Tekneco #10 – Energia
Il contenimento dei consumi in azienda
Secondo Vittorio Chiesa dell’Energy & Strategy group del Polimi, il risparmio energetico nel settore industriale è frenato anche dallo scarso accesso al credito
Il settore industriale in Italia avrebbe ottime potenzialità di efficientamento dei propri processi produttivi, ma è frenato da una serie di ostacoli strutturali: ne è convinto Vittorio Chiesa, direttore dell’Energy & Strategy group del Politecnico di Milano.
«La penetrazione dell’efficienza energetica risente di barriere di natura economica e culturale. Gli ostacoli del primo tipo sono sostanzialmente legati da un lato ai tempi di ripagamento degli investimenti che, pure, nell’efficienza non sono particolarmente lunghi. O, meglio, possiamo dire che lo sono in relazione all’aspettativa delle imprese: il payback medio è intorno ai due-tre anni e, in questa fase recessiva, le aziende tendono a non investire nei progetti con un Roi (Return of investment) superiore ai 3 anni. La crisi, insomma, spinge a investimenti di più breve periodo, mentre gli interventi più grandi e strutturali, che quasi sempre hanno un payback superiore ai 3 anni, sono spesso pregiudicati da questo tipo di considerazione».
Altro punto dolente è l’accesso ai finanziamenti: nonostante il sistema bancario stia cominciando a comprendere le opportunità offerte dal risparmio energetico, le possibilità per le imprese di ottenere accesso al credito per progetti di questo tipo resta ancora difficile. Dal punto di vista culturale, invece, le barriere sono legate alla difficoltà di convincere il management di un’azienda a effettuare investimenti che siano garantiti esclusivamente dalla riduzione dei consumi.
«Per molte imprese si tratta di un “salto” non di poco conto. Spesso, poi, non si ha la percezione che la sostituzione di determinati asset e dispositivi con altri più efficienti possa assicurare un vantaggio. Detto in altri termini: si tendono a prendere in considerazione gli investimenti soltanto quando gli apparecchi sono giunti a fi ne vita e devono essere per forza sostituiti», spiega il direttore dell’Energy & Strategy group.
In linea generale, comunque, la propensione all’efficienza è maggiore tra le aziende dei settori energivori (metallurgico, prodotti per l’edilizia, cementifici, industrie di processo, ecc): tanto più il costo dell’energia costituisce una parte rilevante delle spese dell’impresa, maggiori sono l’attenzione e la sensibilità verso questo tema, anche perché spesso queste aziende sono dotate di apposite competenze interne (energy manager) e strutture dedicate.
«È evidente, dunque, che sono soprattutto le grandi società a dedicare più spazio all’efficienza energetica; per le Pmi, invece, le barriere culturali sono molto significative, non potendo disporre di strutture organizzative o di figure professionali dedicate», aggiunge il ricercatore del Politecnico di Milano. In teoria queste realtà dovrebbero contare sul supporto delle Esco, le Energy service company, ossia soggetti specializzati nell’effettuare interventi nel settore dell’efficienza energetica, sollevando il cliente dalla necessità di reperire risorse finanziarie per la realizzazione dei progetti e dal rischio tecnologico, in quanto gestori sia della progettazione/costruzione che della manutenzione per tutta la durata del contratto. Le Esco, però, in Italia sono generalmente piccole: questo significa che riescono a offrire poche garanzie al sistema bancario e, dunque, a ottenere pochi prestiti.
COME TRADURRE I BUONI PROPOSITI IN PROVVEDIMENTI CONCRETI
Lo schema di Strategia energetica nazionale (Sen) varato in autunno dal Governo si propone di superare tutte queste difficoltà, puntando in maniera prioritaria sull’efficienza energetica per garantire la riduzione delle bollette per gli utenti finali e la diminuzione della dipendenza dalle importazioni estere.
Al di là dell’intenzione positiva, Chiesa non nasconde le difficoltà a tradurre questi propositi in provvedimenti di sostegno concreti ed efficaci. Il mondo dell’efficienza energetica, pur potendo contare su una filiera industriale Made in Italy di tutto rispetto, risulta molto articolato e complesso, con una molteplicità di tecnologie e comparti molto diversi tra di loro. «L’efficienza energetica non è certo come il fotovoltaico, dove i riscontri sui ritorni economici e sulla produzione sono molto più semplici da elaborare. Ad esempio da un anno e mezzo si sta cercando di correggere il funzionamento dei Certificati bianchi: in passato, larga parte di questo strumento, il principale in materia, è stata assorbita da interventi minori nell’ambito dell’illuminazione. Occorre, insomma, distinguere tra tecnologie a maggiore grado di maturazione, in grado di ripagarsi da sole e quelle che, invece, hanno realmente bisogno di un sostegno statale. Altrimenti il rischio è che il mercato, se non viene organizzato bene, si indirizzi verso le soluzioni più semplici e meno strutturali».
Per quanto riguarda, infine, la presunta concorrenza tra efficienza e fonti rinnovabili, paventata da più parti, il ricercatore del Politecnico di Milano smonta la questione: «Quello che sta accadendo e sempre più accadrà, con la progressiva fine degli incentivi dedicati alle energie verdi, è la convergenza tra rinnovabili ed efficienza. L’adozione delle fonti pulite sarà una componente di un intervento di riqualificazione più ampio per una migliore gestione dell’energia da parte degli utenti finali».
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L'autore
Gianluigi Torchiani
Giornalista classe 1981, cagliaritano doc ormai trapiantato a Milano dal 2006. Da diversi anni si interessa del mondo dell’energia e dell'ambiente, con un particolare focus sulle fonti rinnovabili
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