Tekenco #13 – Energia del vento
Troppi venti soffiano contro lo sviluppo dell’eolico italiano
Dopo un 2012 positivo, il comparto va verso numeri ridotti rispetto al passato, per effetto dell’entrata in vigore del nuovo regime d’incentivazione. Pesano anche gli oneri di dispacciamento
L’eolico italiano assomiglia a quel famoso bicchiere pieno d’acqua per metà, che non si sa mai se definirlo mezzo pieno o mezzo vuoto. In effetti è difficile trarre un giudizio certo e univoco sull’avanzata di questa fonte rinnovabile nel nostro Paese: indubbiamente il mercato eolico nazionale ha registrato, negli ultimi anni, un buon livello di crescita che ha portato a installare mediamente 1 GW di nuova potenza all’anno.
In particolare, nel 2012 l’Italia è risultata il terzo mercato europeo per installazioni in Europa, con 1.273 MW di nuova potenza che hanno portato la capacità cumulata a 8.144 MW, per una produzione elettrica che ha permesso il risparmio di oltre 15 milioni di barili di petrolio ed evitato l’emissione di circa 9 milioni di tonnellate di CO2. I livelli di crescita, però, sono ben lontani da quelli a cui abbiamo assistito per il fotovoltaico, arrivato a quota 17 GW.
Per quanto riguarda il volume d’affari del comparto, secondo l’analisi dell’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano, si è senz’altro assistito a un incremento negli ultimi anni, con un valore massimo di 4 miliardi di euro raggiunto proprio nel 2012 grazie al record di nuova potenza entrata in esercizio. Poco meno del 50% del valore è stato generato nell’area di business di gestione degli impianti, mentre della restante metà 2/3 sono da imputarsi alla produzione di aerogeneratori. Generalmente, però, negli ultimi anni, la marginalità è andata contraendosi, tanto che i profitti restano ancora elevati soltanto nella fase di gestione degli impianti, anche se la scelta del sito condiziona fortemente anche qui il livello medio di redditività.
Anche il buon andamento dell’anno passato, a ben vedere, non sembra essere del tutto positivo e le prospettive per il futuro non sono certo rosee. In particolare il nuovo sistema di incentivi e la delibera sugli oneri di dispacciamento, secondo la principale associazione di categoria, l’Anev, costituiscono i principali ostacoli allo sviluppo del comparto che, potenzialmente, potrebbe creare da qui al 2020, 65 mila posti di lavoro, raggiungendo i 16.200 MW di impianti eolici installati, ossia il doppio rispetto a oggi.
«L’eolico italiano nel 2012 è cresciuto molto – spiega Alessandro Marangoni, ceo di Althesys – in buona parte per effetto del cambio nelle politiche degli incentivi: c’è stata una corsa per godere del vecchio regime in scadenza al 31 dicembre 2012. Nel 2013, invece, il mercato ha decisamente frenato per via del nuovo sistema, tanto che nella prima asta non è stata collocata l’intera capacità disponibile. Quella attuale si sta chiudendo in questi giorni (fine luglio 2013, ndr) e non sappiamo ancora come sia andata, ma non ci aspettiamo importanti risultati. Quel che è certo è che la nuova normativa ha contingentato la potenza incentivata possibile».
In effetti, dall’inizio dell’anno le modalità di incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti eolici sono stabilite dal DM 6 luglio 2012, una riforma contestatissima dalle associazioni di categoria. Come noto, questo decreto, entrato in vigore a gennaio 2013, ha disciplinato le modalità di sostegno di tutta l’energia elettrica rinnovabile non fotovoltaica che, complessivamente, non potrà superare il valore di 5,8 miliardi di euro annui (oggi siamo a 4,22 miliardi di euro, di cui oltre un miliardo destinato all’eolico).
