Energie alternative
Il futuro dei biocarburanti
Dalle colture alimentari ai rifiuti e alle alghe. L'industria ha spostato la propria attenzione verso nuove materie prime da cui ricavare biofuel
Photo: Official U.S. Navy Imagery
I biocarburanti di prossima generazione verranno dalla spazzatura. Non hanno dubbi i rappresentanti delle aziende: i rifiuti sono la risorsa più promettente da cui ricavare biocombustibili. Anche le alghe e i materiali a base di cellulosa offrono prospettive interessanti e contribuiscono a risolvere il problema dell’utilizzo delle coltivazioni alimentari come il mais. I trend sono emersi da un’indagine su 100 leader di aziende riuniti al World Biofuel Market di Rotterdam.
Dalle colture alimentari ai rifiuti
I rifiuti solidi urbani rappresentano la fonte più promettente di biocarburanti per il 26% degli intervistati. Su questo fronte sono attive da anni aziende come Enerkem e Fulcrum Bioenergy mentre LanzaTech aprirà un impianto pilota entro l’anno. Seguono le colture non alimentari, come jatropha, swithgrass e camelina, scelte dal 24% del campione. Sono in molti a credere che queste materie prime non abbiano bisogno di ulteriore ricerca e sviluppo, la camelina per esempio è stata ampiamente testata dall’esercito Usa e dalle linee aeree commerciali, ma piuttosto di una produzione in scala, e quindi rappresentino una valida alternativa a breve termine. Tuttavia, pur non trattandosi di colture alimentari, bisogna sempre accertarsi che non tolgano spazio e acqua alle coltivazioni destinate alla nutrizione delle popolazioni locali, spiega Damian Carrington sul blog del Guardian.
Il 2012 sarà poi certamente l’anno delle alghe, che hanno raccolto il 20% dei consensi. Diversi sono i progetti, non solo di aziende, che puntano su questa risorsa dei mari: Aqualia, società di gestione delle acque spagnola, ha lanciato un progetto dimostrativo su scala commerciale che utilizza acque reflue per far crescere alghe da cui produrre biocarburanti. A febbraio è partito il progetto Enpi Med Algae, finanziato dall’Unione europea, che coinvolge 12 organizzazioni e centri di ricerca del bacino mediterraneo e che mira alla realizzazione di impianti per la produzione di biocarburante derivato dalle microalghe.
E’ di questi giorni la notizia che un’azienda italiana, la T.M. di Modena, sta sperimentando una nuova tecnologia per produrre biodiesel dalle alghe. Il 16% dei gruppi aziendali guarda invece ai biocarburanti cellulosici, prodotti a partire da un’ampia varietà di foraggi come fieno di paglia, prodotti del legno e altre biomasse. Come per esempio Christian Morgen, direttore della bio-raffineria Inbicon in Danimarca, la più grande al mondo, dove si trasforma la paglia in etanolo per mescolarlo con la benzina.
Un settore in crescita
Quello dei carburanti bio è un settore destinato a crescere e nel 2030 rappresenterà il 25% del totale, secondo la ricerca. A determinare un’ulteriore spinta saranno i prezzi record del petrolio, la scarsa disponibilità di alternative e le politiche dei governi, che prevedono un maggiore quota di biocarburanti nel trasporto. Un ruolo guida, sempre secondo la maggior parte dei leader aziendali, lo avrà il settore dell’aviazione e quello militare americano, che ha condotto diversi test e si è impegnato ad alimentare metà della sua flotta con biocarburanti entro il 2020.
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L'autore
Roberta Pizzolante
Giornalista pubblicista dal 2005 e scrive di scienza, ambiente, energia, diritti umani e questioni etiche e sociali. Salentina di nascita, romana d’adozione, è laureata in Sociologia e ha un master in “Le scienze della vita nel giornalismo e nei rapporti politico-istituzionali” conseguito alla Sapienza. Fa parte della redazione di Galileo e Sapere e collabora con Le Scienze, Mente & Cervello, Terre di Mezzo street Magazine.
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