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Sviluppo e sostenibilità

Verso un Socialismo armonioso?

Nell’analisi di Tommaso Limonta, lo scenario di una Cina alle prese con la sfida ambientale, in delicato equilibrio tra un passato rosso e un futuro verde

Scritto da il 14 maggio 2013 alle 8:28 | 1 commento

Verso un Socialismo armonioso?

Articolo di Tommaso Limonta
Fondazione ISTUD per la cultura d’impresa e di gestione Area Ricerca

L’approfondimento di Tommaso Limonta sullo sviluppo industriale del Paese asiatico, alle prese con politiche ambientali e sostenibilità. In nome di uno sviluppo “armonioso”.

Chiunque volga oggi lo sguardo verso il tumultuoso sviluppo della Cina contemporanea sarà probabilmente impressionato dal rapido manifestarsi di alcune contraddizioni, all’apparenza insanabili, che all’osservatore esterno parranno certamente il frutto di una società caotica e disarmonica: dallo squilibrio tra città e campagna, al devastante impatto ambientale di una crescita senza freni, per non parlare del crescente deflagrare di endemiche crisi interne come quella, ben nota, del Tibet, o quella, meno nota, dello Xinijang Uygur.

Ma nella stessa qual misura, chiunque conosca la cultura tradizionale cinese sa bene quanto questa sia invece profondamente imbevuta di un costante richiamo all’armonia, un’armonia, il “tao”, che nel pensiero confuciano si manifesta appunto come espressione del giusto ordine delle cose, perseguibile attraverso il culto degli antenati, il rispetto verso la comunità e la scrupolosa osservanza dei valori tradizionali.

Né sfuggirà che nell’etica confuciana il concetto di “lì” sia da intendersi appunto come quella condizione in cui l’uomo si trovi ad essere in equilibrio con l’ordine generale del mondo, con la natura e con tutte le prescrizioni del vivere civile, dall’osservanza dei precetti religiosi e famigliari, al rispetto scrupoloso delle regole di comportamento – che nei fatti costituiscono l’essenza della morale confuciana. Del lì sono infatti espressione concetti quali il tatto, la cortesia, il decoro, l’autocontrollo…in una parola i costituenti fondamentali di un vivere civile e, appunto, armonioso (non a caso l’espressione più alta del lì è la musica).

La Cina moderna

Fin qui la tradizione. Ma la Cina moderna? Non vi è dubbio che la società cinese dell’ultimo secolo sia stata fortemente pervasa da un acceso e spesso violento confronto tra fautori della tradizione e suoi nemici dichiarati. Lo stesso movimento rivoluzionario del 4 maggio 1919 fu eminentemente avverso al tradizionalismo e al Confucianesimo, cui anzi imputava la colpa di aver trascinato la Cina fuori dal grande progresso del secolo XIX relegandola in una condizione di asservimento alle potenze occidentali (Gran Bretagna in primis).

Anche la Rivoluzione Culturale fu eminentemente anti-tradizionalista, in quanto frutto di una polemica radicale contro l’irrazionalità e l’immobilismo di cui la cultura confuciana sarebbe stata appunto portatrice. In un certo qual modo, persino gli studenti di Piazza Tienanmen, con la loro fascinazione dell’Occidente, erano su questa linea, come lo è oggi il dissidente Liu Xiaobo.

Ciò nondimeno, la tendenza alla sinizzazione del marxismo scientifico, vale a dire la propensione a rileggere i postulati del pensiero marxiano alla luce della tradizione culturale cinese, era già presente nel Partito Comunista fin dalle sue origini, ed ebbe un notevole sviluppo a partire dagli Anni Settanta del secolo scorso quando Mao se ne avvalse per colpire l’ “ala destra” del gruppo dirigente. Del resto fu proprio un suo intellettuale organico, Liu Shaoqui, a tracciare un parallelo tra il buon comunista e lo studioso confuciano nel saggio “Come diventare un buon Comunista”.

Liu ripeteva che Confucio non riteneva di avere avuto la saggezza in dono fin dalla nascita: questa era piuttosto l’esito di un “processo di fortificazione e di autoeducazione” che permetteva di arrivare a distinguere dove stava il giusto. Lo stesso doveva fare il buon comunista. I rifugiati che si radunarono a migliaia sotto la bandiera di Mao scorsero una continuità fra la rivoluzione e la cultura cinese, e ne furono rassicurati. Il comunismo sembrava combinare il meglio del passato e il meglio del futuro (Hutton 2007, 65) .

Con la morte di Mao, e il vorticoso sviluppo della Cina contemporanea, la sintesi tra Confucio e Marx parve a molti superata, in parte perché il richiamo alla tradizione era stato finalizzato a caratterizzare il marxismo cinese rispetto a quello sovietico (diventato nemico e concorrente, quanto meno a partire dalla fine degli Anni Sessanta), in parte perché la nuova Cina sembrava ormai avviarsi verso un prospero futuro in cui difficilmente avrebbero trovato posto quei valori di morigeratezza che sono l’essenza del Confucianesimo tradizionale, neanche in quella salsa marxiana che pure ne aveva annacquato i contenuti. Ma non fu così. La rapida e disordinata crescita di un apparato produttivo spesso obsoleto e disumano e le conseguenti ricadute socio-ambientali del modello noto come “Un Paese, due sistemi” – dalla celebre definizione di Deng Xiaoping – ne furono probabilmente i fattori detonanti.

