Fotovoltaico organico, Lecce tra i pionieri
L’università del Salento fa avanguardia per la ricerca di nuovi materiali, che offrono vantaggi sul silicio nelle celle solari. Questo scopo accomuna i principali poli universitari in Italia e nel mondo
Celle solari flessibili, semitrasparenti, colorate. Adatte all’integrazione con borse da viaggio, caricabatterie per cellulari, facciate delle abitazioni. Sono applicazioni basate sui composti del carbonio. Sfidano il silicio utilizzato nei pannelli fotovoltaici sul mercato. E la scommessa parte dai laboratori universitari. Anche italiani. A Lecce un gruppo di venti ricercatori studia l’evoluzione dei materiali per la fabbricazione di celle Dssc (“dye sensitized solar cell”, sensibilizzate a colorante): a catturare la radiazione solare è una tintura organica o metallorganica. A differenza dei moduli in silicio, inoltre, i costi di produzione e di utilizzo su larga scala sono ridotti: vengono costruite con tecniche serigrafiche, simili alla stampa. È una rivoluzione negli impianti e nell’indotto. L’obiettivo di lungo periodo per il gruppo leccese è di sviluppare la “building integration”. Le pareti degli edifici e i vetri diventano pannelli solari grazie all’integrazione con le celle Dssc: sono semitrasparenti e adattabili alle esigenze di design. Contribuiscono alla produzione di energia elettrica nelle abitazioni. Inoltre, rispetto ai moduli in silicio, funzionano anche con il cielo nuvoloso (in condizione di luce diffusa) e su pareti verticali (mentre gli impianti fotovoltaici in commercio hanno bisogno di un preciso angolo di inclinazione). È un progetto sviluppato in collaborazione con la Daunia Solar Cell, una società del gruppo riminese Tozzi impegnata nel solare di terza generazione. A guidare il progetto è Giuseppe Gigli, coordinatore dela Divisione Organici del Laboratorio Nazionale di Nanotecnologie dell’Infn-Cnr, in collaborazione con l’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) e l’Università del Salento. Sono attività finanziate con fondi europei, regionali e industriali.
Una materia prima più economica
La gara per trovare tecnologie più economiche è aperta. I panelli solari di silicio (mono o policristallino) hanno costi elevati di produzione, dovuti soprattutto alla materia prima e agli impianti di lavorazione. La gamma del solare organico è ampia: alle celle Dssc si affiancano celle totalmente organiche (polimeriche) e celle ibride organico/inorganico. Di recente un convegno organizzato ad Assisi, Hopv (Hybrid and Organic Photovoltaic), ha riunito alcuni tra i protagonisti mondiali del settore, con 250 partecipanti. Rivelando un mondo in effervescenza. Dove la ricerca di laboratorio sul fotovoltaico di terza generazione inizia a sbarcare sul mercato. I primi successi con celle fotoelettrochimiche sono recenti. Nel 1991 Michael Graetzel, ricercatore dell’École Polytechnique Fédérale di Losanna, progetta e costruisce i prototipi di celle Dssc, a partire da uno strato sottilissimo di biossido di titanio. Nel tempo, le metodologie di fabbricazione sono migliorate. Tanto che due aziende (l’inglese G24i e la statunitense Konarka) hanno commercializzato borse da viaggio con dispositivi solari organici in grado di alimentare oggetti di elettronica di consumo, come i cellulari. La procedura di assemblaggio per le celle Dssc ricorda la preparazione di un sandwich. La prima “fetta” è un substrato, generalmente vetroso, con una pellicola di un ossido conduttivo. In laboratorio i ricercatori spalmano uno strato di biossido di titanio, un materiale bianco utilizzato nei dentifrici e nelle vernici. Lo spessore è di pochi millesimi di millimetri e deve essere uniforme. Sono tecniche serigrafiche, simili alla stampa. Il film di nanoparticelle viene stabilizzato termicamente in un forno per alcune ore: in questo modo il solvente evapora. Il colorante sul biossido di titanio può avere un’origine biologica, naturale o artificiale. I pigmenti ricavati dai frutti, però, sono meno efficienti di quelli sintetici. Per esempio, i mirtilli contengono antocianine: assorbono i raggi solari e attivano un processo simile alla fotosintesi clorofilliana. L’efficienza, però, è di circa l’un per cento. Le tecnologie di produzione su scala nanometrica (in dimensioni, cioè, di un miliardesimo di metro) aumentano la superficie di contatto. I ricercatori, poi, aggiungono un altro substrato di dimensioni identiche al primo (il controelettrodo) e uniscono le due parti del “sandwich”, garantendo uno spessore di pochi millesimi di millimetro. Infine, sigillano la cella appena costruita per evitare l’ingresso di aria e versano una soluzione elettrolitica.
