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Il ruolo preminente della strada urbana | Tekneco

Il ruolo preminente della strada urbana

Articolo scientifico scritto da Alfonso Annunziata - Dipartimento di Architettura, Università degli studi di Cagliari - sul ruolo preminente della strada urbana.

Scritto da il 28 ottobre 2011 alle 12:15 | 0 commenti

Il ruolo preminente della strada urbana

Alfonso Annunziata
Dipartimento di Architettura, Università degli studi di Cagliari

Stato delle strade urbane
Non è arduo notare come la strada urbana sia oramai un panorama vuoto, povero, pervaso di un senso di muta apatia.
Come nota Koolhas, essa non è che “un residuo, un congegno organizzativo, un mero segmento del piano metropolitano” e “lo spazio aperto della città non è più un teatro collettivo dove qualcosa accade: non resta più nessun qualcosa collettivo”.
Un uso esasperato delle auto, e una tesi che ne emana di pensare l’area urbana per le auto, ponendo le sue pretese come spunto e base di un nuovo e povero modo di pensare il panorama urbano sono una causa di una sua crisi estesa. Ancora, una non meno forte causa è la pretesa di pensare l’area urbana come un robot, ponendo una forte enfasi su una piena adesione a severi standard. Tali tesi sono eco e apice di una fede in una utilitas reputata vero e unico senso e statuto del nuovo ordine con cui il pensiero moderno si propone di fondare un suo sano e decoroso habitat. La funzione avoca pertanto a sé un nuovo potere; essa emana da un sapere vasto, preteso sicuro ed esente da mancanze, da cui mutua i suoi standard e un senso di vero che non si può opinare; non meno essa reputa e persuade di poter esaudire le necessità dei suoi utenti; pertanto dona al nuovo ordine che si propone di emanare un senso di status equo, sano, prospero. Due sono i nocivi esiti che emanano da tale modo di pensare. Pensare un area urbana come un robot, presume che le sue parti siano deputate a una data e precipua mansione. La strada è così mero “spazio del movimento”, e perde il suo status di set di un vasto novero di eventi. Non meno, reputare l’area urbana feudo dell’auto e un suo uso via via più esteso causano un acuto aumento del rumore, di gas e polveri, del numero di persone morte o ferite, ma pure un oneroso sperpero di suolo. Tali fenomeni sono la causa di un panorama urbano vuoto e povero, che il pedone reputa non suo e in cui non sosta. Come nota Appleyard un aumento del numero di autovetture è fonte di un forte calo del numero e del tenore di modi d’uso di cui il tessuto urbano è teatro. Da ciò non emana solo un panorama più povero, ma pure una nociva ed estesa erosione del tessuto sociale. Ancora, reputare un parco novero di standards unico spunto su cui fondare il percorso ideativo svuota l’opera di una parte non vana del suo senso, ne censura lo statuto poetico come ornato vacuo e causa ed esaspera, pertanto, l’opaca e mesta anomia che permea il panorama urbano. Un tanto avaro e anemico etos, in più teso a secondare e a promuovere un uso, ove non un abuso, dell’autovettura, pone come suo nocivo esito l’onerosa espansione di vasti e mesti vuoti che svuotano ed erodono la trama urbana. Vaste zone per la sosta, boulevard maestosi, ponti, rampe, e le zone-residuo, mute e spente che si estendono tra tali opere o le coronano, evocano cesure ampie e sorde, rompono la coesione del panorama urbano e ne lacerano la trama. Creano brani urbani vasti e radi e rendono più tenui e precarie le unioni tra parti del panorama urbano; provocano la sua esplosione in un mosaico di frantumi, tra cui la sola arida unione è data dal poter muovere tra essi; ovvero, non vi è più l’orma di una vera e sana coesione che emani dal ritmo nitido e posato di una poetica severa, ponderata.
Rem Koolhas nota come “l’ascensore, con la sua possibilità di creare collegamenti meccanici anziché architettonici, e il complesso di invenzioni che da esso derivano, annullano e svuotano il repertorio classico dell’architettura. Questioni di composizione, scala metrica, proporzioni, dettaglio sono ormai accademiche”; questo teorema, se viene esteso a una trama urbana sempre più ampia e alle sue vaste e vuote pause, espone e consente di capire le cause dell’anomia che la pervade.
Bruno Secchi parla di una opaca “assenza di un’esperienza significativa” del panorama urbano, causata da una sorda e avara povertà semantica di uno “spazio aperto… enormemente dilatatosi” che “sembra essersi polverizzato in un insieme episodico di frammenti da loro collegati da spazi privi di un chiaro statuto”.

