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La nostra acqua quotidiana

Come il settore delle bevande sta riducendo l’impatto ambientale

Scritto da il 08 aprile 2015 alle 8:00 | 0 commenti

La nostra acqua quotidiana

Gli inglesi hanno le idee chiare sul destino delle bevande: anche il settore beverage deve intraprendere un percorso di sostenibilità. Perciò il governo britannico, in collaborazione con la British Soft Drink Association, ha sviluppato un percorso, la Soft Drink Sustainable Roadmap: è un’iniziativa di carattere volontario, sviluppata con l’obiettivo di migliorare la sostenibilità del settore delle bevande analcoliche. “Il settore delle bevande è una parte importante dell’economia britannica, che genera 7,7 miliardi di pound all’anno e impiega più di 20.000 persone – spiega George Eustice, sottosegretario all’Ambiente, nella prefazione della Roadmap. – Questa iniziativa assicurerà che questo settore costruisca il suo successo, creando un’industria sostenibile che utilizza le risorse in maniera efficiente. Questo è un bene non solo per l’ambiente, ma anche per il business”. La Roadmap riguarda cinque aree chiave: – Riduzione dei rifiuti: per lo sviluppo di una piattaforma per promuovere best practice nella riduzione dei rifiuti e muoversi verso l’obiettivo zero rifiuti in discarica. – Riduzione delle emissioni di CO2: per puntare ad aumentare l’efficienza e promuovere best practice, in particolar modo per una migliore comprensione delle opportunità di riduzione delle emissioni. – Materie prime: per la diffusione di informazioni al fine di una migliore comprensione delle potenzialità di riduzione dell’impatto ambientale nell’utilizzo di materie prime. – Imballaggi: lo scopo è di diminuire al minimo indispensabile gli imballaggi. – Efficienza acque: per incoraggiare l’uso efficiente dell’acqua nella catena di produzione e contribuire all’obiettivo della Federation House Commitment di ridurre i consumi di acqua del 20% al 2020 rispetto ai livelli del 2007. I migliori risultati sono stati ottenuti sul fronte della riduzione dei consumi di acqua: tra il 2007 e il 2013, i 70 firmatari, tra cui Unilever, Coca Cola e Nestlè, hanno collettivamente raggiunto una riduzione del 15,6% dei loro usi (esclusa l’acqua contenuta nei prodotti finali). L’equivalente di 6,1 milioni di metri cubi, o 2.430 piscine olimpioniche. Anche l’uso di acqua per prodotto è diminuita, del 22% rispetto al 2007, mentre nello stesso periodo la produzione è aumentata dell’8,2%. Intanto, però, dalle pagine del Guardian le stesse aziende firmatarie sono accusate di non avviare l’innovazione rispetto a un nuovo materiale sviluppato dalla Novelis, che avrebbe la potenzialità di alzare la parte di materiale riciclabile e riciclato. Le nuove lattine prodotte con questo materiale, infatti, sarebbero composte per una percentuale più alta, ovvero fino al 90%, da alluminio, materiale riciclabile al 100%. In Italia: ridurre gli impatti. Nell’ambito del raggiungimento degli obiettivi del Pacchetto Clima Energia, il ministero dell’Ambiente ha promosso e supportato delle iniziative volontarie legate ad alcuni settori produttivi, tra cui quello delle bevande, per la valutazione dell’impronta ambientale. In particolare, attraverso il programma, le aziende aderenti sono incoraggiate a calcolare la carbon footprint, per avviare in seguito azioni di riduzione delle emissioni dei gas ad effetto serra, e della water footprint. L’obiettivo è di realizzare un test realistico per la sperimentazione su vasta scala, e successiva ottimizzazione, delle differenti metodologie di misurazione delle prestazioni ambientali, tenendo conto delle caratteristiche dei diversi settori economici, al fine di poterle armonizzare e renderle replicabili. Il programma italiano oggi coinvolge più di 200 soggetti, tra aziende, comuni e università: tra queste, le aziende del settore beverage San Benedetto, Illycaffè, Carlsberg Italia, Birra Castello, Latteria Soresina, Eurovo Srl, Lactalis, Lavazza. L’adesione avviene attraverso un accordo di natura volontaria stipulato direttamente con il Ministero, oppure attraverso procedure di selezione pubblica promosse e finanziate dal Ministero.

