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Per le biomasse legnose la strada è il teleriscaldamento | Tekneco

Tekneco #12 – Fonti pulite

Per le biomasse legnose la strada è il teleriscaldamento

Il presidente di FIper, Walter Righini, mette in risalto i benefici della filiera corta e chiede alla politica obiettivi più ambiziosi per le rinnovabili termiche

Scritto da il 12 agosto 2013 alle 8:30 | 1 commento

Per le biomasse legnose la strada è il teleriscaldamento

Le biomasse non sono utili soltanto per la produzione di elettricità ma anche per la generazione di energia termica, come dimostrano le migliori esperienze estere (Scandinavia, Austria, ecc), che hanno saputo coniugare lo sfruttamento del patrimonio boschivo con la tutela dell’ambiente e del territorio. Su questa strada prova a muoversi in Italia la Fiper, Federazione italiana di produttori di energia da fonti rinnovabili, associazione che riunisce i gestori di teleriscaldamento a biomassa legnosa, che già oggi servono numerosi piccoli Comuni del Nord Italia (910 km di reti di trasmissione). Abbiamo parlato delle prospettive di questo settore con Walter Righini, presidente Fiper.

Quali sono le caratteristiche della filiera legno-energia italiana?
Occorre partire dal presupposto che l’efficienza di impiego a fini energetici della biomassa legnosa si ottiene attraverso la produzione di energia termica ed elettrica in assetto cogenerativo. Gli 84 impianti di teleriscaldamento a biomassa aderenti a Fiper, che rappresentano circa il 90% del parco nazionale, impiegano all’incirca 750.000 tonnellate annue di cippato proveniente da filiera corta. Le nostre centrali sono localizzate principalmente lungo l’arco alpino e nell’Appennino centrale. Al contrario, la maggioranza dei grandi impianti produttori di sola energia elettrica da biomassa legnosa è situata al sud e centro Italia, spesso in prossimità di porti per favorire l’approvvigionamento del biocombustibile dai mercati esteri. Quindi, se parliamo di filiera legno-energia italiana, inevitabilmente dobbiamo fare riferimento alla filiera del calore prodotto dalle reti di teleriscaldamento.

Quali sono, dunque, le prospettive di sviluppo del teleriscaldamento da biomasse legnose?
La penetrazione attuale del teleriscaldamento in Italia copre attualmente il 4% del mercato del calore per riscaldamento ambienti. Le prospettive di crescita del settore stimano, a regime, una copertura del servizio pari al 20% del mercato, anche alla luce delle indicazioni della Direttiva sull’efficienza energetica (art. 14), che sollecita gli Stati a promuovere il teleriscaldamento abbinato all’impiego di fonti rinnovabili.

Dal 1° gennaio 2014, infatti, ogni Paese membro dovrà introdurre un sistema obbligatorio per le utility che permetta di conseguire un risparmio dell’1,5% l’anno sui consumi dei clienti finali. La realizzazione di reti di teleriscaldamento rientra nelle misure flessibili che le utility potranno impiegare per conseguire l’obiettivo vincolante europeo. Questa tecnologia ha il vantaggio di essere caratterizzata da elevati investimenti, modesta ma sicura redditività nel tempo, essendo la sua durata pluriennale (30 anni) e contraddistinta da bassi rischi di impresa. Attualmente l’impiego di fonti rinnovabili tramite reti di teleriscaldamento è dato, prevalentemente, proprio dalle biomasse legnose per oltre il 77% (0,7% del mercato nazionale del riscaldamento).

Riscontrate ancora quei problemi di approvvigionamento della biomassa legnosa che avevate segnalato un paio di anni fa?
Quei problemi erano legati all’insufficiente disponibilità di cippato delle segherie, provocata dalla crisi del comparto del mobile. Da allora la filiera locale si è orientata verso l’acquisizione di materiale derivante dalla manutenzione forestale. Diversificare le filiere di approvvigionamento rimane ancora oggi la nostra priorità. Stiamo guardando con interesse alla biomassa legnosa residuale derivante dall’agricoltura (potature, sfalci).