Il recupero dei vuoti urbani

Figura 1 – il tessuto urbano antico è connotato da una trama urbana densa, in cui i percorsi non ampi evocano un senso di serena e amena quiete

Sanare l’acuta e vasta crisi, l’anomia e la penuria di contenuti dei vuoti urbani è il dovere e il senso da cui un loro colto recupero non si può esimere. Tale dovere, il tenore vario e denso di note e contenuti di un’area urbana e le mancanze di un pensiero moderno, opaco, che non sa più donare un acuto e sano statuto ad aree urbane via via più estese, rade e povere, persuade a maturare un modo di pensare nuovo e di vasta portata, il cui tema e la cui nota sia il paesaggio, nel suo senso più vero di esito del potere formante di uomo e natura, eco e prova di una unione in perpetuo fieri tra un sito e i suoi utenti, e da cui il sito mutua il vasto novero di contenuti, di toni, di fermenti di cui è pervaso.
Chris Waldheim, citando Stan Allen, preside della facoltà di Architettura dell’Università di Princeton, nota che “il paesaggio sta emergendo come un modello per l’urbanistica” e, come persuadono a credere le opere di James Corner o di Rem Koolhas, per un vasto e colto recupero di vuoti, di zone-residuo, di scarti di una vorace espansione urbana e di brani del panorama urbano che paiono zone d’ombra, oscure, feudo del caso.
Il paesaggio deve avocare a sé la veste di panorama e di senso di un’opera di recupero di una strada urbana; come sfondo esso esorta a reputare una strada come parte di un brano urbano vasto e denso di note, di toni, di contenuti che emanano dal tenore di una mai costante unione con i suoi utenti. Il vero senso di una strada non emana solo dal nesso che essa evoca e pertanto dal numero di auto che si presume o si reputa doveroso ospiti, ma emana dal suo far parte di un panorama urbano avente un suo ego e una storia. Ciò rimanda al senso di un’area urbana come medium e come esito del continuo mutare e maturare di una civitas e del suo vero e puro io. Mutare lo status quo presume pertanto mutare il senso di un brano urbano. Non è arduo notare che un’opera, se sorda al sito, lo prevarica, ne oscura e depaupera l’io, lo rende più povero e vuoto. Un’opera deve invece saper donare al sito un nuovo senso, deve rendere il suo contenuto più vasto e ferace. Pertanto l’uomo deve saper udire la voce del sito e deve reputare tale voce lo spunto su cui fondare un oculato iter ideativo.
È bene pensare l’opera come fase di un iter, del mutare di un’area, e pertanto, coerente al suo stato presente.Marot espone tale tesi proponendo la metafora, coniata da Corajoud, del discorso, cui una persona non può prender parte senza tener conto di tesi e pareri altrui, e senza avere come scopo portare un nuovo contenuto, un nuovo spunto, onde far prosperare la conversazione. Ovvero, si deve pensare il progetto come un iter in cui l’autore deve udire la voce del sito e la voce del futuro utente, le sue pretese, i modi d’uso che prevede o propone, e deve mediare tra questi e le tesi e il credo che pervadono la sua poetica.
Come si può capire il senso di un sito? Per Girot l’autore deve in primis sentire il sito, esperire una scoperta emotiva ed empatica di un’area, e prendere nota di pensieri e di opinioni in nuce, che così si formano. è uno stadio in cui l’uomo non pensa, non medita; mutua dal sito una nota emotiva, una sensazione; così come nel conoscere una persona è bene maturare una opinione in modo autonomo, così nel conoscere un sito, l’autore non deve esitare a maturare una sua precipua opinione; e come nel conoscere una persona, un peso non secondario è detenuto dal novero di sensazioni scaturite dal primo incontro.
A tale fase deve seguire un periodo di esame severo di cause e forze da cui il sito mutua note, toni e statuti del suo io. è questa la fase del grounding, in cui l’autore non deve trascurare né la storia, né l’economia o i fermenti sociali, né il suolo o il clima,né la dote,i tesori, di un sito. Come nota Girot non si deve prender nota solo di cosa si vede ma, pure dei contenuti più ideali e incorporei di un sito, come riti, usi, eventi, fedi e opinioni di cui il sito è o fu scenario.A tale fase segue la scoperta. La scoperta è esito sia di un evento casuale, che traspare in un senso di stupore, sia è esito di uno studio accurato. La cosa trovata, sia un ente concreto o la memoria di un evento, è la nota, il quid, che dona un senso unico al sito, e che l’autore pone come base del percorso ideativo. Ma scoperta evoca pure il percorso che porta una persona a trovare. è un iter aperto a un vasto novero di esiti, e che l’opera non deve e non può normare. Pertanto se la “cosa trovata” è per l’autore la nota da cui trae spunto l’idea, il senso di scoperta come percorso aperto, è lo status che deve donare alla sua opera, proponendola sia come ente da scoprire, sia come medium per esperire il sito.
Capire il vero io di un sito è pertanto lo spunto su cui deve vertere il recupero di un vuoto urbano o in senso più vasto l’atto del fondare; esso evoca la fase in cui l’uomo compone un’idea e le dà corpo, donando al sito una nuova veste e un nuovo statuto o una nuova nota o tono al suo contenuto. Come coniare una nuova parola, o donare a una parola un nuovo senso è parte del mutare di un idioma, ne rende più vasto il contenuto, e ne muta l’uso da parte dei suoi utenti, ove consenta loro di dare voce e forma a una nuova idea, così “fondare” presume una nuova fase e un nuovo dato nel processo che forma l’io di un’area.
In tal senso il paesaggio è pure il senso vero di un’opera. Ciò presume donare a un’opera il senso sospeso di stato temporaneo, in fieri, di percorso aperto e lo status di panorama pervaso di un vasto novero di note e sensi e propenso a dare adito a un non meno vasto novero di opinioni, pareri e in primis di usi. Pensare un’area come set di un vasto novero di usi, in cui l’utente è uso e ama spendere una parte non povera del suo tempo, rende più forte l’unione tra uomo e sito, e dona al sito un nuovo status e un senso più fecondo, ove le persone, se ne sono autori e utenti in vari modi, lo vestono di un ampio novero di nuovi sensi e di nuovi status; ciò persuade l’uomo a reputare il sito come parte e come fonte del vero io della sua comunità.
Non meno, pensare una strada come parte di un brano denso di contenuti presume che i modi d’uso che promuove siano esito ed eco del vero status del sito e di usi ed eventi di cui il panorama urbano, le frontiere e la sfera privata, sono alveo. Si deve notare che modi d’uso non consoni al vero io di un’area, oscurano tale io, lo svuotano del suo senso, e rendono povera, vuota, precaria, l’unione tra uomo e sito. Rendono il sito uno sfondo muto e assente, che non prende parte, non dona una nota, un tono, un sentore suoi, ai modi d’uso che ospita,e non trae da essi alcun nuovo contenuto. Ciò presume pensare il sito come un mero e neutro “spazio”, da usare, ma verso cui si reputa di non avere alcun dovere.