UN TRENO PER L’ACQUA MINERALE

Il trasporto delle merci su gomma, come è noto, contribuisce all’inquinamento ambientale, aumentando la quota di anidride carbonica immessa nell’ambiente. L’industria dell’acqua minerale, consapevole di essere al centro del dibattito sull’effettiva utilità del bere acqua in bottiglia e del suo impatto ambientale, nel corso degli ultimi anni ha aumentato le iniziative in favore della riduzione della propria impronta ecologica. Negli ultimi anni, infatti, l’attenzione è stata puntata sulla riduzione degli imballaggi, con iprogrammi di Light Weitghting (‘alleggerimento del peso’). Inoltre, come riporta il sito dell’associazione Mineracqua, una parte del trasporto dell’acqua in bottiglia avviene tramite trasporto ferroviario, riducendo conseguentemente quello su gomma, attraverso investimenti sostenuti dalle marche nazionali. Contro una media nazionale del ricorso al trasporto ferroviario per le merci di circa il 6%, l’acqua minerale raggiunge il 15% (dati Trenitalia, fonte Mineracqua). L’impatto delle acque minerali rimane comunque notevole: sempre secondo i dati Mineracqua, ogni anno vengono messi in commercio circa 2.200.000 tonnellate di imballaggi in plastica, di cui quasi un quinto, 400.000 tonnellate, è costituito da contenitori in PET. Tra questi, 250.000 tonnellate sono bottiglie in PET per l’acqua minerale. Il sistema Conai-Corepla riesce a riciclare circa 170.000 tonnellate, di cui 100.000 provenienti dall’acqua minerale. Rimane sempre la domanda: è necessario bere acqua in bottiglia? Secondo il Parlamento la risposta è no: un’altra grande novità tutta italiana è contenuta nel nuovo Collegato Ambientale 2014, in cui è previsto l’obbligo di inserire nei bandi e documenti di gara per la fornitura di beni e servizi delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali contenute nei Criteri Ambientali Minimi, pari almeno al 50% del valore della fornitura nel settore della ristorazione collettiva e delle derrate alimentari, e che, quindi, comprende anche il settore delle bevande. I criteri, chiamati Criteri Ambientali Minimi, sono contenuti nell’allegato 1 Piano d’Azione Nazionale sul Green Public Procurement (PAN GPP), parte integrante del Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi della pubblica amministrazione. Tra i criteri ambientali “di base”, ovvero obbligatori, si prevede esplicitamente che “Non dovrà essere previsto l’utilizzo di acqua e bevande confezionate se non per specifiche e documentate esigenze tecniche (logistiche e igienico-sanitarie). Dovrà pertanto essere individuata la soluzione più idonea in base all’utenza e al contesto, prevedendo l’utilizzo di acqua e bevande sfuse: distribuzione di acqua di rete, distribuzione di acqua microfiltrata e bevande alla spina naturali e gassate (da concentrato).” Le bottiglie di plastica saranno quindi bandite dalle mense pubbliche.

AL RISTORANTE: RUBINETTO SÌ, RUBINETTO NO

“A steak and tap water!” – a Londra è usanza comune chiedere come bevanda nei ristoranti della semplice acqua del rubinetto: perfino nei locali di lusso e con cibi decisamente poco ecofriendly, nessun ristoratore inglese si sognerebbe mai di rifiutarsi di servire acqua del rubinetto, gratuitamente. Lo stesso in molti Paesi del Nord Europa; al contrario, in questi Stati l’acqua in bottiglia è carissima, a volte persino più costosa di bibite gassate, tanto che molti italiani in vacanza rientrano con la convinzione che all’estero non si beva acqua. E in Italia? L’abitudine di bere acqua del rubinetto al ristorante da noi non è molto diffusa: in parte questo è dovuto all’erronea convinzione che l’acqua in bottiglia sarebbe “più buona”, per cui ciò che accade nei locali pubblici non è altro che un riflesso delle abitudini casalinghe. Gli italiani, infatti, sotto la tempesta di pubblicità inneggianti la presunta maggiore salubrità delle acque minerali, sono grandi consumatori di bottiglie di acqua. Perciò i ristoratori più avveduti, e forse anche eco-friendly, hanno iniziato a distribuire acqua microfiltrata, venduta nel rispetto della normativa in merito ai requisiti contenuti nel Decreto Legislativo 2 febbraio 2001, n. 31 “Attuazione della direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano”: “tranquillizza” il cliente e, qualora inclusa nel listino prezzi, può essere pagata. Invece, chiedendo l’acqua del rubinetto al ristorante, nella maggior parte dei casi si incontra l’evidente riluttanza dei ristoratori, che di solito declinano con le scuse più varie. Una delle risposte è che “non hanno acqua potabile”: questo è assolutamente falso, in quanto la potabilità dell’acqua è uno dei requisiti contenuti nell’Ordinanza del ministero della Salute del 3 aprile 2002, “Requisiti igienico-sanitari per il commercio dei prodotti alimentari sulle aree pubbliche”. In base a questa ordinanza, all’art. 7 “Attività di somministrazione” si prevede che l’esercizio deve “avere una adeguata erogazione di acqua potabile, avente i requisiti indicati all’art. 1, comma 1, lettera l”, ovvero le stesse caratteristiche contenute nel già citato d.lgs. 31/2011. Per completezza, l’unico caso di non potabilità dell’acqua di un ristorante potrebbe essere quello di un’ordinanza del Sindaco che per ragioni di salute pubblica vieti l’utilizzo dell’acqua corrente, ma di questo il ristoratore ne sarebbe informato. Un’altra scusa, spesso menzionata, è che il ristorante “non è autorizzato a distribuire acqua del rubinetto”: anche questo è falso, in quanto non esiste un’autorizzazione di questo tipo. Inoltre, il medesimo locale già fornisce la stessa acqua potabile tramite il ghiaccio per le bevande; e infatti, come chiarito dall’Ordinanza del ministero della Salute, l’acqua impiegata per la produzione di ghiaccio deve possedere “i medesimi requisiti” previsti per l’erogazione dell’acqua potabile. Queste risposte in realtà vanno a coprire una semplice necessità di affari: anziché distribuire acqua gratis, conviene venderla. Operazione assolutamente legittima e comprensibile, soprattutto in tempi di calo degli introiti per la crisi economica, ma non supportata da alcuna normativa. Il ristoratore potrebbe perfino vendere l’acqua della rete idrica, e per certi versi questo è quanto già accade con l’acqua microfiltrata; per mettere in vendita acqua del rubinetto è sufficiente inserirla nel listino prezzi. D’altro canto, nessuno può obbligare il ristoratore a fornire al cliente un bicchier d’acqua gratuito del rubinetto: è una cortesia, non un obbligo di legge. Per riconoscere i ristoratori “cortesi”, verso l’acqua e verso l’ambiente, una campagna di Altreconomia e Legambiente ha promosso la campagna “Imbrocchiamola”: al sito www. imbrocchiamola.org sono segnalati i locali dove è possibile ricevere acqua del rubinetto.

Articolo a firma di Veronica Caciagli

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