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Politiche

Come affossare le nostre Pmi con gli accordi europei sul clima

Le Pmi italiane hanno tutto da perdere con gli obiettivi poco ambiziosi adottati dalla Ue nell'indifferenza del nostro Governo

Scritto da il 28 ottobre 2014 alle 16:48 | 0 commenti

Come affossare le nostre Pmi con gli accordi europei sul clima

Che l’accordo europeo della settimana scorsa sia al ribasso e limitato è certo, ma non si tratta solo di questioni ambientali. I nuovi obiettivi che l’Europa si è data al 2030 e che sostituiscono il 20-20-20 al 2020, infatti devono essere inquadrati all’interno di uno scenario composto da tre elementi che avranno, tutti, dei riflessi non indifferenti sulle dinamiche dei consumi energetici e delle aziende, in special modo delle Pmi. Vediamo come. Gli obiettivi fissano al 2030 una riduzione del 40% per le emissioni, un’aumento del 27% per le rinnovabili e un più 27% per l’efficienza energetica, il tutto rispetto al 1990. Se ci limitassimo a considerare i numeri in maniera secca si direbbe che si tratta d’obiettivi ambiziosi anche se la base del 1990 già dovrebbe fare riflettere. Un 40% di riduzione delle emissioni in 40 anni significherebbe, mantenendo il trend degli obiettivi attuali, un abbattimento delle emissioni del 90% in quasi un secolo, ossia al 2090. Sufficiente? No. La IEA, (l’Agenzia Internazionale per l’Energia) in un suo documento del 2012 lanciava l’allarme: se non si riducono le emissioni subito nel 2017 avremo “consumato” lo stock di CO2 al 2030 per contenere il cambiamento climatico entro l’aumento di due gradi. Tradotto: al ritmo odierno delle emissioni dal 2017 innalzeremo l’asticella ben sopra i due gradi nel 2100 previsti da tutti.

Bene, anzi male. Sono passati due anni e cosa è successo a livello globale? Nulla sul fronte delle diminuzioni, anzi abbiamo avuto un peggioramento, la concentrazione di CO2 nell’atmosfera, infatti, nel settembre 2012 era di 394,36 parti per milione, mentre a settembre 2014 siamo arrivati a 398,58. Altro che stop e inversione di marcia. Si viaggia un aumento di due parti per milione ogni anno con il risultato che al 2030 saremo almeno a 430 parti di milione di CO2 a livello globale. E la “riduzioncina” europea non sarà di sicuro quello shock necessario a innescare la svolta a livello globale. La seconda questione riguarda le rinnovabili che dovrebbero arrivare al 27% e visto che oggi siamo al 16% un più 11% in sedici anni non è di sicuro uno sforzo titanico a maggiore ragione se consideriamo il fatto che l’obiettivo è continentale e non per paese, ossia un utilizzo maggiore in Germania delle rinnovabili si tradurrà in uno sconto – leggi uso maggiore del carbone – per la Polonia e così via.

Insomma siamo in un pieno scenario Bau – Business as usual – aggravato dall’apertura al nucleare, fatto con lo sblocco da parte della Commissione europea il mese scorso del controverso revamping del sito nucleare britannico di Hinkley Point dove si realizzeranno due reattori, con tecnologia francese Epr, per 3,2 GW che sostituiranno i tre vecchi ormai a fine vita. E si tratta solo dell’inizio visto che la Gran Bretagna ha intenzione di arrivare, con un piano varato nel giugno 2011 tre mesi dopo Fukushima, nel 2025 a un totale di 18 GW di nucleare cosa che dovrebbe farle raggiungere una riduzione delle emissioni del 80% nel 2050. E per la COP di Parigi del 2015 , in questo quadro, le industrie dell’atomo stanno già scaldando i reattori, poichè puntano a “vendere” il nucleare come soluzione sia per salvare le utilities dal modello distribuito, sia come arma “finale” per combattere l’effetto serra.

Ultimo tassello, infine, l’efficienza che è a tutti gli effetti la “grande nemica” del sistema energetico come lo conosciamo oggi. Ridurre i consumi energetici del 50-60% e nel caso dell’edilizia di nuova costruzione del 90% è infatti per le aziende dell’energia una vera iattura da combattere a tutti i costi e, non a caso, l’obiettivo di Bruxelles non è vincolante. Ossia nel 2030 di potrà dire abbiamo scherzato.

E dal punto di vista industriale tutto ciò che cosa significa? Semplice che ogni grande nazione, a eccezione dell’Italia, si è disegnata uno scenario a misura. Vediamoli. La Francia continuerà con il nucleare salvaguardando i costi sempre maggiori della propria filiera atomica dividendone i costi con la Gran Bretagna e magari sviluppando altri reattori fuori dall’Europa. La Polonia e i paesi dell’est potranno continuare a unire il basso costo dell’energia con quello altrettanto basso del lavoro, continuando con il carbone e magari sviluppando shale gas e shale oil, mentre la Germania, da sola, giocherà d’attacco, grazie alla solidità industriale e finanziaria, su rinnovabili ed efficienza, essendo oltretutto uscita dal nucleare.

E l’Italia? Il nostro Paese è rimasto in panchina, scordandosi, in maniera colpevole – visto che da queste parti ci si esprime ormai con un tifo da stadio per i fossili autarchici al punto che sembra d’essere in pieno della campagna elettorale di Sarah Palin, il cui motto era: «drill, baby drill» -, che le Pmi nostrane hanno nei prodotti per l’efficienza, per le rinnovabili e per l’adattamento ai cambiamenti climatici, uno dei, pochi, punti di forza e che la loro diffusione e capillarità le rende estremamente adatte a cucire quelle soluzioni di “sartoria energetica e territoriale” necessarie alla generazione distribuita e alla sfida del clima. E così le nostre imprese, per l’ennesima volta, grazie agli ultimi governi ma specialmente quello di Matteo Renzi, i cui manifesti ricordiamolo recitavano qualche mese fa «50% di rinnovabili», perdono dopo sia lo zoccolo duro del mercato interno, sia quello del mercato di prossimità europeo. Un capolavoro che sembra ricalcare con il copia e incolla quello, scellerato, della distruzione dell’industria informatica negli anni sessanta che era, non seconda, ma prima a parimerito con quella statunitense.

Sergio Ferraris su Twitter @sergioferraris


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L'autore

Sergio Ferraris

Sergio Ferraris, nato a Vercelli nel 1960 è giornalista professionista e scrive di scienza, tecnologia, energia e ambiente. È direttore della rivista QualEnergia, del portale QualEnergia.it e rubrichista del mensile di Legambiente La Nuova Ecologia. Ha curato oltre cinquanta documentari, per il canale di Rai Educational Explora la Tv delle scienze. Collabora con svariate testate sia specializzate, sia generaliste. Recentemente ha riscoperto la propria passione per la motocicletta ed è divenatato felice possessore di una Moto Guzzi Le Mans III del 1983.


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