integrazione, pensioni e quant’altro, ma che è ancora in grado di percepire e analizzare le criticità del nuovo. È il caso della ricerca fatta dall’Associazione Bruno Trentin-IRES-ISF su commissione della FILLEA-CGIL (Federazione Italiana Lavoratori Legno, Edili e Affini), coordinata da Serena Rugiero, “Nuovi modelli di abitare e di produrre”, nella quale ci si interroga su come si trasformi il lavoro all’interno delle dinamiche che stanno portando allo sviluppo dell’edilizia sostenibile. La premessa è che in edilizia siamo di fronte a una trasformazione profonda, un vero e proprio punto di svolta, che si regge su due cardini. Il primo è il fatto che ormai l’oggetto stesso dell’edilizia, così come l’abbiamo conosciuta, oggi non esiste più. Le grandi infrastrutture e la nuova edilizia residenziale, infatti, possiedono percentuali di nuovo realizzato sempre più basse, mentre lo sviluppo è legato alle ristrutturazioni e all’efficientamento. E anche nelle nuove edificazioni del settore residenziale la trasformazione è radicale, con cambiamenti che coinvolgono sia le figure professionali, sia il concetto stesso di cantiere, che non è più centrale nella dinamica del lavoro e delle imprese.
Per quanto riguarda le figure professionali, nel panorama dell’edilizia si sta verificando un fenomeno inedito per il settore, ossia quello della qualificazione del capitale umano in relazione all’innovazione tecnologica e produttiva. Il perché è presto detto. L’arrivo di tecnologie e pratiche innovative come quelle legate all’efficientamento energetico e alla domotica – e domani alle smart cities – sta profondamente cambiando il “prodotto edilizio” – inteso come edificio – con l’apporto di una serie quasi infinita di innovazioni che devono essere implementate a livello di singolo edificio, perché comunque il “prodotto” finale in edilizia è, e rimane, qualcosa di “sartoriale” spesso rappresentato da un pezzo unico. In questo quadro, secondo gli autori, i profili professionali rappresentano delle entità dinamiche, in continuo mutamento, che rispecchiano il quadro evolutivo del sistema. In questo scenario, quindi, si pone in essere una relazione d’influenza tra l’agire dell’impresa e il ruolo dell’azione professionale, cosa che mette gli individui al centro della scena del cambiamento. Più nello specifico, l’analisi condotta dai ricercatori ha portato a formulare una serie di suggerimenti per supportare l’azione dei protagonisti nei processi costitutivi del green building.
In primo luogo, per le imprese dell’edilizia, caratterizzate negli anni passati da dinamiche estremamente conservatrici, sarà necessario misurarsi con le continue evoluzioni e le previsioni dei propri bisogni professionali, pena il non poter soddisfare le richieste di una clientela sempre più esigente all’interno di uno scenario che sarà caratterizzato da una elevata competizione. Andranno anche ripensati radicalmente la formazione e l’aggiornamento, sia per gli occupati, sia per coloro che si apprestano a essere inseriti nel settore, indipendentemente dal fatto che vi abbiano già lavorato o meno, poiché sarà necessario un confronto con le nuove mansioni insite nei processi di mutamento tecnologico, mentre gli attori della formazione dovranno fornire non solo know how specifico, ma anche conoscenze atte a favorire lo sviluppo dell’occupabilità e dell’adattabilità degli addetti, al fine anche di aumentare la competitività delle imprese. Trovare in una ricerca prodotta dal sindacato l’attenzione alla competitività delle aziende non è cosa da poco e dovrebbe far riflettere.
Nello specifico, secondo un rapporto del “Center for American Progress” le professioni dell’edilizia maggiormente coinvolte nello sviluppo dell’economia sostenibile sono: elettricisti, installatori di impianti di climatizzazione, carpentieri, addetti al movimento terra, costruttori di tetti, addetti all’isolamento, dirigenti, ispettori. Ma ciò che caratterizza queste figure, per così dire “mutate”, è in realtà l’alto grado d’intersettorialità che dovranno acquisire, o mantenere, per reggere la sfida. Secondo il “National center for O*Net Development” degli Stati Uniti sono ben ventinove le figure professionali che dovranno essere caratterizzate da una forte intersettorialità, specialmente con l’industria manifatturiera. Il perché è presto detto. Nell’edilizia saranno sempre più presenti sistemi complessi che arriveranno già semifiniti in cantiere e che necessiteranno di montaggi e realizzazioni ad hoc. I sistemi a energie rinnovabili sono uno degli esempi più chiari di ciò. Nel fotovoltaico, per esempio, si coinvolgono gli addetti ai tetti, mentre gli elettricisti devono fare i conti con gli agenti atmosferici e le alte temperature, due elementi che non hanno mai riguardato gli impianti elettrici tradizionali, visto che sono all’interno dell’edificio. Stesso discorso per il solare termico, mentre è ancora più pressante l’aspetto tecnico per i serramentisti che sono, per la prima volta nella loro storia, tenuti a garantire la tenuta sia all’aria, sia energetica, non solo dei serramenti, ma anche della loro posa in opera.