Crescita armoniosa

L’idea di crescita armoniosa torna in auge nel 2005, durante la riunione del Congresso nazionale del popolo, quando il Segretario del Partito, Hu Jintao, prende la parola per ribadire l’aspirazione della società cinese ad un equilibrio che consentisse di combattere la crescente disuguaglianza sociale interna. Nel suo discorso, Hu Jintao individua la causa di tutto questo nel venir meno dell’equilibrio, utilizzando un concetto di chiara derivazione confuciana, e risuscitando perfino l’idea maoista di “Grande Armonia”, che Mao utilizzava come sinonimo stesso di Comunismo. E saldando Confucianesimo, Marxismo e Maoismo in un tutt’uno ininterrotto e coerente, costruisce un’immagine ardita che riassume l’esperienza storica del Socialismo cinese:

La concezione del socialismo con peculiarità cinesi costituisce un insieme di teorie scientifiche che includono la teoria di Deng Xiaoping, la concezione delle Tre rappresentanze, l’idea di uno sviluppo scientifico (sostenibile) ed altre importanti acquisizioni strategiche. Questo sistema esprime l’assunzione del Partito – e lo sviluppo – del marxismo-leninismo e del pensiero di Mao Zedong e incarna l’elaborazione e il duro lavoro di diverse generazioni di comunisti cinesi…Non c’è fine alla pratica e all’innovazione, che noi dobbiamo costantemente sviluppare per emancipare le nostre menti, bandendo rigidità e stagnazione…Il nostro è un sistema di pensiero dinamico, completamente aperto e in costante evoluzione” (Rapporto 2007) .

Alcuni anni dopo, nel 2011, recandosi in visita di stato negli USA, Hu sviluppa ulteriormente la sua teoria, includendo nel concetto di armonia l’intero spettro delle relazioni internazionali tra gli Stati e la conseguente necessità di una forte e partecipata cooperazione al servizio dell’ordine e della pace mondiale. Sotto il profilo internazionale, il concetto cinese di armonia si delinea infatti come il prodotto sinergico di tre variabili combinate: pace, cooperazione e soft power, per dirla con le parole di Joseph Nye, un concetto che trova la sua declinazione operativa nell’auspicata capacità di attrarre e cooperare piuttosto che reprimere e coercere (ancora una volta un’eco della filosofia confuciana che esalta i rapporti basati sulla comune comprensione e il mutuo sostegno).

La sfida ambientale

Ma è sul fronte ambientale che la crescita armoniosa trova il suo coronamento più alto. L’idea di armonia e unità tra uomo e natura è quello che potremmo definire una sorta di topos della filosofia tradizionale cinese. A differenza di quanto traspare dalla tradizione occidentale che va dai Presocratici all’Illuminismo, passando per il Cristianesimo, nella cultura cinese delle origini la natura non è strumentale all’uomo, ma ne costituisce parte integrante, contribuendo su basi paritarie alla formazione della vita. Sotto questo profilo, il pensiero confuciano anticipa di molti secoli una sensibilità che l’Occidente ha sviluppato solo negli ultimi decenni, e che la stessa Cina ha rischiato di perdere nel caotico processo di crescita dell’ultimo ventennio.

I termini della sfida ambientale cinese sono ben noti: nel corso di pochi anni la Cina ha compiuto passi da gigante evolvendosi da sistema agricolo pre-industriale a moderna e agguerritissima superpotenza. La vittima di questo processo è stato l’ambiente. Se per molti anni la priorità della crescita ha distolto le autorità cinesi dalla considerazione di questa variabile, l’emergenza ecologica e sanitaria degli ultimi anni ha indotto un rapido cambiamento di paradigma.

Alcuni dati: con un tasso di crescita del 10,3% il PIL cinese è ormai secondo al mondo dopo quello degli USA e continua a crescere a ritmi che da un decennio a questa parte non hanno precedenti (vd. grafico a sinistra). Di pari passo con l’impennata del PIL, è cresciuto il fabbisogno energetico (soprattutto per quanto riguarda l’energia elettrica la cui domanda ha ormai superato quella degli USA). Un simile livello di energy consumption è da tempo incompatibile con le effettive disponibilità del Paese che non dispone di risorse energetiche tali da poter supportare una crescita tanto rapida.

Politiche ambientali

L’emergenza è ben nota alla dirigenza del Partito Comunista Cinese che da anni cerca di promuovere una politica di conversione energetica che si propone di ridurre il fabbisogno senza intaccare la crescita, favorendo il ricorso a fonti rinnovabili e una rapida quanto necessaria uscita dalla dipendenza carbonifera (che avvelena uomini e natura). In particolare, gli obiettivi del Partito prevedono una riduzione prospettica del ricorso ai derivati del carbonio per unità di PIL del 40/45% entro il 2020, con un ulteriore contenimento delle emissioni del 17% rispetto al quinquennio precedente e il raggiungimento di una quota di energia da fonti non fossili del 15%, sempre entro il 2020 (vd. grafico a destra).

Il monumentale complesso idroelettrico delle Tre Gole, contestatissimo per gli impatti ambientali che sta avendo su di un’area dalla spiccata vocazione turistica, è certamente una prima risposta all’enorme fabbisogno energetico di grandi città come Pechino e Shangai, ma rischia di non bastare.

La risposta della dirigenza cinese sembra quindi sempre più orientarsi verso un ampio spettro di soluzioni radicalmente innovative che finalmente consentano l’evoluzione verso un equilibrio armonioso tra popolazione e risorse, senza per questo pregiudicare gli ambiziosissimi obiettivi di crescita del Paese.

Leggi la seconda parte:  La Cina tra passato rosso e futuro verde


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