Energie alternative
Quei metodi curiosi per produrre biocarburanti
Alghe, batteri, termiti… Su questi e altri singolari attori si gioca il futuro più verde ed economico di produrre benzine “verdi”
Photo: PhOtOnQuAnTiQuE
I biocarburanti, si sa, sono un’alternativa ormai concreta ai combustibili fossili. Sono un’alternativa così interessante che ormai sono adottati, sia pure ancora in miscela con i carburanti tradizionali, in svariati ambiti di trasporto che comprendono anche quello aeronautico e navale.
Ecco perché investire in ricerca è divenuto quanto mai strategico. Gli Stati Uniti in questo senso sono davvero munifici: basti considerare, per esempio che il Dipartimento dell’Agricoltura (DOA) ha investito 130 milioni di euro per sostenere lavori di ricerca mirati alla produzione di biocarburanti dalle biomasse degli alberi. Ma le vie e, soprattutto, gli organismi utilizzati per produrre benzine ecologiche sono diversi e in alcuni casi, davvero curiosi.
Alghe e batteri
Tra le soluzioni più ecosostenibili, le alghe costituiscono un’alternativa sempre più apprezzata, grazie anche al fatto che sono le più comuni specie di piante acquatiche presenti sulla Terra, presenti praticamente in tutti i mari. Non solo: esse riescono a garantire rese produttive importanti. Ecco perché persino la Nasa, l’Agenzia aerospaziale americana, ha deciso di investirci soldi e progetti. L’ultimo dei quali è quello presentato in questi giorni dagli scienziati del NASA Glenn Research Center di Cleveland per esplorare tutte le opportunità di estrazione di “petrolio verde” da una specie di alga denominata salicornia.
Sempre dagli Usa è giunta la notizia secondo cui ricercatori californiani del Bio Architecture Lab di Berkeley hanno lavorato sul batterio dell’Escherichia coli, modificandolo geneticamente in modo da “digerire” e trasformare in etanolo lo zucchero contenuto nelle alghe brune, presenti comunemente nei nostri mari. Bene: secondo i calcoli dei ricercatori, meno del 3% delle acque costiere potrebbe produrre alghe a sufficienza per avere una quantità di biocarburante equivalente superiore a 200 miliardi di litri di combustibile fossile.
Tra l’altro questo batterio finora più conosciuto come fonte di tossinfezioni alimentari, è fonte di diversi studi mirati alla realizzazione di eco-benzine, grazie alle sue caratteristiche di trasformare il materiale derivato dalle piante in zuccheri.
Anche l’Unione europea dimostra di credere alle possibilità offerte dalle alghe, tanto che la Commissione Ue finanzia diversi progetti tra cui il Biofat (Biofuel from algae technologies) che studia le possibilità offerte dalle microalghe. L’Italia in questo senso è coinvolta nel progetto; ma nel nostro Paese sono anche attive iniziative private come Enalg, alla cui guida c’è l’ex ministro dell’Ambiente Willer Bordon.
Termiti e altre fonti “non convenzionali”
Il finanziamento sopra citato del DOA testimonia l’importanza che riveste anche la produzione di biomassa dagli alberi per il settore dei biocarburanti. C’è però un ostacolo che si frappone alla possibilità di accedere agli zuccheri contenuti nella biomassa: è la lignina, sostanza che è in grado di inibire il loro uso. Per risolvere questo problema un team di ricercatori dell’ateneo statunitense Purdue University ha pensato di studiare il meccanismo digestivo delle termiti. In pratica, grazie all’unione di due tipi di enzimi, le termiti riescono a disgregare la lignina, spianando così la strada al trattamento della biomassa più rapido ed economico. È la stessa metodologia portata avanti, in Europa, dal progetto Nemo che ha visto coinvolta anche l’università Milano-Bicocca.
Sempre rivolto alla ricerca di soluzioni per rendere più facile l’assorbimento di zuccheri riducendo l’effetto della lignina è anche lo studio della Mississippi State University basato sulle… feci dei panda. Da esse i ricercatori hanno isolato un gruppo di potenti batteri digestivi che metabolizzano efficacemente la lignocellulosa.
Infine meritevoli di citazione sono le ricerche per la realizzazione di biocarburanti da grasso di pollo e dai lieviti. La prima, condotta dalla Nasa, ha dato ottimi risultati soprattutto in termini di minori emissioni inquinanti e ha confermato la “bontà” di questa sostanza per la realizzazione di carburanti ecologici tanto che in Louisiana è ormai una realtà un impianto che produce 2500 barili al giorno di biodiesel ottenuto dagli scarti avicoli; la seconda, condotta dall’Università di Milano e da quella svedese di Lund, è riuscita a ricostruire la storia evolutiva di due specie di lieviti, capaci di produrre etanolo anche in presenza di ossigeno. È una scoperta interessante perché apre la strada allo sviluppo di nuove specie di lieviti industriali utilizzabili per produrre biocarburanti per fermentazione.
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L'autore
Andrea Ballocchi
Andrea Ballocchi, giornalista e redattore free lance. Collabora con diversi siti dedicati a energie rinnovabili e tradizionali e all'ambiente. Lavora inoltre come copywriter e si occupa di redazione nel settore librario. Vive in provincia di Milano.
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Domenico D'Antonio
scrive il 09 febbraio 2012 alle ore 15:22
vorrei informazioni sui lieviti produttori di biocarburanti