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Referendum trivelle: clima e politiche energetiche assenti

Le politiche energetiche e il clima sembrano essere i grandi assenti dal dibattito sulla consultazione del 17 aprile

Scritto da il 23 marzo 2016 alle 9:00 | 0 commenti

Referendum trivelle: clima e politiche energetiche assenti

Sono molte le informazioni e le disinformazioni che si trovano in questo periodo, sui pochi canali che s’occupano dei referendum del 17 aprile sulle trivelle. Tra le tante segnaliamo la nota di Michela Costa geologa del INGV, con ben 18mila condivisioni, nella quale si schiera per l’astensione e comunque per il NO (ossia per il mantenimento della legge per le trivelle). La giusta risposta, a mio giudizio, arriva da  Andrea Boraschi di Greenpeace Italia, 9mila condivisioni, dove l’attivista spiega le sue motivazioni per votare SI (ossia per limitare l’attività delle trivelle). E a ciò dobbiamo aggiungere una galassia d’informazioni parcellizzate come quelle sul lavoro e 6mila addetti che rimarrebbero disoccupati (a fine vita degli impianti, forse), l’aumento dei costi energetici (difficile visto che i petrolio e il gas del Mediterraneo viene scambiato sui mercati a prezzi internazionali) e così via.

Un dato che però si nota è che tutto il dibattito, pro o contro, è, in primo luogo, profondamente alieno ai tempi del mondo dell’energia. Quando trattiamo questioni energetiche si deve pensare, e qui per la politica italiana e più in generale per il Paese è un problema, ai tempi lunghi. Lunghi perché i “cicli energetici” sono di almeno 25 anni (40 tendenti a 60 per il nucleare) in quanto questa è la vita media di un impianto, fossile o rinnovabile che sia. Ciò significa che una scelta fatta oggi ha riflessi per un quarto di secolo e ciò solo sotto al profilo della produzione/distribuzione energetica. Il problema climatico deve essere analizzato a parte e di questa scansione temporale nel dibattito ci sono poche tracce. Tutta la discussione è orientata all’oggi, anzi persino questioni come i posti di lavoro che scadrebbero al fine vita delle concessioni, vengono riportati all’oggi e no a tra alcuni anni, per questioni politiche e comunicative. Tra l’altro sarebbero davvero pochi e comunque precari visto l’andamento del mercato delle fonti fossili.

Ovvio quindi che nel dibattito sul 17 aprile contino poco sia le politiche energetiche sia quelle climatiche, che sono non sui tempi lunghi ma lunghissimi, per quanto riguarda i risultati, ma imminenti sugli effetti dei cambiamenti climatici. Sarebbe utile discutere delle politiche energetiche, di come le aziende stanno stanno affrontando la situazione (Enel ad esempio) finiremo per seppellire nei fatti la Cop 21 di Parigi, nonostante notizie allarmanti sul fronte del clima ci siano eccome. Febbraio 2016, infatti, è considerato un mese gravemente anomalo, come riporta questo articolo sul Guardian, ossia è il mese più caldo dal 1880, ma così tanto che se tutti i mesi del 2016 dovessero avere la stessa anomalia, avremmo già raggiunto a dicembre 2016 l’innalzamento a 2°C della temperatura mondiale, fissato come obiettivo a Parigi per il 2100. Con ben 84 anni d’anticipo.

In questo contesto è chiaro che i ragionamenti sui tempi brevi circa il referendum da parte dei pro-fossili, siano operazioni di piccolo sabotaggio che vogliono nascondere la gravità del problema del clima connesso in maniera forte alle politiche energetiche, mentre è una sottovalutazione della valenza comunicativa delle questioni climatiche da parte dei no-fossili. A meno che non si voglia considerare la decisione “storica” di Parigi un divertissement della politica internazionale, come sembrano voler dire le dichiarazione di esponenti politici di governo, quali Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani, esponenti di punta del Pd che del resto ha invitato all’astensione, ossia al non voto. «Finché c’è gas, ovviamente è giusto estrarre gas. Sarebbe autolesionista bloccarle dopo avere costruito gli impianti, […] licenziare migliaia di italiani e rinunciare a un po’ d’energia disponibile, Made in Italy. Con il risultato che dovremmo acquistare energia nei paesi arabi o in Russia, a un prezzo maggiore» scrivono i due vicepresidenti del partito di Governo.

Ma anche le energie dei sostenitori del SI sembrano concentrarsi nella replica circa il”colpo su colpo”, andando così in secondo piano le due questioni centrali per il futuro: clima e politiche energetiche.

Per non parlare di un aspetto proprio inesistente da entrambi i fronti: la partecipazione da parte degli italiani a consultazioni analoghe. Già perché l’Italia vanta una partecipazione popolare alle iniziative referendarie in materia d’ambiente, risorse ed energia senza pari. E dovrebbe essere, una volta tanto, un plus per il Paese. Due referendum sul nucleare e uno sull’acqua hanno, infatti, centrato l’obiettivo, ossia abrogare delle leggi inique e negative sotto al profilo ambientale e sociale, mentre quello del 1990 su caccia e pesticidi non raggiunse il quorum, portando comunque alle urne il 43% dell’elettorato. Politiche energetiche, clima e partecipazione – leggi interesse alle tematiche ambientali – sembrano essere “spariti” dal dibattito referendario e dal contesto, nonostante c’entrino molto, e non è una cosa positiva. Comunque la si pensi. Si direbbe che l’Italia sia allergica a pensare al futuro.


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L'autore

Sergio Ferraris

Sergio Ferraris, nato a Vercelli nel 1960 è giornalista professionista e scrive di scienza, tecnologia, energia e ambiente. È direttore della rivista QualEnergia, del portale QualEnergia.it e rubrichista del mensile di Legambiente La Nuova Ecologia. Ha curato oltre cinquanta documentari, per il canale di Rai Educational Explora la Tv delle scienze. Collabora con svariate testate sia specializzate, sia generaliste. Recentemente ha riscoperto la propria passione per la motocicletta ed è divenatato felice possessore di una Moto Guzzi Le Mans III del 1983.


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