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Dal mare alle sfilate, così i rifiuti marini si trasformano in abiti

Riciclo

Dal mare alle sfilate, così i rifiuti marini si trasformano in abiti

L’idea è di una Pmi spagnola che realizza prodotti tessili e accessori riciclando i rifiuti

Scritto da il 13 gennaio 2016 alle 8:00 | 0 commenti

Dal mare alle sfilate, così i rifiuti marini si trasformano in abiti

Coniugare la moda con la salvaguardia degli oceani, creando originali capi di abbigliamento partendo dai rifiuti del mare. È questa l’idea di Ecoalf, Pmi spagnola che si occupa di realizzare, dal disegno alla commercializzazione, prodotti tessili e accessori ottenuti riciclando i rifiuti partendo dalle bottiglie in pet alle reti da pesca agli pneumatici consumati, dal caffè post consumo al cotone post industriale. L’iniziativa nasce da uno studio di fattibilità finanziato dalla Unione Europea – “Upcyclingtheoceans”- lanciato proprio per analizzare la fattibilità economica e valutare le potenzialità di raccogliere rifiuti marini in plastica per produrre abbigliamento di alta qualità.

L’obiettivo dell’azienda spagnola è sviluppare tecnologie di produzione usando sofisticati processi di R&S per riciclare i detriti che si trovano in fondo all’oceano. In particolare, si vuole dare vita alla prima generazione di prodotti riciclati a partire da detriti marini con proprietà qualitative, di design e tecniche pari ai migliori prodotti non riciclati. Dallo studio finanziato dall’Ue è emersa inoltre l’importanza del coordinamento con le organizzazioni che si occupano di pesca. Per questo Ecoalf ha incontrato vari leader dell’industria e adesso sono stati raggiunti degli accordi con le organizzazioni regionali di Valencia. Lo studio ha scoperto anche che la mancanza di punti di raccolta dei rifiuti nei porti ha ostacolato pesantemente in passato i tentativi di riciclo nei mari.

I vantaggi ambientali di questa iniziativa, quindi, non si limitano semplicemente alla rimozione di una delle principali cause dell’inquinamento marino. La produzione di fili di Pet a partire dai materiali riciclati, piuttosto che da materie prime non rinnovabili, significa ben il 20 % in meno di rifiuti in acqua, una riduzione del 50 % del consumo di energia e una riduzione del 60 % dell’inquinamento dell’aria durante il processo di produzione. E non è un caso che l’azienda sia spagnola. Nel corso degli ultimi anni, infatti, la penisola iberica ha puntato molto sulle energie rinnovabili diventando il secondo paese europeo per potenza eolica installata e il primo per energia solare. Con più di 4mila aziende e centomila posti di lavoro diretti e indiretti, l’industria spagnola delle energie rinnovabili ha raggiunto uno dei primi posti al mondo per potenza termoelettrica installata. Un settore, quello delle fonti rinnovabili, che contribuisce con un fatturato di circa 9,5 miliardi di euro al PIL del Paese. Basti pensare che i titoli della spagnola Gamesa, tra i primi gruppi al mondo dell’industria eolica, sono aumentati del 110% nell’ultimo anno, circostanza che ha permesso all’azienda di diventare il migliore dei 35 titoli di Ibex (indice della borsa di Madrid). Le sue azioni sono infatti partite a inizio 2015 con un valore di 7,559 euro per poi crescere nel corso dell’anno e raggiungere la cifra di 15,8 euro. Un risultato incredibile riflesso di un Paese che ha fatto dell’energia sostenibile uno dei principali motori del suo rilancio economico.

Articolo di Enza Petruzziello

 

 


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