Gli incentivi sono riconosciuti sulla produzione di energia elettrica netta immessa in rete dall’impianto; l’elettricità autoconsumata, perciò, non ha diritto al sussidio. Rispetto al passato, oltre che su un robusto taglio delle tariffe incentivanti (intorno al -10%), il nuovo sistema si basa su un complicato sistema di Registri (per gli impianti tra i 60 kW e i 5 MW) e aste al ribasso (oltre 5 MW), che rende incerta l’effettiva possibilità di sostegno pubblico. Sotto i 60 kW, invece, l’accesso agli incentivi è diretto. Le tariffe si ridurranno del 2% all’anno a partire dal 2014, fatte salve le eccezioni previste nel caso di mancato raggiungimento dell’80% della potenza del contingente annuo previsto per i registri e per le aste. Complessivamente, dunque, nel 2013 la potenza incentivata sarà pari a 532 MW, meno della metà rispetto a quella del 2012.
Difficile tracciare, a oggi, un quadro sulla riuscita del meccanismo, potendo contare soltanto sui risultati del bando di gennaio, il primo previsto: in questo caso si è assistito a uno sforamento del limite del contingente per gli impianti a registro, con progetti per oltre 3 volte la potenza disponibile. Per le aste di impianti onshore, invece, è stato richiesto solo l’88% della potenza disponibile, mentre le offshore sono andate deserte (poco più del 4% della potenza prevista). Questi numeri stanno a significare, probabilmente, che gli operatori tendono a presentare all’asta solo i progetti pronti. Inoltre, le ingenti garanzie (per partecipare all’asta è richiesto il 5% del totale dell’investimento tramite fidejussione bancaria) hanno senz’altro precluso la possibilità di iscriversi a numerosissimi soggetti. All’asta di gennaio sono comunque mancati alcuni grandi operatori che, per ragioni strategiche o per dinamiche interne, hanno deciso di non partecipare, o i grandi gruppi stranieri che hanno scelto una tattica attendista.
«In molti Paesi, non solo europei – spiega Marangoni – si sono diffusi sistemi ad aste per lo sviluppo dell’eolico. Chiaramente l’obiettivo primario di questi meccanismi è ridurre il costo dell’incentivazione, ma la definizione a priori dei contingenti disponibili senza dubbio limita lo sviluppo delle fonti pulite. L’introduzione delle aste per l’eolico va poi inquadrata nella politica complessiva di rallentamento delle rinnovabili nel nostro Paese, considerato che nel settore elettrico c’è stato un grande e accelerato sviluppo negli anni passati».
Un effetto positivo del nuovo meccanismo è la riduzione delle tariffe, intrinseca al meccanismo ad asta, che impone di selezionare e privilegiare solo i siti con elevate ventosità. Tutto questo, secondo il ceo di Althesys, è favorito dal fatto che l’eolico è già praticamente in grid parity: « Anche in Italia, in siti con una buona ventosità, siamo in una condizione di competitività con le fonti convenzionali. Però gli impianti che sono oggi allacciati alla rete vengono realizzati con tecnologia acquistata ai prezzi degli anni passati e, quindi, per il momento, è difficile fare a meno degli incentivi. Ma, data la diminuzione progressiva dei costi della tecnologia, è lecito aspettarsi una discesa delle remunerazioni complessive stabilite delle aste».
Altro tema destinato a influenzare notevolmente lo sviluppo futuro dell’eolico è quello relativo agli oneri di sbilanciamento. Dall’inizio dell’anno, infatti, chi produce elettricità con le fonti rinnovabili deve pagare i cosiddetti “costi di sbilanciamento”, ossia il fenomeno di turbativa della immissione di elettricità in rete dovuto alle oscillazioni della produzione da energie pulite, che hanno la priorità di dispacciamento.
