Innovazione tecnologica
Celle DSC, il futuro del fotovoltaico
La tecnologia basata sul processo della fotosintesi promette un’ampiezza di utilizzi impensabili rispetto alle tradizionali. A che punto è la ricerca
Photo: Università di Milano-Bicocca
Una nuova via nel fotovoltaico è possibile. Si chiama DSC (acronimo di Dye-sensitised solar cells) e promette una flessibilità di utilizzo impensabile rispetto ai moduli al silicio.
In Italia ci sono centri di ricerca che stanno portando avanti da anni e con risultati lusinghieri questa tecnologia e proprio per questo abbiamo incontrato Alessandro Abbotto, vicedirettore del Centro MIB-Solar, istituito presso il Dipartimento di Scienza dei Materiali dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca. È lui a spiegarci che “la DSC è una tecnologia matura di cui si parlava già negli anni Novanta; già oggi ci sono applicazioni commerciali e industriali seppure in contesti molto particolari. È bene chiarire innanzitutto che non mira a sostituire il silicio in quanto quest’ultimo ha tutta una serie di proprietà tali che gli permetteranno di essere predominante nel settore del fotovoltaico per molti anni”.
Vantaggi e problemi
La DSC presenta però una serie di proprietà di cui la tecnologia al silicio è carente o non idonea. “Tutto parte dal suo processo di funzionamento, che è di mimare la fotosintesi clorofilliana (che serve a convertire l’energia solare in chimica) e, più precisamente il ruolo della clorofilla nelle piante mediante un composto, una molecola, debitamente ingegnerizzata in maniera da convertire in maniera molto più efficiente l’energia solare, assorbendola e creando poi i presupposti per produrre elettricità”.
È proprio in questa molecola la principale e significativa differenza col silicio, che è “molto costoso per via del processo di purificazione cui è soggetto – ricorda Abbotto – . Queste molecole ingegnerizzate hanno invece un costo molto basso, paragonabile a quello che industrialmente si può avere per la tecnologia ai cristalli liquidi e per la quale c’è già un’industria pronta alla produzione”.
C’è anche un secondo vantaggio rispetto al silicio: “Quest’ultimo – spiega ancora il vicedirettore del MIB-Solar – non ha una grossa varietà strutturale e non permette di avere altre variazioni cromatiche se non il nero o il blu opaco. Le molecole ingegnerizzate basilari nella tecnologia DSC possono essere trasparenti, oltre che coprire tutta la gamma cromatica. Ciò diventa determinante nell’utilizzo di questo tipo di tecnologia per un’integrazione negli edifici, sostituendo per esempio le finestre e creando così vetri fotovoltaici oppure andando a ricoprire interamente i grattacieli”.
Ulteriore vantaggio della tecnologia DSC è la sua duttilità, potendo entrare nella realizzazione di prodotti fotovoltaici non convenzionali come tende da campeggio, mattonelle e persino tessuti.
Tutto bene quindi? No. Anche la tecnologia DSC allo stato attuale presenta dei limiti, il primo dei quali è legato alla bassa efficienza di conversione energetica: “Il pannello a silicio ha un’efficienza di conversione del 15-20% uno DSC arriva oggi al 10% circa su piccola scala e al 6% su grande scala e questo fa sì che non possa sostituire il silicio negli impianti di potenza, come i parchi fotovoltaici”, ammette Abbotto, spiegando però che “ le potenzialità della tecnologia DSC è di arrivare a efficienze 20-25% per il 2020, secondo alcune previsioni, ma già oggi con questa efficienza sarebbe comunque conveniente se venisse installata in un grattacielo, date le vaste superfici di cui usufruire”.
Arriviamo così al secondo limite, quello più importante: la stabilità. “Il silicio ha una garanzia operativa di almeno 25 anni, con durate ancora più ampie, il pannello DSC al momento stabilità di pochi anni anche se ultimamente molti progressi. Esistono dati scientifici che confermano una stabilità di qualche anno. Certo quest’ultima non è economicamente conveniente. Si punta comunque nel giro di qualche anno a stabilità ventennale”.
La filiera italiana al lavoro
Parlando di dati scientifici, il pensiero va proprio alla ricerca e al ruolo strategico che giocano centri come il MIB-Solar, primo centro sull’energia fotovoltaica in Lombardia, un punto di riferimento per l’industria. Proprio Abbotto illustra l’obiettivo che si pone il suo centro di ricerca, il cui primo scopo è di costituire una piattaforma tecnologica per le industrie desiderose di investire nel fotovoltaico, offrendo loro un know how elevato, di livello mondiale: “Intendiamo costituire una filiera italiana, in contatto con gli altri poli di ricerca nazionali per creare un network nazionale, unendo le forze per creare forte massa critica in grado di imporci a livello mondiale”.
Un obiettivo ambizioso che però necessità, oltre che del sostegno industriale che già in parte c’è, del contributo del governo: “Se entrasse in gioco il mondo politico-istituzionale si potrebbe velocizzare il processo per arrivare a creare una tecnologia di mercato, pronta nel giro di 3-5 anni. C’è bisogno però di investimenti da decine di milioni di euro”, conclude Abbotto, segnalando però che l’interesse politico c’è.
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L'autore
Andrea Ballocchi
Andrea Ballocchi, giornalista e redattore free lance. Collabora con diversi siti dedicati a energie rinnovabili e tradizionali e all'ambiente. Lavora inoltre come copywriter e si occupa di redazione nel settore librario. Vive in provincia di Milano.
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