Figura 2 –Barcellona, Gran Via de les Corts Catalanes. L’opera di Carmen Fiol e Andreu Arriola, persuade a pensare il recupero di un boulevard come occasione per dare un nuovo valore a un panorama urbano; foto di Beat Marugg; da www.e-architect.co.uk

Se ciò è vero, è doveroso non solo desumere dal vero io del sito il peso che le auto devono avere in seno a una strada, ma pure reputare l’uomo suo utente prioritario, ponendo come base del recupero di essa il teorema che invita a “privare le autovetture dello spazio superfluo e restituirlo ai pedoni”. Contenere il peso che le auto paiono avere in seno al panorama urbano presume censurare modi d’uso da cui un numero contenuto di persone trae un beneficio, ma da cui emana un vasto e acuto onere per un numero ben più ampio di persone, per cui la strada perde lo status di scenario in cui poter stare. è bene pertanto promuovere un più esteso ricorso al trasporto di massa, contenere il numero di auto in sosta su strada ed esonerare taluni percorsi, in zone a forte statuto storico o abitativo,da un oneroso e copioso “traffico di attraversamento”.
Non è arduo notare che una strada senza auto è un panorama in cui il pedone non deve temere per sé, in cui non è oberato da un acuto carico sonoro e in cui si può muovere senza penare in percorsi tortuosi o ben poco ampi.
La strada deve però recuperare la sua veste di agorà, in cui le persone si muovono a piedi, in cui sono use e amano stare, in cui conversano o si siedono, in cui sostano per una pausa serena, per pensare, per evadere da routine onerose, per perdersi tra le parole di un libro, per udire un suono o captare un aroma, per esperire il panorama urbano, per sondare il vasto novero di toni e note e storie di cui è pervaso; i bambini vi devono poter giocare. L’utente deve poter mutuare dal panorama urbano un senso di stupore, un vasto e sereno novero di note emotive; vi deve star bene.
Un panorama denso di persone, vivo, esorta ancor più persone a sostare; l’uomo ama stare dove vi sono numerose persone.Tale fenomeno è spunto per recuperare una forte e pura coesione sociale.Pervenire a tale fausto esito, presume donare a una strada lo status di brano urbano ameno, aperto, luminoso, non precluso a persone menomate, in cui l’utente non deve temere per sé, in cui i suoni siano tenui e non meno tenue e posato sia lo scenario termico.
Tale tesi persuade a maturare un nuovo percorso creativo il cui focus siano canoni e cautele che emanano da un esame dei fenomeni che mutano il senso di comfort di un utente e uso a ponderare il peso detenuto dai componenti di un panorama urbano (prati, cortine verdi, arredi, la natura di pareti e suoli che coronano il vuoto) nel mutare lo status di un sito, il comfort, nel donare a esso una pura e posata eufonia. Non avare di spunti sono in tal senso sia la Rambla de la Ronda del Mig di Jordi Heinrich e Olga Tarrasò, sia la Gran Via de les Corts Catalanes di Andreu Arriola e Carmen Fiol.

