recupero energetico
L’energia dai rifiuti è un’opzione concreta
Il recupero di energia potrebbe evitare lo smaltimento in discarica di 17 milioni di tonnellate annue di rifiuti e garantire benefici economici per 2,5 miliardi di euro
In Italia annualmente si producono oltre 32 milioni di tonnellate di rifiuti urbani e il problema della loro gestione, già oggi particolarmente grave in alcune zone del Paese, è destinato a peggiorare per la necessità di chiudere parte delle discariche dove attualmente vengono destinate 17 milioni di tonnellate al’anno. L’obiettivo, perciò, dovrebbe essere quello di ridurre drasticamente i quantitativi avviati in discarica, incrementando parallelamente il recupero di materia ed energia così come avviene in molti Paesi europei.
Il recupero energetico da rifiuti, infatti, anche se non prioritario rispetto a quello di materia, è indicato come necessario dalla normativa europea e nazionale, ai fini dell’attuazione di un sistema sostenibile di gestione dei rifiuti, in quanto consente il risparmio di combustibili fossili e riduce il quantitativo da avviare in discarica.
In un’ottica di gestione integrata, infatti, il ricorso allo smaltimento a terra deve essere previsto solo come forma residuale, per quei particolari scarti per i quali non sia possibile nessun recupero. In particolare, il mix ottimale per una gestione sostenibile dei rifiuti corrisponde circa a un 50-60% di recupero di materia (in primo luogo attraverso la raccolta differenziata per permettere il riuso, il riciclo e il compostaggio delle rispettive frazioni), e un 40-50% di recupero energetico.
Eppure in Italia, secondo uno studio recente condotto da Nomisma energia, ogni anno finiscono in discarica potenziali combustibili per un potere calorico pari a circa 3,7 miliardi di Tep (Tonnellate Equivalenti di Petrolio), per un valore economico che si aggira sui 2,5 miliardi di euro. Un classico sacchetto medio che gettiamo nel cassonetto, in effetti, potenzialmente contiene 2.200 kilocalorie, che equivalgono all’energia prodotta da oltre un litro di benzina.
Due sono, fondamentalmente, le possibilità tecnologiche per recuperare energia dai rifiuti. La prima è l’incenerimento vero e proprio (850-1100 °C): in Italia al 2008 risultavano presenti sul territorio nazionale 51 impianti di incenerimento di rifiuti urbani (incluso il trattamento di plastiche) per una capacità complessiva di circa 6 milioni di t/anno e una potenza elettrica installata di 587 MW; la tecnologia più diffusa è quella del forno a griglia mobile, seguita dal letto fluido bollente circolante.
La metodologia più corretta e moderna per la combustione dei rifiuti urbani è però, senza dubbio, quella della loro trasformazione in Css (combustibile solido secondario), che si ottiene separando dal rifiuto indifferenziato o residuo le frazioni non combustibili, come il materiale putrescibile e gli inerti. Il Css, in particolare, è pensato per essere destinato a impianti di produzione (tipicamente cementifici e centrali termoelettriche) che necessitano di combustibili alternativi a quelli tradizionali, anche in co-combustione. In occasione di Ecomondo 2013, Tekneco ha affrontato il tema dei rifuti con Walter Ganapini, ambientalista, docente e ricercatore italiano, co-fondatore di Legambiente ed ex presidente di Greenpeace Italia.
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L'autore
Gianluigi Torchiani
Giornalista classe 1981, cagliaritano doc ormai trapiantato a Milano dal 2006. Da diversi anni si interessa del mondo dell’energia e dell'ambiente, con un particolare focus sulle fonti rinnovabili
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