Un capitolo molto interessante e inedito della ricerca è quello relativo ai rischi per le salute e la sicurezza nell’edilizia sostenibile. Anche perché non è detto che un green job sia anche un good job e bene fa il sindacato a interrogarsi su ciò. Le ricerche sulla questione non sono ancora approfondite e risultano essere di carattere generale, ma alcune questioni da affrontare sono già emerse. La prefabbricazione, per esempio, farà diminuire il rischio nei cantieri, ma saranno tutte da affrontare le nuove problematiche interne alle fabbriche, mentre sarà necessario verificare attentamente i potenziali rischi relativi alle nuove sostanze – non bisogna dimenticare il fatto che l’amianto è, dopotutto, un materiale naturale – e alle combinazioni tra le stesse. L’utilizzo maggiore di macchinari e dell’automazione spinta, sia in fabbrica, sia in cantiere, offrirà nuove opportunità, ma anche nuovi rischi. Molto importanti sono le tematiche legate alle ristrutturazioni dei vecchi edifici, che rappresenteranno sempre più una fetta di mercato più ampia. Gli interventi di questo tipo, infatti, saranno caratterizzati da un alto rischio d’infortuni, visto lo stato di molti edifici, e di un altrettanto alto grado di rischio sul fronte della salute dei lavoratori in quanto spesso, in queste tipologie edilizie, sono stati impiegati materiali dannosi come l’amianto che necessitano di bonifiche specifiche e devono essere affrontate in un quadro stringente di competenze e legalità. Altra questione importante legata alla bioedilizia è quella del ciclo, o riciclo, dei prodotti edilizi, una delle caratteristiche peculiari della sostenibilità in edilizia, che comporta, di fatto, la creazione di una nuova filiera, con tutte le incognite e i rischi potenziali del caso. Un esempio è quello dell’utilizzo, sempre più massiccio, delle nanotecnologie in edilizia, specialmente quella sostenibile. La conoscenza dei rischi legati a queste sostanze da parte dei lavoratori è molto bassa. Se il 54% dei cittadini europei non conosce il significato della parola, ben il 75% dei lavoratori e degli imprenditori, secondo uno studio dell’EU-OSHA, non è nemmeno consapevole di lavorare con nanomateriali. Circa le considerazioni da fare per avviare una seria riflessione sulle condizioni di lavoro, la ricerca consiglia d’inserire il dibattito e i contenuti sulla salute di lavoratori e cittadini nello scenario della green economy, promuovere la prevenzione attraverso un sistema continuo e partecipato e considerare la prevenzione lungo tutte le fasi delle nuove filiere. Non meno importante l’aspetto formativo, che deve contenere tutte le tematiche su salute e sicurezza, nonché il rafforzamento della ricerca sui nuovi processi. Infine, per il sindacato è necessario considerare la salute di lavoratori e cittadini all’interno dei sistemi di certificazione, anche favorendo l’integrazione tra le diverse certificazioni. Nessuna chiusura al nuovo, quindi, ma molta attenzione ai nuovi processi della bioedilizia, oltretutto senza chiusure anti-industriali che spesso si trovano ancora nel dibattito italiano. Il sindacato, quindi, si pone il problema dell’innovazione, dando un’immagine che contrasta con quella classica che vede le organizzazioni sindacali “guidare” il mondo del lavoro guardando solo nello specchietto retrovisore.
Dove si sposta il lavoro. Il caso del legno.
Uno dei casi di trasformazione più evidente del settore edile, nel quale si tocca con mano il cambiamento, è quello dell’edilizia sostenibile in legno. Poco diffusa nel nostro Paese, l’edilizia in legno sta conoscendo grande sviluppo sia per il suo utilizzo in realizzazioni architettoniche particolari, sia per la costruzione di interi edifici in legno. In entrambi i casi è presente un alto tasso d’innovazione, anche se sembrerebbe il contrario, visto che il legno è un materiale associato, nell’immaginario collettivo, all’antichità. Le grandi luci di edifici collettivi, come palestre, auditorium, teatri e così via, sono sempre più realizzate utilizzando legno lamellare dalle caratteristiche tecniche innovative, così come gli edifici. Si è arrivati a realizzarne alcuni in Italia di otto piani sempre più prefabbricati. Il fatto di realizzare parti importanti degli edifici in legno al di fuori del cantiere ha ridotto la “centralità” dello stesso, spostando una buona parte del lavoro in fabbrica, dove si progettano e si costruiscono – utilizzando macchine a controllo numerico – sezioni importanti degli edifici, i cui limiti dimensionali sono circoscritti dalla logistica del trasporto, come mezzi e strutture viarie. Si riduce, quindi, l’importanza del cantiere come luogo di realizzazione dei manufatti e di parziale elaborazione concettuale dell’edificio, ma non solo. Con il legno si riducono i tempi di cantiere poiché, una volta terminato l’assemblaggio di una sezione, o un piano dell’edificio, si può immediatamente proseguire con l’installazione dell’impiantistica, violando quello che fino a poco tempo fa era un dogma: evitare le fasi di sovrapposizione di cantiere. Dal punto di vista dell’occupazione la trasformazione è chiara. Si aumentano gli addetti specializzati nella progettazione e nella realizzazione in fabbrica e diminuiscono le ore di lavoro/uomo più dequalificate di cantiere.
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L'autore
Sergio Ferraris
Sergio Ferraris, nato a Vercelli nel 1960 è giornalista professionista e scrive di scienza, tecnologia, energia e ambiente. È direttore della rivista QualEnergia, del portale QualEnergia.it e rubrichista del mensile di Legambiente La Nuova Ecologia. Ha curato oltre cinquanta documentari, per il canale di Rai Educational Explora la Tv delle scienze. Collabora con svariate testate sia specializzate, sia generaliste. Recentemente ha riscoperto la propria passione per la motocicletta ed è divenatato felice possessore di una Moto Guzzi Le Mans III del 1983.
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