smart grid
In Italia non è ancora tempo di reti intelligenti
Secondo Pietro Colucci, amministratore delegato di Innovatec, le smart grid hanno maggiori possibilità di sviluppo nei Paesi emergenti
L’Italia non è ancora terra di smart grid, perché molti ostacoli si frappongono al sogno di comunità autonome dal punto di vista energetico. Ne è convinto Pietro Colucci, amministratore delegato di Innovatec (parte del gruppo Kinexia), società impegnata nella realizzazione di progetti che molto hanno a che fare con l’uso intelligente delle energie grazie alle reti di nuova generazione.
Per un operatore attivo sul mercato come voi, cosa significa concretamente la parola smart grid?
Smart è un termine utilizzato come suffisso per definire qualcosa di intelligente e innovativo, con grid ovviamente si fa riferimento alle reti. La smart grid, dunque, è una rete intelligente, ossia un sistema autonomo basato sul web che, ad esempio, è in grado di ricevere delle informazioni meteorologiche e attivare o meno una serie di impianti che la alimentano. Così un’azienda produttrice di energia, se ne produce in più rispetto al suo fabbisogno, può cederla ad altre imprese o famiglie del distretto energetico. Si tratta di un orizzonte su cui buona parte del mondo sta puntando, non tanto in Italia – che dispone già di una sua rete elettrica nazionale – quanto piuttosto in quei Paesi emergenti che hanno bisogno di produrre energia dove serve, proprio grazie alle smart grid. È importante sottolineare come l’energia che circola nelle reti intelligenti può provenire da qualsiasi fonte, anche da impianti alimentati a gas o a carbone, non solo da fonti rinnovabili.
Dunque, secondo lei il fenomeno delle smart grid è indipendente dall’esplosione delle rinnovabili?
La nascita delle smart grid, come dicevamo, risponde a esigenze energetiche dei Paesi in via di sviluppo. Le energie rinnovabili, sicuramente, hanno portato una certa “necessità” del cambiamento, che ha facilitato anche gli investimenti nelle smart grid. Ossia: le fonti pulite, per essere competitive con le fossili, hanno avuto bisogno di una consistente mole di incentivi. Questi finanziamenti hanno trascinato anche alcune risposte di tipo tecnologico (ad esempio lo storage) che costituiscono il fondamento delle reti intelligenti.
Avete presentato il progetto Smart: ma, concretamente, una realtà imprenditoriale come la vostra come pensa di fare ricavi in questo settore?
La maggiore difficoltà nel lavorare in questa direzione è che si rischia di lottare contro i mulini a vento. Certamente facciamo fatica a stare in un mercato che – essendo senza incentivi – è attraente solo per il fatto che può aiutare nella lotta al cambiamento climatico. Ma in un momento di crisi come quello attuale ciò che guida le scelte dei consumatori è il risparmio: per questo motivo, attualmente, facciamo sì che le nostre proposte non siano associate tanto al concetto di smart grid quanto, piuttosto, a quello dell’efficienza energetica.
In Innovatec cerchiamo di mettere a disposizione una serie di tecnologie che non solo consentano di autoprodurre energia, ma permettano anche di risparmiare in bolletta, attraverso una serie di pacchetti ad hoc. La nostra attenzione, poi, si sta spostando dalle famiglie verso le imprese, perché queste ultime sono attentissime ai propri costi energetici, in un’ottica di competitività sui mercati internazionali. Dunque, noi andiamo dalla clientela corporate proponendo innanzitutto una elettrificazione completa del sistema energetico, grazie a tecnologie come le pompe di calore integrate con il fotovoltaico e lo storage energetico. Questo mix di prodotti è legato insieme da sistemi informatici e assicura un effettivo risparmio, in genere intorno al 50%. In più ci sono i vantaggi normativi, come i certificati bianchi e la completa deducibilità di questi impianti sotto il profilo fiscale. Con una formula di questo tipo pensiamo di guadagnarci.
In Italia lo sviluppo delle smart grid è adeguatamente favorito?
In Italia è più difficile, anche perché il legislatore è terrorizzato all’idea che le persone diano vita a dei distretti energetici autonomi. Il timore è che alla fine nessuno paghi gli oneri di sistema, per cui il legislatore è intervenuto con due successive normative, una peggiore dell’altra. Prima i Seu (sistemi efficienti di utenza) sono stati ristretti soltanto a un rapporto diretto tra utente e utente, ossia un’azienda che ha un surplus di energia non può cederla a più utenze. La seconda norma è quella uscita con lo spalma incentivi, che prevede la tassazione sull’autoconsumo, ossia un’imposizione del 5% anche per chi non è connesso alla rete. Per questi motivi sono convinto che in Italia le smart grid non abbiano molti spazi di crescita, perlomeno nel breve periodo. In altri grandi Paesi, invece, queste tecnologie sono favorite perché sono fondamentali per risolvere i problemi dell’energia.
Secondo lei in che modo dovrebbero essere finanziati gli investimenti pubblici nel settore?
Come Fondazione dello sviluppo sostenibile abbiamo avanzato una serie di proposte per un new green deal, uscendo dalla logica degli incentivi, per supportare quelle iniziative verdi che danno un contributo alla crescita del Paese, creando indotto e occupazione. Come si fa? Utilizzando la leva fiscale. Per un investitore il business plan è valutato al netto delle imposte, dunque è indifferente se il sostegno arriva tramite un incentivo o grazie a un risparmio fiscale.
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L'autore
Gianluigi Torchiani
Giornalista classe 1981, cagliaritano doc ormai trapiantato a Milano dal 2006. Da diversi anni si interessa del mondo dell’energia e dell'ambiente, con un particolare focus sulle fonti rinnovabili
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