Obiettivo mercato
Ma dall’accademia laboratorio il processo di produzione deve passare su scala industriale: è uno dei principali obiettivi del Polo Chose (Center for Hybrid and Organic Solar Energy) dell’università Tor Vergata di Roma. Le sfide principali da affrontare sono tre. Occorre aumentare l’efficienza per rendere le celle fotoelettrochimiche competitive con le tecnologie al silicio. Finora, in laboratorio, le celle Dssc hanno raggiunto valori tra l’11% e il 12%. Inoltre, i tempi di vita dei moduli solari organici in commercio in genere non superano i tre anni: per l’edilizia sostenibile, invece, l’obiettivo è di raggiungere una durata delle celle fotoelettrochimiche vicina ai vent’anni, con un efficienza di circa il 7%. Inoltre, bisogna perfezionare i sistemi per la produzione industriale su larga scala. Ma i costi sono competitivi. Sul mercato i moduli di silicio fotovoltaico raggiungono dai due ai quattro euro per watt/picco. Secondo le stime disponibili, i pannelli Dssc costerebbero meno di un euro per watt/picco. Le strutture del Polo Chose occupano circa 500 metri quadrati. È un team di ricerca multidisciplinare: riunisce fisici, ingegneri elettronici, chimici. Di recente, il gruppo di ricercatori ha sviluppato un processo per sintetizzare il biossido di titanio attraverso un laser: in questo modo, è possibile evitare il passaggio nei forni. Il Polo Chose è stato istituito nel 2006 con il finanziamento della Regione Lazio. A fondarlo sono stati quattro colleghi del Dipartimento di Ingegneria Elettronica dell’università di Tor Vergata: Aldo Di Carlo, Franco Giannini, Thomas Brown e Andrea Reale. Di recente ha lanciato un consorzio, Dyepower per studiare e costruire facciate di abitazioni integrate con celle di terza generazione. Hanno contribuito a finanziare il progetto Erg Renewable (2,5 milioni di euro), Permasteelisa (2,5 milioni di euro) e l’australiana Dyesol (1,5 milioni di euro). Partecipano anche le università di Ferrara e Torino. La prospettiva di impresa è strettamente legata all’attività di ricerca attraverso due società spinoff: Dyers e Intelligentia. “Abbiamo in corso le procedure per la proposta di tre brevetti”, osserva Thomas Brown, professore associato al Dipartimento di Ingegneria Elettronica di Tor Vergata.
La frontiera del fotovoltaico organico riunisce diversi team sul territorio italiano. Che, insieme, hanno presentato da poco un progetto per il Pon (Programma operativo nazionale): l’obiettivo è di unire le caratteristiche dei gruppi di ricerca per alimentare un impegno nazionale sulle tecnologie di terza generazione. “In Italia il fotovoltaico basato sul silicio è limitato all’installazione e l’assemblaggio. Eppure negli anni Settanta e Ottanta eravamo all’avanguardia. Con il solare di terza generazione possiamo rientrare sul mercato e coinvolgere piccole e medie imprese”, sottolinea Giuseppe Gigli, coordinatore dela Divisione Organici del Laboratorio Nazionale di Nanotecnologie dell’Infn-Cnr di Lecce.
Dagli USA alla Cina, la corsa per i nuovi materiali
Una borsa portatile alimentata da una cella fotovoltaica organica di 1,4 watt: è in grado di ricaricare cellulari, lettori mp3, macchine fotografiche. La tecnologia è fornita da Konarka, una delle prime aziende a puntare sul solare di terza generazione. Nata come azienda spin off dell’università del Massachussetts, negli Stati Uniti, ha lanciato sul mercato piccoli moduli destinati all’elettronica di consumo e alle borse da viaggio. Il suo laboratorio di ricerca e sviluppo lavora sulle celle polimeriche (commercializzate come “power plastic”) e ibride (dssc). Queste ultime, in particolare, sono più adatte ad applicazioni per l’edilizia sostenibile: possono essere integrate all’interno di vetri o in pannelli per rivestire le facciate delle abitazioni. Di recente è arrivata in fase di produzione anche l’inglese G24i, con sede a Cardiff: progetta e costruisce tecnologie per il fotovoltaico organico. Collabora con tre istituti cinesi e con l’università di Losanna, dove Michael Graetzel ha costruito le prime celle dssc. Ma la corsa per arrivare sul mercato accelera. L’australiana Dyesol punta a espandere l’attività negli Stati Uniti, dopo aver consolidato la sua posizione in Europa e in Asia. Le startup premono sull’acceleratore, come Solar Print (Irlanda), Solaronix (Svizzera) e Solarmer (Stati Uniti). La ricerca sul fotovoltaico di terza generazione, poi, richiama investimenti crescenti delle multinazionali. Sony ha annunciato di aver prodotto celle organiche in grado di raggiungere un’efficienza del 10%, ma sono ancora valori di laboratorio che devono fare i conti con la fabbricazione per la commercializzazione. Hanno unità impegnate nello sviluppo del solare organico anche altre aziende interessate alle frontiere delle tecnologie a film sottile, come Agfa, Basf, Mitsubishi, Bayer.
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L'autore
Luca Dello Iacovo
Giornalista freelance, collabora con "Nòva-Il Sole 24 Ore". Segue l'evoluzione del mondo di internet e le frontiere della sostenibilità.
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Nicola Spano'
scrive il 24 dicembre 2010 alle ore 21:42
4 o 5 anni fa si pensava che le DSSC fossero un gioco, le solite invenzioni che non servono a niente , buone solo per costruire articoli e lavori che poi andranno dimenticati negli scaffali impolverati. Ma stavolta credo proprio che non è così. La facile tecnologia e soprattutto la possibilità di trasformare il sistema in un oggetto artistico può essere la chiave di Volta del successo commerciale delle DSSC. Per questo motivo credo sia necessario che tra le intelligenze della nostra università si crei una grande collaborazione tra tutte le Università e tra enti, e persone fisiche che vogliono portare avanti con successo la tecnologia creativa più adatta a questa applicazione. Credo proprio che il genio italico sia adatto allo scopo. Il problema è però quello del tempo: non si può più attendere.