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Farmageddon, l’apocalisse degli animali

Una campagna di Ciwf International denuncia la crudeltà e l’insostenibilità deglla pratica dell’allevamento intensivo. Ma i consumatori possono fare molto

Scritto da il 23 dicembre 2014 alle 8:00 | 0 commenti

Farmageddon, l’apocalisse degli animali

Ogni anno nel mondo vengono allevati circa 70 miliardi di animali, due su tre in modo intensivo: stipati al chiuso in gabbie o stalle sovraffollate, non hanno accesso ai pascoli e vivono in condizioni così poco salutari da rendere necessario l’uso massiccio di medicinali. Si stima che metà degli antibiotici utilizzati nel mondo e circa l’80% di quelli usati negli Stati Uniti vengano somministrati agli animali da allevamento, principalmente per tenere lontane malattie altrimenti inevitabili negli allevamenti industriali. Questa pratica contribuisce a creare l’emergenza dei superbatteri resistenti agli antibiotici.

A livello globale, il 70 per cento della carne di pollame, il 50 per cento di quella di maiale, il 40 per cento di quella bovina, il 60 per cento delle uova vengono prodotti in allevamenti intensivi. In Italia l’85 per cento dei polli è allevato intensivamente, oltre il 95 per cento dei suini vive in allevamenti intensivi, quasi tutte le vacche da latte non hanno accesso al pascolo.
Far conoscere come viene prodotto il cibo e sensibilizzare i consumatori sugli impatti dell’allevamento intensivo è l’obiettivo di Farmageddon, una campagna promossa dall’associazione Ciwf International (Compassion in world farming). «L’allevamento intensivo non rappresenta solo una pratica negativa per gli animali, ma un sistema pericoloso, ingiusto e scorretto, le cui conseguenze spaziano dal cambiamento climatico alla perdita di biodiversità e di sicurezza alimentare», ha spiegato Philip Lymberly, presidente della Ong.
Oltre ad essere un sistema chiaramente crudele, che considera gli animali come prodotti o macchine da produzione e nega loro qualsiasi forma di benessere, l’allevamento intensivo ha enormi ripercussioni ambientali e sulla salute, anche umana. Il fattore forse più evidente è l’impatto sulle risorse. L’allevamento di bestiame necessita di enormi quantità d’acqua: 22 vasche da bagno per un chilo di polli, 27 vasche per un chilo di suini e 90 per un chilo di manzo. Un terzo della raccolta mondiale di cereali viene utilizzato per alimentare il bestiame industriale; se fosse adoperato direttamente per il consumo umano sfamerebbe circa tre miliardi di persone. Per ogni 100 calorie di cereali commestibili utilizzati come mangime per il bestiame, si ottengono solo 30 calorie sotto forma di carne o latte, con una perdita del 70 per cento. Il report sulla Sicurezza alimentare delle Nazioni Unite riconosce che i “sistemi intensivi… riducono l’equilibrio nella produzione di cibo” a livello mondiale.
I dati Ciwf riportano che almeno un terzo del pescato complessivo mondiale non raggiunge le nostre tavole, una larga parte viene destinata all’itticoltura: servono tra le due e le cinque tonnellate di pesce selvaggio per produrre una tonnellata di pesci carnivori da allevamento come salmone, trota e halibut (nel mondo, circa il 40 per cento di tutto il pesce consumato dalle persone è allevato e non è incluso nei 70 miliardi di animali allevati annualmente).
Inoltre gli allevamenti (in generale) producono oltre il 14 per cento delle emissioni di gas serra a livello globale. Rivela il Ciwf che l’industria scozzese di allevamento intensivo di pesce ha generato emissioni di azoto paragonabili alla produzione di liquami di 3,2 milioni di persone, a fronte di una popolazione nazionale di poco superiore a cinque milioni di persone.
Anche in questo caso i consumatori possono fare molto, indirizzando le proprie scelte in modo consapevole. Se è vero che la carne biologica comporta una spesa elevata, non dimentichiamo che le uova (bio o di allevamento a terra) e il latte sono decisamente accessibili, soprattutto se acquistati nella grande distribuzione. Inoltre è possibile trovare carne da allevamenti non intensivi che rispettano il benessere animale, anche se non bio, anche tramite gruppi di acquisto che si forniscono direttamente da piccoli allevatori. Infine, è noto che per la salute è importante ridurre il consumo di carne, soprattutto quella rossa.


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L'autore

Stefania Marra

Stefania Marra, giornalista professionista dal 1994, è stata per circa dieci anni caporedattrice della rivista Modus vivendi. Dal 2005 gestisce il modulo pratico di giornalismo al Master di comunicazione ambientale (CTS/Facoltà di Scienze delle comunicazioni Università La Sapienza). Scrive soprattutto di storia sociale dell'alimentazione e di ambiente, settore per il quale ha ricevuto diversi premi giornalistici.


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