Tra l’altro la modalità prevista in Italia diverge da quella presente negli altri Paesi europei; ad esempio, è proibito il pooling degli impianti, che permetterebbe ai produttori di energie rinnovabili di aggregare portafogli di diverse tecnologie e relativi a impianti localizzati in specifiche aree, così da definire congiuntamente i programmi di immissione e gli sbilanciamenti. Il provvedimento dell’Aeeg non è mai piaciuto, ovviamente, agli operatori dell’eolico, che hanno denunciato la non applicabilità della delibera a una fonte non prevedibile e discontinua come l’energia del vento. Una sentenza del Tar della Lombardia dello scorso 26 giugno ha però annullato la delibera dell’Aeeg (che ha già annunciato ricorso), riconoscendo che «lo sbilanciamento viene a gravare economicamente sul produttore eolico non in considerazione della sua incapacità di previsione di immissione dell’energia nella rete, ma sulla base dei caratteri propri della fonte stessa.
In questo modo l’Autorità introduce surrettiziamente una forma di penalizzazione che è in contrasto con il favor riconosciuto dall’ordinamento alla produzione da fonte rinnovabile non programmabile, qual è l’eolico». Il tema, secondo Marangoni, va visto nella sua complessità: «L’eolico ha senza dubbio avuto delle difficoltà in questo senso, anche perché è stato sviluppato in aree dove l’infrastruttura di rete non era delle migliori. Dunque lo sbilanciamento è un tema che esiste ma che va visto nel suo complesso: l’intermittenza di eolico e solare crea certamente dei problemi, ma in prospettiva queste fonti potranno persino assicurare un contributo alla stabilità del sistema elettrico. Grazie all’evoluzione tecnologica (mi riferisco in particolare ai sistemi di accumulo), infatti, in futuro il problema sarà sempre meno importante».
Un sotto settore dell’energia del vento che va piuttosto bene, però, esiste: stiamo parlando del mini eolico, che nel corso del 2012 ha registrato un balzo delle installazioni, con nuovi impianti per circa 7 MW che hanno portato la potenza totale installata a oltre 20 MW. Le regioni del Sud, in particolare, hanno fatto registrare un installato complessivo pari al 70% del totale (Puglia 7,3 MW, Basilicata 5,6 MW, e Campania 4,1 MW) e anche nel 2013, secondo le prime stime preliminari, il trend sembra positivo, in particolare in Basilicata. «Il minieolico era considerato fino a poco tempo fa non economico – spiega il responsabile di Althesys -, mentre ora, a determinate condizioni, può essere interessante, anche se ha una logica di diffusione completamente diversa dal fotovoltaico, sia per una questione di tecnologia, che di aree dove può esserci la risorsa. Il pannello solare, infatti, seppure con rese diverse, può essere installato sia sul tetto di una casa a Milano che di una in Sicilia.
Invece il minieolico, anche se è un investimento decisamente meno impegnativo rispetto all’eolico tradizionale, può essere realizzato soltanto in presenza di giusti livelli di ventosità e di un territorio adeguato, non può essere certo collocato sopra i tetti di una abitazione. In prospettiva ci potrà essere un miglioramento tecnologico e, dato l’attuale assetto tariffario, è prevedibile un buon sviluppo del minieolico in Italia». Data però la situazione complessiva del comparto, le aziende italiane che negli scorsi anni avevano investito nello sviluppo dell’eolico nella Penisola stanno oggi volgendo lo sguardo altrove. «Quello che sta succedendo è che buona parte degli investimenti sta andando all’estero.
Nel 2012 i dati del nostro Irex Annual Report dicono che, sostanzialmente, metà degli investimenti totali delle aziende nazionali delle rinnovabili sono stati fatti all’estero, per un ammontare in crescita del 50% rispetto all’anno precedente. Il dato fa riferimento alle fonti pulite nel loro complesso, però, in realtà, la gran parte di queste risorse si dirige proprio verso l’eolico, in Paesi europei o nei mercati emergenti», conclude Marangoni.
Commenti
Ci sono 5 commenti.
