Così il gas ruba la scena al petrolio
Dal referendum sul nucleare alla ricerca scientifica, molte cause concorrono ad attirare l'attenzione sul settore
Il gas si candida a essere per i prossimi decenni quello che finora è stato il petrolio. Un ruolo primario sul fronte del consumo energetico che si sta conquistando per un concorso di cause, che vanno dal referendum che ha portato all’addio del nucleare fino alle innovazioni tecnologiche che consentono oggi di ridurre i costi di approvvigionamento. Il tutto a fronte, tuttavia, della cronica dipendenza dell’Italia da paesi socialmente instabili.
Il nuovo mix energetico
Gli obiettivi energetici di medio termine – far scendere la produzione da idrocarburi al 50%, con la restante metà equamente divisa tra rinnovabili e nucleare- messi a punto dal Governo devono essere riscritti alla luce del referendum. Il 25% che non potrà essere prodotto attraverso l’atomo verrà verosimilmente spalmato tra le rinnovabili (che tuttavia non potranno crescere di molto rispetto al 25% previsto per un problema di sostenibilità delle reti) e il gas. Nei giorni scorsi il ministro per lo Sviluppo Economico Paolo Romani ha dato un’indicazione dei nuovi orientamenti, spiegando che dopo la crisi libica e il disastro di Fukushima il governo si attende “un significativo contributo dalle produzioni nazionali di idrocarburi già a partire da quest’anno”, per poi precisare che “c’è la possibilità di incrementare le nostre produzioni di gas, oggi di 7 miliardi di metri cubi l’anno, di ulteriori 3 miliardi”.
Il nodo delle infrastrutture
Se i progressi dell’industria rendono verosimile il progetto di potenziamento della produzione, resta tuttavia da risolvere il problema delle infrastrutture. Come sottolineato dalla recente relazione del presidente dell’Authority per l’energia Guido Bordoni, secondo il quale se l’Italia non si doterà alla svelta delle nuove infrastrutture “sarà condannata a diventare una provincia del gas e non un paese-snodo che assume un ruolo cruciale nel nuovo scenario che si vaconfigurando”. Per poi insistere sul fatto che “gli investimenti in capacità di stoccaggio, in nuovi rigassificatori o in gasdotti di collegamento con i paesi produttori, sono elementi fondamentali per poter far acquistare all’Italia il ruolo di hub europeo del gas”.
I due problemi da risolvere
Le urgenze reclamate da Bordoni si scontrano con due tipologie di problemi. Il primo è di carattere squisitamente economico: realizzare le infrastrutture significa per lo Stato mettere in campo investimenti miliardari, difficili da immaginare in un periodo di riduzione dei costi. Il secondo riguarda le resistenze delle comunità locali nei confronti dei rigassificatori, che pure risulterebbero molto utili perchè consentirebbero di trasportare via nave il gas in forma liquida (con evidenti risparmi nel volume impiegato), per poi riportarlo appunto in forma gassosa al momento di indirizzarlo verso i consumi finali. Senza dimenticare che i rigassificatori farebbero crescere la torta del mercato, attirando nuovi operatori, a tutto vantaggio dei consumatori.
Le potenzialità dello shale gas
Molto promettente è considerato, infine, il futuro dello shale gas, che si ricava da antiche e stratificate formazioni rocciose. Negli Stati Uniti sono in corso investimenti miliardari nell’estrazione di questa componente, nota da decenni, ma fino a poco tempo fa trascurata dall’industria per via di un processo di estrazione era considerato troppo costoso in quanto fondato su una complessa tecnologia che utilizza grandi quantità di nitrogeno, acqua e additivi chimici iniettati fino a 4 mila metri di profondità per creare la pressione necessaria a frantumare le rocce. I progressi compiuti dalla ricerca negli ultimi tempi hanno reso molto meno costoso questo processo, aprendo di fatto nuove frontiere al mercato.
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L'autore
Luigi Dell'Olio
Luigi dell'Olio, giornalista pugliese free-lance, vive a Milano, dove si occupa di temi legati all'economia, alla tecnologia e alle energie rinnovabili.
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