Reati ambientali a rischio manette
L’estensione della responsabilità penale delle imprese anche ai reati che hanno a che fare con il territorio complica la vita alle aziende, senza chiarire del tutto il quadro normativo.
Photo: Colmato il vuoto legislativo per chi deteriora gli habitat protetti - Flickr.com - Carla Manincor
Crescono le incombenze per le aziende, ma senza che questo porti a un chiarimento definitivo sulla disciplina applicabile. Gli analisti e gli operatori del mercato accolgono con diverse riserve l’estensione ai reati ambientali della responsabilità penale posta a carico delle imprese. Una innovazione arrivata a dieci anni esatti dall’emanazione del d.lgs. n. 231/2001 sulla responsabilità delle persone giuridiche.
Le novità normative
Il d.lgs. n.121/2011, entrato in vigore a metà agosto, prevede l’incriminazione di comportamenti fortemente pericolosi per l’ambiente. In particolare, il testo recepisce la Direttiva 2008/99/Ce sulla tutela penale dell’ambiente e la direttiva 2009/123/Ce, introducendo nel Codice penale i nuovi reati di “Uccisione, distruzione, cattura, prelievo, detenzione di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette” (art. 727-bis) e di “Distruzione o deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto” (art. 733-bis). Apporta inoltre delle modifiche al Testo unico ambientale (d.lgs 152 del 2006) ed estende agli Enti e alle persone giuridiche la responsabilità amministrativa anche per i reati ambientali (d.lgs 231 del 2001). «La principale novità spiega Francesco Bruno, docente di diritto ambientale presso l’Università degli studi del Molise è che tra questi reati ora rientrano fattispecie penali ambientali come la violazione della normativa sui rifiuti, sugli scarichi di acque reflue, sulla bonifica dei siti contaminati». Questo muta radicalmente lo scenario perché, rispetto ai reati fin qui compresi nella 231, quelli di natura ambientale costituiscono una categoria molto più ampia e diversificata. Il che richiederà un adeguamento non uniforme, ma da definire caso per caso in base all’ambito di attività e alle peculiarità delle varie aziende.
Cosa cambia per le aziende
Secondo Francesco Bruno, «le aziende dovranno intensificare i controlli di gestione ambientale, per far sì che non vengano commesse violazioni che potrebbero danneggiare gli habitat e redigere, se non l’hanno ancora fatto, o implementare, se già lo hanno predisposto, il modello comportamentale previsto dal decreto 231/2001». Prosegue spiegando che «solo in questo modo potranno, in caso di danno all’ambiente,provare all’Autorità giudiziaria di aver posto in essere tutte le misure necessarie alla preservazione degli ecosistemi. Si tratta di un passaggio delicato, in quanto molti reati ambientali estesi al d.lgs. 231/2001 sono contravvenzionali, ossia è tendenzialmente sufficiente l’elemento soggettivo della colpa per integrarne la condotta». Christian Bernieri, amministratore delegato della Bernieri Consulting (azienda che si occupa di consulenze nel settore ambientale), sottolinea come «la maggior parte delle imprese non ha compreso fino in fondo il quadro normativo e non ha piena consapevolezza di cosa fare».
Tuttavia alcuni nodi restano irrisolti, come sottolinea l’avvocato Maurizio Arena: «Purtroppo nulla si dice sulla rilevanza delle certificazioni ambientali (Iso 14001 in primis) in relazione al contenuto e all’attuazione del modello organizzativo 231. Le aziende con maggiori rischi hanno già messo in piedi un sistema di gestione ambientale, altrimenti dovranno procedere in questa direzione, con qualche ulteriore costo di implementazione. Il modello può partire da lì, ovviamente, ma richiede ben altro: dalla formazione del personale ad appositi audit sulle aree a rischio; dal sistema disciplinare al controllo del sistema da parte dell’Organismo di vigilanza». Giuseppe Onufrio, presidente di Greenpeace Italia, osserva: «Rispetto alla prima stesura, vengono attenuate le sanzioni relative agli obblighi Sistri e vengono eliminati i reati legati alla autorizzazione integrata ambientale. Le modifiche apportate al 231/2001 non introducono, per la classe di reati ambientali legati ai settori produttivi industriali, alcuna sanzione “proporzionale, efficace e dissuasiva”, segno che, ancora una volta, le pressioni della parte industriale hanno avuto la meglio sull’interesse generale».
Per Bernieri, «gli unici motivi che rendono più consapevoli e sensibili le imprese sono i vincoli autorizzativi di carattere locale». Lo spostamento del rischio ambientale dalle persone fisiche a quelle giuridiche avrà effetti rilevanti per Bernieri «poiché i reati ambientali collegati al d.lgs. 231/01 verranno contestati e sanzionati dalla magistratura.
I veri costi per le aziende saranno sopportati da chi incapperà nelle maglie
della giustizia, che si troverà a dover pagare un prezzo molto alto, conseguente a una responsabilità sottostimata».
L’inganno delle contravvenzioni
Analizzando il combinato disposto tra norme vecchie e nuove, Fulvio Mamone Capria, presidente della Lipu, ritiene che «le violazioni del 727-bis e del 733-bis, cioè i danni provocati da enti o aziende a specie protette o siti e habitat naturali, saranno sanzionati pecuniariamente con quote che vanno da 150 a 250 euro, mentre la sanzione pecuniaria per chi danneggia specie o habitat naturali potrebbe andare da 37 mila a 375.000 euro». Tuttavia Arena ricorda che tutti questi reati sono stati classificati come contravvenzioni, che possono essere puniti anche a titolo di colpa (in ipotesi anche lieve): la prevenzione dei nuovi reati passerà praticamente per la prevenzione di singoli inadempimenti anche dovuti a negligenza del personale di una certa azienda». Dello stesso avviso Giuseppe Onufrio: «Questo genere di sanzioni non ha efficacia nel funzionare come deterrente dei comportamenti ambientalmente illegali e, oltre a presentare un alto rischio di prescrizione, non consente strumenti di indagine come le intercettazioni o l’applicazione di misure cautelari per chi è indagato».
Il quadro generale di tale approccio normativo, probabilmente involontario da parte del legislatore delegato, avrà effetti positivi per indirizzare il nostro sistema produttivo nazionale verso uno sviluppo sostenibile? Secondo Francesco Bruno, «dobbiamo attendere almeno qualche anno per avere una seppur sommaria risposta, sperando che non vi siano ulteriori incauti interventi legislativi nel settore ambientale».
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L'autore
Anna Simone
Anna Simone è una Sociologa Ambientale e si occupa di tematiche ambientali dal punto di vista sociale e culturale, contestualizzando quello che succede al posto in cui è successo per comprenderlo, analizzarlo e spiegarlo. È autrice del blog Ecospiragli.
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