Tekneco #13 - Offshore
Il futuro dell’eolico è offshore
Numerosi progetti sono in ballo in tutta Europa con la Gran Bretagna a far da apripista. In Italia è ancora tutto (quasi) fermo
Qualche decina di milioni di anni fa gli antenati dei cetacei decisero di avventurarsi in mare e da lì iniziò la storia di una delle famiglie animali più affascinanti del pianeta. Una simile evoluzione potrebbe riguardare anche l’eolico, il cui futuro è destinato a essere prevalentemente sul mare.
Le ragioni di questa svolta sono prevalentemente di carattere tecnico ed economico: innanzitutto, sulla superficie di mari e oceani i venti non trovano ostacoli e soffiano con velocità superiori e con maggiore costanza. Il posizionamento offshore delle grandi wind farm potenzialmente risolve anche la maggior parte dei problemi di impatto estetico e acustico, poiché le torri sono situate oltre la linea dell’orizzonte visibile, ad almeno 3 km dalla costa, e anche i rischi ambientali legati al pericolo costituito dalle torri per gli uccelli, rapaci e migratori in particolare, sono molto più limitati.
Le centrali in mare rappresentano poi, in linea teorica, una soluzione ideale per quei Paesi densamente popolati e con forte impegno del territorio che si trovano vicino al mare. Gli impianti offshore dovrebbero essere, quindi, secondo la maggior parte degli esperti del settore, il vero futuro dell’energia eolica, sia in termini ambientali che di potenziale produttivo.
In effetti oggi nel mondo ci sono in costruzione oltre 100 GW di centrali eoliche offshore, con investimenti in programma per svariati miliardi di euro. Attualmente, però, le spese di realizzazione e manutenzione delle wind farm marine restano molto più elevate di quelle onshore, a causa dei costi di trasporto dei materiali, delle difficoltà costruttive, dei problemi di ancoraggio delle torri al fondale e per la corrosione delle acque salate sulle strutture; dunque la produttività, ossia la ventosità, deve essere a maggior ragione elevata e costante.
Per questo motivo lo sviluppo dell’offshore è soprattutto concentrato nel Nord dell’Europa, ossia la regione dove questo parametro è migliore; il Regno Unito, in particolare, è senza dubbio il Paese leader in questa tecnologia, con 21 GW previsti entro il 2020. Inoltre, i mega progetti offshore britannici, a differenza di quelli tedeschi, che per ora rimangono soltanto sulla carta, sono decisamente più operativi.
Nei mesi scorsi, ad esempio, è entrata definitivamente in funzione la maggiore wind farm al mondo, London Array. Anche i dati relativi ai primi 6 mesi del 2013 diffusi dall’Ewea, l’associazione europea dell’eolico, confermano questo scenario: nel primo semestre dell’anno si è installato oltre 1 GW di potenza eolica offshore, pari a circa il doppio rispetto allo stesso periodo del 2012. Più precisamente, sono state aggiunte 277 nuove turbine in mare, per 1.045 MW di potenza. Principalmente si tratta di turbine entrate in funzione nel Regno Unito, che ha connesso 146 turbine per 514 MW di nuova potenza, un dato in gran parte imputabile proprio a London Array.
Altri 98 aerogeneratori per una potenza di 353 MW sono stati installati in Danimarca, mentre la Germania ha connesso 21 turbine per 105 MW di potenza. La potenza cumulata dell’eolico offshore europeo (che rappresenta la quasi totalità di quello mondiale) è così arrivata a 6 GW, distribuiti in 58 parchi nelle acque di 10 Paesi; altri 21 parchi, per una potenza di 5,7 GW, sono in fase di realizzazione (a fine 2012 si contavano permessi concessi per 18,4 GW di potenza e piani per 140 GW).
In Italia, come noto, l’eolico offshore è tra le vittime principali della sindrome Nimby, tanto che si contano persino leggi come quelle della Regione Sardegna che vietano la costruzione di qualsiasi pala marina, a prescindere da analisi di fattibilità economica e paesaggistica. Eppure, considerato che per questa tecnologia il costo delle fondazioni marine, delle linee elettriche subacquee e delle operazioni d’installazione/rimozione incide per circa il 50% su quello dell’intero impianto, il suo sviluppo potrebbe creare delle importanti opportunità per l’industria italiana dei cantieri navali e dell’offshore petrolifero, in questo momento sicuramente in affanno. Certo, la potenza del vento che spira lungo le nostre coste non è sicuramente paragonabile a quella dei Mari del nord, però, secondo il Wind energy report 2012 del Politecnico di Milano, l’Italia avrebbe un potenziale di circa 10 GW di installato.
Più realisticamente il Governo si è posto l’obiettivo di arrivare all’installazione in Italia di 650 MW di capacità eolica installata entro il biennio 2015-2016. Lo strumento per raggiungere questo target è rappresentato dal sistema di incentivazione valido per l’energia del vento, che prevede una quota di MW riservata alla tecnologia marina, ma l’esito della prima asta è stato (prevedibilmente) disastroso, tanto che nessun operatore ha presentato domande di incentivi. Qualcosa, però, anche se piuttosto lentamente, sembra muoversi: nei mesi scorsi il Governo ha autorizzato, tra l’opposizione della popolazione locale, un progetto da 136 MW al largo del Canale di Sicilia che, infatti, è già dato per acquisito dall’Ewea per il 2013-2014 e potrebbe contribuire per il 4% al totale delle nuove installazioni offshore europee previste per il prossimo biennio.
Anche su questa opera, nonostante la Valutazione d’impatto ambientale positiva, pesa però l’ombra dei ricorsi al Tar. Ad alimentare la sindrome Nimby c’è l’incertezza sulle reali capacità di produzione dell’offshore italiano, che alimenta i sospetti di tentativi speculativi. Il progetto Powered, finanziato dall’Ue con quattro milioni di euro, nasce proprio con l’intenzione di fare chiarezza su questo delicato punto.
Lo scopo principale dell’iniziativa è, infatti, quello di stilare delle linee guida per la realizzazione di parchi eolici offshore nel mare Adriatico, compatibili con la politica di pianificazione e conservazione ambientale; il traguardo finale è quello di definire le caratteristiche per un progetto di rete di connessione elettrica sottomarina che agevoli gli scambi di energia fra i diversi Paesi dell’area Adriatica. Il raggiungimento di questi ambiziosi obiettivi passa per lo studio delle risorse eoliche del bacino, grazie all’installazione di una rete di stazioni meteorologiche costiere e di almeno una di tipo marino.
Lo scorso febbraio Powered ha mosso il primo passo operativo con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del bando per l’acquisto e l’installazione di nove torri (8 torri da 45 metri e una da 100 metri di altezza), dotate di anemometri su diversi piani.
Una volta operative, queste strutture dovrebbero permettere di migliorare e qualificare al meglio la mappa del vento dell’Adriatico, nonché implementare un sistema di previsione meteorologica di breve durata (a 24-48 ore) utile alla stima della produzione di energia elettrica di parchi eolici offshore.
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L'autore
Gianluigi Torchiani
Giornalista classe 1981, cagliaritano doc ormai trapiantato a Milano dal 2006. Da diversi anni si interessa del mondo dell’energia e dell'ambiente, con un particolare focus sulle fonti rinnovabili
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