Rispondi
Condividi
Tag
L'autore
Gianluigi Torchiani
Giornalista classe 1981, cagliaritano doc ormai trapiantato a Milano dal 2006. Da diversi anni si interessa del mondo dell’energia e dell'ambiente, con un particolare focus sulle fonti rinnovabili
Ultimi articoli
Più letti della settimana
- Come scegliere una stufa a pellet : Consumi, costi e dati tecnici sono i parametri riportati sull’etichetta dell’apparecchio e le caratteristiche della stan...
- NovaSomor vince la prima edizione del Klimahouse Startup Award : La startup di Rimini ha ideato un motore solare termodinamico a bassa temperatura applicato al sollevamento delle acque...
- Tutti gli studi : ...
- Amianto, quando la minaccia si nasconde in casa : Chi chiamare se sospettiamo di avere manufatti o coperture in cemento-amianto a casa nostra...
- Pellet di qualità, istruzioni per l’acquisto : Quali sono i parametri utili per il consumatore all’acquisto del pellet? Qualità, innanzitutto, ma anche la lettura dell...
Marco
scrive il 16 dicembre 2013 alle ore 22:27
L'eolico in Italia non si deve più fare. Già troppi sono i territori che sono stati devastati da migliaia di pale eoliche che hanno arricchito solo gli speculatori. Basta eolico. Non siamo la Danimarca, dove almeno c'è molto vento.
Giuseppe
scrive il 19 dicembre 2013 alle ore 21:00
E allora continuiamo con i combustibili fossili e petrolio e inquiniamo l'ambiente. L'eolico no, il fotovoltaico no, teniamoci il petrolio però poi non ci lamentiamo del costo della benzina e dei gas serra!!!
Michele
scrive il 25 maggio 2014 alle ore 11:21
Caro Marco , sono spiacente nel dover dissentire dalle vostre affermazioni. Che in Italia si vi siano troppe pale che devastano i nostri ambienti, è vero. Ma da questo ad affermare che non si deve più fare eolico, perchè non siamo in Danimarca, credo sia esagerato. Il vento sta in Italia come sta in Danimarca, il problema è che è stato dato troppo spazio alla speculazione che, irrefrenabilmente ha creduto di invadere l'Italia, così come è avvenuto per il fotovoltaico. Non è possibile, caro Giuseppe, continuare con i combustibili di ogni genere, per molti ovvi motivi che tutti sappiamo. Ritengo invece che l'eolico è nelle condizioni di dare molti risultati sorprendenti, MA NON QUELLO CHE ABBIAMO CONOSCIUTO! Prevalentemente conosciamo l'eolico orizzontale, che si è dimostrato devastante. Credo che la soluzione sta nell'EOLICO VERTICALE, sempre che ne consentano le incentivazioni. Affermo questo perchè personalmente mi sono cimentato con la ricerca di soluzioni da ritenersi ottimali. Infatto ho costruito un eolico verticale che non presenta i problemi di quelli che abbiamo conosciuto. Infatti non è RUMOROSO; INVADENTE, non ha costi di manutenzione, se non quelli straordinari, è molto ECONOMICO nella sua costruzione ed installazione. In quanto alla questione del vento, il nostro territorio presenta caratteristiche molto interessanti. Per questo motivo, più che riferirmi ai privati, ho chiamato le pubbliche amministrazioni affinche realizzino autonomi parchi eolici; ho chiamato in causa l'ENEL, perchè con l'impianto che ho realizzato, può trasformare ogni traliccio dell'alta tensione, in centrale di produzione. In conclusione sono convinto che solo un'intervento su larga scala può sfruttare le reali potenzialità dei venti che spirano sul nostro territorio, producendo tanta di quella energia da poterla vendere noi agli altri paesi, anzicchè comprarla!!! P.S. Il mio impianto è a disposizione di chiunque abbia la volontà di risolvere il problema!!! Basta contattarmi