A titolo di esempio, la quantità potenziale di sarmenti da impiegare a fini energetici è di circa 2,53 milioni di tonnellate. Il valore teorico complessivo è di oltre 5,5 milioni di tonnellate di biomasse residuali, corrispondenti a quasi 500.000 ettari adibiti a coltivazioni lignocellulosiche. Un potenziale che spesso viene “bruciato” a bordo campo, perché non esiste una filiera energetica locale in grado di valorizzare questo materiale, creando effetti negativi anche sulla qualità dell’aria.

Qual è il potenziale complessivo delle biomasse nella produzione di energia termica?
La Strategia energetica nazionale, approvata con un decreto ministeriale dal Governo uscente, pur riconoscendo gli errori di valutazione compiuti dal Piano di azione nazionale (Pan) per le energie rinnovabili, non ha mutato gli indirizzi e ha confermato le previsioni dei consumi di Fer termiche per il 2020 a un valore di 11 Mtep. Questo anche se i dati (rilevazioni 2012) dimostrano che è già stato raggiunto il 10% di penetrazione delle rinnovabili nella domanda di energia termica, come previsto dal Pan per il 2015. Ciò significa, nel caso della produzione di calore dalle biomasse, che il valore è di gran lunga sottostimato rispetto alle proiezioni degli operatori. Fiper ha aderito nel 2012 al Coordinamento delle rinnovabili termiche e dell’efficienza energetica (Carte) che ha invitato il Governo ad aggiornare i dati di penetrazione e potenziale delle rinnovabili termiche e, in particolare, delle biomasse legnose.

Che problemi riscontrate ancora dal punto di vista normativo? Quali sono le richieste che inoltrate al nuovo Governo?
Sicuramente auspichiamo un cambiamento di impostazione legislativa che garantisca un quadro certo e stabile nel tempo. Inoltre, richiediamo l’immediata attivazione del fondo di garanzia per favorire lo sviluppo delle reti di teleriscaldamento secondo quanto previsto dall’art. 22 del d.lgs. 28/2011. Altro punto, come abbiamo detto prima, è la revisione dei target previsti dalla Strategia energetica nazionale, aumentando al 23,5% l’obiettivo 2020 per le rinnovabili termiche (oggi al 19%) e riducendo al 31% quello per le elettriche (fissato al 37%).

Necessaria è anche l’emanazione del decreto ministeriale sull’impiego dei sottoprodotti a fini energetici (potature verde pubblico, pulizia alvei fluviali..), che permetterebbe di trasformare quello che per l’ente pubblico è oggi un mero costo di smaltimento in una fonte di ricavo. Infine, vorremmo reindirizzare parte degli incentivi per i grandi impianti verso la promozione delle attività di manutenzione forestale e messa in sicurezza del territorio.

Che risposta date a chi accusa le biomasse di provocare un eccessivo impatto ambientale?
È bene fare chiarezza e conoscere le diverse tecnologie di impiego delle biomasse. Infatti, gli effetti sulla qualità dell’aria variano considerevolmente in funzione anche dei sistemi di filtraggio, della manutenzione/gestione dell’apparecchio e della qualità del combustibile. Ad esempio, un buon sistema di depolverazione, dotato di cicloni e filtri a maniche, finalizzato a impianti medio grandi (5-20 MWt), normalmente installato dalle centrali di teleriscaldamento a biomassa legnosa, è sufficiente a garantire emissioni compatibili con la normativa in materia, il cui riferimento basilare è il DPCM dell’8 marzo 2002; a volte, i risultati ottenuti sono persino ben al di sotto dei limiti richiesti dal legislatore. Conoscere gli effetti delle diverse tecnologie è un’azione preventiva verso la “manipolazione mediatica” e le accuse dei relativi comitati contro l’avvio di impianti a biomassa e biogas. Non vanno, inoltre, dimenticati gli effetti positivi delle biomasse sull’impatto ambientale, in un’ottica di riduzione delle emissioni climalteranti, messa in sicurezza del territorio e rilancio delle economie locali.

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L'autore

Gianluigi Torchiani

Giornalista classe 1981, cagliaritano doc ormai trapiantato a Milano dal 2006. Da diversi anni si interessa del mondo dell’energia e dell'ambiente, con un particolare focus sulle fonti rinnovabili


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