Il tema compositivo
Non meno la strada deve donare al panorama urbano una nota di venustas,e una ratio severa e forte. La prudenza è doverosa. è bene notare che, nel caso in cui l’area emani un forte genius loci, l’opera deve optare per un tono più cauto e tenue. La strada deve in tal caso promuovere la scoperta di un’area, proponendosi come evento che non ne turba né oscura la ratio, ma le dà voce, e un tono più acuto.
Viceversa, nel caso in cui il senso del luogo sia vago, la strada deve evocare una poetica forte, avocando a sé la veste di norma tesa a donare un senso vero e nitido al vuoto urbano.

Figura 3 – Veduta area di Piazza del Campo a Siena. Notare la trama radiale che istoria il parterre; foto: Citypictures.org

A tale scopo, la poetica che pervade l’opera deve avocare a sé il senso di “progetto di suolo”, di estro che pur proponendo un austero repertorio di severi e poveri fonemi, sa dar vita a forme nuove e mai scontate, sa donare al panorama urbano un tenue pathos, un nuovo senso e una severa ratio, non esente da una tenue e pura nota retorica, sa dare adito ai modi d’uso di cui l’opera è reputata proscenio e sa evocare una vasta rete di nuove unioni.
Tale status non deve però dare adito a un vacuo edonismo; è un esame severo, ma non avaro di acume, del particolare e dei vari componenti di un vuoto urbano, sancendo una piena osmosi tra utilitas e venustas, a donare a un’opera una serena eufonia.
Vale la pena notare, per esempio, come la sontuosa armonia che pervade la trama urbana senese non sia esito di maestose “mi-rabili architetture” ma emani da una “costante attenzione alla soluzione di problemi tecnici di dettaglio” il cui apice è l’armonia di Piazza del Campo, il tenue calore evocato dal suo suolo, la sua pendenza e la trama che la orna, in cui soluzioni pensate per lo scolo delle acque sono al contempo segni di raro tenore retorico e da cui l’opera trae una fiera nota scultorea.
Il medesimo “sofisticatissimo minimalismo” traspare dalla ratio che pervade il Fossar de les Moreres, e è esito del tono austero che emana dai materiali, della trama che orna il parterre e del suo sinuoso andamento concavo.
Non secondario né vano scopo di un nuova poetica è sanare è l’opaco contenuto emotivo che emana dal panorama urbano moderno, ovvero la “assenza di un’esperienza sistematica e significativa dello spazio aperto”.
è pertanto buona norma sancire un nesso forte e denso di toni e contenuti tra le varie pause del panorama urbano, pensare i vuoti urbani come note di un unico brano, come snodi di un racconto coeso e coerente che, esito di un verbo poetico che si palesa in forme sempre nuove, enumera una vasta varietà di “trovate”, evocando un panorama urbano vario ma concorde e armonico. Esso dona al tempo che un utente vi spende un tenore e un sapore di scoperta continua,venata di una nota di stupore. In tal senso, un panorama urbano che propone un mosaico di sinuose vie e vuoti più vasti, che propone ora la muta e ombrosa pace di strade non ampie, ora il pathos sonoro di più estesi vuoti desta un vario novero di note emotive; ne sono prova le parole di Secchi che, citando il pensiero di Proust, esorta a notare il forte peso emotivo detenuto dalla netta escursione tra la “pressione esercitata dallo spazio ristretto delle calli veneziane e del loro susseguirsi e l’improvviso dilatarsi del campo o della vista sul bacino e la laguna”.

