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Analisi

Le utility hanno perso il treno delle rinnovabili

Uno studio di Greenpeace evidenzia come le maggiori società energetiche europee in questi anni abbiano trascurato le fonti pulite e continuato a investire nelle risorse fossili

Scritto da il 04 marzo 2014 alle 8:30 | 0 commenti

Le utility hanno perso il treno delle rinnovabili

In Europa la campagna anti rinnovabili è tuttora guidata principalmente dalla lobby europea delle utility, che non perde occasione per rimarcare il costo del sistema di incentivazione delle fonti pulite, i relativamente scarsi passi in avanti fatti sinora lungo la decarbonizzazione, le conseguenze negative sul sistema elettrico nel suo complesso, ecc.

Come spesso accade, alcuni di questi punti contengono un fondo di verità, altri decisamente meno, ma resta il fatto che tra le big europee dell’energia e le risorse rinnovabili non corra buon sangue. La spiegazione di questa antipatia, come mette in evidenza un recente rapporto di Greenpeace, è probabilmente più semplice di quello che si possa pensare.

Più che da ragioni ideologiche, le utility continuano a opporsi all’avanzata delle rinnovabili perché non sono state capaci di intercettarne il trend di successo e, anzi, hanno ciecamente continuato a investire sulle risorse fossili. In effetti il quadro numerico è abbastanza chiaro: le dieci maggiori società elettriche del Vecchio Continente (tra cui c’è anche l’italiana Enel) complessivamente producono circa il 59% dell’elettricità europea.

Ma appena il 4% di questa generazione arriva da impianti rinnovabili (idroelettrico escluso). Al contrario, nell’ultimo decennio,  queste società hanno continuato a investire massicciamente nella costruzione da impianti da fonti fossili. Basti pensare all’Italia, dove sono stati costruiti decine di GW di moderni cicli combinati a gas che oggi, per effetto del calo dei consumi elettrici e, soprattutto, dell’avanzata delle energie pulite, oggi si trovano di fatto fuori mercato.

La stima di Greenpeace è che ci siano ben 85 GW di impianti in queste condizioni in tutto il Vecchio Continente. Eppure secondo l’associazione ecologiste, le utility avrebbero avuto tutte le opportunità per intercettare il trend di ascesa delle fonti pulite: la facilità di accesso al credito, l’esperienza nel trattare diverse fonti di energia, l’attitudine a gestire le procedure autorizzative, ecc.

Invece la maggior parte delle compagnie ha perso questa opportunità di business, anche se non mancano delle eccezioni: l’esempio è quello di Enel Green Power, la società di Enel dedicata alle rinnovabili, che ha messo a segno utili importanti nel 2013 ed è attesa a ulteriori profitti nei prossimi anni. Secondo Greenpeace, in realtà, le utility europee possono ancora fare in tempo a correggere la rotta e diventare addirittura attori attivi nella rivoluzione della generazione distribuita.

Il rischio, altrimenti, è quello di ulteriori perdite di quote di mercato e guadagni.  Servirebbe però davvero una rivoluzione copernicana (che al momento non si intravede) per smuovere questi colossi e convincerli a lavorare in maniera più snella in un mercato elettrico che non sarà mai più quello del passato.


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L'autore

Gianluigi Torchiani

Giornalista classe 1981, cagliaritano doc ormai trapiantato a Milano dal 2006. Da diversi anni si interessa del mondo dell’energia e dell'ambiente, con un particolare focus sulle fonti rinnovabili


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