Energie alternative
Eolico offshore: in Italia è ancora fermo…al palo
A livello internazionale il settore procede spedito, in Italia invece no. Eppure ha potenzialità enormi, assicura l’associazione di settore
Photo: tadolo
A che punto è lo sviluppo dell’eolico offshore? Bene, se si guarda a livello internazionale, ed europeo in particolare. In Italia è ancora fermo… al palo.
La situazione internazionale
Il mercato dell’eolico offshore l’anno scorso è rimasto stabile, come certificano i dati dell’associazione europea di settore, Ewea (European Wind Energy Association): nel 2011 sono state installate in mare 235 nuove turbine eoliche per un valore di circa 2,4 miliardi di euro e una potenza di 866 MW, tutte collegate alla rete, a fronte di 883 MW del 2010 forniti dai nuovi impianti connessi alla rete di distribuzione. Il futuro è comunque in crescita, dato che sono già in cantiere nove nuovi parchi eolici in mare che porteranno 2.375 MW aggiuntivi aumentando, così, la capacità totale dell’offshore Ue del 62%.
Anche a livello di investimenti, nonostante la crisi mondiale, si registra un deciso aumento: sempre nel confronto tra 2010 e 2011 sono passati da 1,46 miliardi di euro a 2,05 miliardi di euro. Segnali incoraggianti di sviluppo nel settore arrivano anche dagli Usa, dove l’amministrazione Obama ha presentato i piani energetici destinati ad aumentare la capacità eolica off-shore del Paese, mettendo all’asta nuovi contratti di locazione per i siti al largo dei quattro stati della costa orientale.
La stasi dell’Italia
Tutta questa attività in Italia invece non si registra. Di recente il ministro dell’Ambiente Corrado Clini ha fatto una parziale apertura alle potenzialità del settore, guardando nello specifico al progetto Powered: “può rappresentare il modello e definire la traccia del lavoro per lo sviluppo dell’energia eolica offshore nell’Adriatico”. Finanziato con 4 milioni e 400 mila euro dal Programma transfrontaliero Ipa Adriatico, Powered si propone di determinare se ci siano le possibilità per investire nell’eolico in Adriatico e per determinarlo prevede l’installazione di una rete di anemometri in mare e lungo le coste per monitorare le evoluzioni climatiche e raccogliere dati metereologici.
Di progetti di parchi eolici offshore in Italia già ce ne sono, evidenzia Gaetano Gaudiosi, presidente Owemes, associazione non profit creata per promuovere lo studio e lo sviluppo delle tecnologie eoliche offshore e le energie rinnovabili marine in generale: “si conta circa una decina di progetti in acque basse (10-20 metri) a una distanza a 3-4 miglia dalla costa, alcuni dei quali approvati già con la Valutazione di impatto ambientale (Via) e uno in acque profonde a Tricase che dovrebbe aver avuto l’autorizzazione unica, anche se non si conosce ancora l’esito definitivo”.
Il problema è che finora non c’è alcun progetto che abbia visto la luce e si contano molte levate di scudi, com’è accaduto per il progetto di parco eolico offshore della società Effeventi, 54 torri eoliche che avrebbero dovuto sorgere al largo di Termoli e Petacciato: il Tar del Molise lo ha bocciato. Va anche ricordato il caso del parco eolico al largo di Tricase, in provincia di Lecce, (che sarebbe stato il primo in Italia), sulla cui realizzazione le stesse associazioni ambientaliste hanno posizioni opposte: Legambiente favorevole, Italia Nostra contraria.
“Questi progetti si scontrano spesso con l’opinione pubblica, che dà molto peso all’impatto visivo di questi impianti. Ma a rallentarne lo sviluppo è anche la mancanza di un piano energetico nazionale e di una burocrazia complessa che rende le fasi autorizzative lunghe e non attira certo investitori, che pure sarebbero interessati”, ammette il vertice Owemes.
Anche perché le potenzialità sono davvero notevoli, spiega sempre Gaudioso: “se il potenziale di impianti in acque basse (10-20 metri) tra 3 e 10 miglia dalla costa è relativamente limitato, pari a un migliaio di MW circa, per gli impianti in acque profonde (100-200 metri) a distanza di 10-20 miglia dalla costa, basati su piattaforme galleggianti, le potenzialità sono enormi tanto che si potrebbe produrre tanto eolico a livello offshore quanto quello che è realizzato con gli impianti a terra, ossia si raddoppierebbe la produzione eolica totale, arrivando a raggiungere la produzione dell’idroelettrico”.
Varrebbe anche la pena di considerare il volano occupazionale che potrebbe essere messo in moto dalla realizzazione di questi impianti: basti considerare che, sempre dalle cifre diffuse dall’Ewea, da qui al 2030 questo settore creerà 300mila nuovi posti di lavoro nel settore al 2030.
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L'autore
Andrea Ballocchi
Andrea Ballocchi, giornalista e redattore free lance. Collabora con diversi siti dedicati a energie rinnovabili e tradizionali e all'ambiente. Lavora inoltre come copywriter e si occupa di redazione nel settore librario. Vive in provincia di Milano.
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architraum
scrive il 12 marzo 2012 alle ore 10:16
vi immaginate quanti schettino a stamparsi sugli impianti??? è uno scherzo,non vi rattristate suvvia...
Elena Hagi
scrive il 13 marzo 2012 alle ore 09:28
Qui si insiste a chiedere all'oste se il vino e buono! La domanda da fare è: se non ci fossero gli incentivi pubblici, i certificati verdi, l'appropriazione indebita di denaro direttamente dalle bollette dei consumatori, le "potenzialità enormi" lo sarebbero realmente? E ancora: la rete elettrica nazionale non riesce a sostenere i picchi simultanei prodotti dalle fonti energetiche rinnovabili, quindi il GSE "Gestore Servizi Elettrici", con un regolamento interno, garantisce il pagamento degli oneri per la mancata produzione a tutti gli impianti che vengono staccati dalla rete nella fase di picco.....e di chi sono questi soldi? Sempre nostri. Quindi ricapitolando: incentivi pubblici, CV, A3, manacata produzione. La beffa è che questi soldi vengono rilasciati in base alla produzione nominale e non in base alla produzione effettiva su base storica. Vogliamo parlare poi dei numerosi incidenti che un impianto industriale off-shore potrebbe avere? Ipotizzando anche la sola, usuale, perdita di olio lubrificante degli ingranaggi e della "testa" rotore, vogliamo immaginare come si risolverebbe in mezzo al mare questo disastro? La realtà delle cose è che questi affaristi che si portano i soldi italiani all'estero, attraverso multinazionali che prendono gli oneri ma non pagano il dovuto, sono dei lupi voraci e mai sazi..... altro che green economy.
gabriele vidali
scrive il 14 marzo 2012 alle ore 10:54
Te non hai idea di quanta energia producano questi impianti. Carina però come obiezione ecologista
alexander Senoner
scrive il 19 luglio 2012 alle ore 11:22
@Elena. E il nucleare dove sarebbe senza incentivi? Le centrali a carbone dove sarebbero senza incentivi? Forse non lo sai ma le centrali a carbone vengono incentivate molto di più dell'eolico. L'eolico attualmente è la fonte di energia a miglior prezzo che abbiamo in Europa. È per questo che dobbiamo investirci.