La teoria dei frattali

Figura 4 – Particolare del Fossar del les Moreres opera di Carmen Fiol e Andreu Arriola; da “Costruire in laterizio N. 101”, settembre 2004, Casals Lluis, Plaza del Fossar de los Moreres, p.33

Non è vano notare, ancora, come una fonte da cui mutuare una nuova poetica, tesa a sanare l’erosione del panorama urbano, è la teoria dei frattali.Tale tesi propone come nomos del panorama urbano una trama frattale e persuade pertanto a maturare una nuova, severa, feconda, poetica il cui corpus di canoni verta sui temi di Proporzione e Scala; ovvero, tale tesi, presume un coerente e severo mosaico di enti e trame di varia misura, teso a evocare una pacata e armonica osmosi e unione, una serena consecutio, tra la scala del particolare e le scale più ampie. L’idea che pervade un tale nuovo pensiero, pertanto, è che dar forma a una trama urbana densa, scavata da percorsi sinuosi, coronati da fronti erosi da cesure e pause, in cui si pone una nuova e colta enfasi su un severo esama del particolare, promuova una copiosa e non avara osmosi tra parti del tessuto urbano, tra sfera privata e spazio aperto e una sana e ferma unione tra civitas e urbs.Si suppone pertanto che il vasto recupero di una organized complexity restauri il senso evocato dalla città pre-moderna di vero e ameno habitat dell’uomo. Una trama frattale esuma una remota unione tra uomo e natura, una tenue e sopita memoria atavica, ed evoca la vera e pura natura umana.
Non è arduo presumere che un mosaico urbano denso e vario, e non avaro di note e spunti, di sorprese, evita che la mente umana mutui dal contesto un opaco senso di torpore, ove un panorama vuoto e povero può, invece, rendere più arida e povera la mente umana.
Ancora, per acuire la coesione tra la persona e il sito, è bene reputare come spunto e input di un’opera l’uomo, la portata dei suoi sensi, il modo in cui si muove, onde mutuare da essi il ritmo e la scansione del panorama urbano. Si noti, per esempio, come un portico in cui il passo tra le colonne sia “a misura d’uomo”, ovvero compreso tra uno e tre metri, desti in un utente un senso e una nota di comfort in quanto costui si sente consonante con il sito, si sente suo padrone e non prova il senso di spaesamento evocato da una cesura, da un acuto salto di scala tra sé e il contesto; tale molesto sentore emana non di rado da scenari urbani vuoti e ampi in cui l’uomo si sente perso o estraneo, che teme e che sente pesare su di sé.

Conclusioni
Un vuoto urbano, se offre un panorama ameno e pervaso di un senso di posata eufonia, esorta l’utente a sostare,si propone come scenario da cui mutuare un senso di serena pace e di stupore. In tal senso, una nuova poetica, che dona un nuovo peso e un nuovo senso a un esame severo del sito e del tema compositivo, che dona un vasto novero di contenuti al panorama urbano e lo apre a un non meno vastonoverodieventi,nonècultodiunavana estetica, o di orme di ere remote, di una vacua memoria, ma è un atto dovuto per restaurare il connettivo urbano come scenario fecondo e vivo, in cui nasce una sana e coesa civitas e in cui matura il suo vero io. Tale opera deve in primis porsi come scopo il recupero di percorsi locali, a forte statuto abitativo o storico, o in cui numerosi siano i caffè, i ristoranti, le boutiques, ove più acuta e urgente è per le persone la necessità di scenari in cui poter stare o muovere, idonei a promuovere e dare adito a un vasto e fecondo novero di occasioni.
Non meno un recupero di vasti brani del panorama urbano presume pensare e fondare la mobilità urbana su una estesa rete di trasporti di massa; questa deve servire e saper esaudire una cospicua quota parte della domanda di trasporto, onde persuadere un ampio numero di utenti a optare per un meno oneroso modo di muoversi verso o entro un’area urbana e onde pervenire al non meno auspicato esito di contenere un esasperato e oneroso uso del veicolo privato.

Ricerca finanziata dalla Regione autonoma della Sardegna, con fondi a valere sul programma Operativo Fse Sardegna 2007-2013 – L. R. n° 7, 7 agosto 2007, promozione della ricer- ca scientifica e dell’innovazione tecnologica in Sardegna


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