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tecnologia CCS

Cattura e stoccaggio CO2: a che punto siamo

La tecnologia deputata a contenere la concentrazione di anidride carbonica vive un momento di stasi. Ma progetti e iniziative non mancano nel mondo

Scritto da il 02 luglio 2012 alle 8:15 | 0 commenti

Cattura e stoccaggio CO2: a che punto siamo

Photo: Uwe Hermann


Utile, inutile, indispensabile, pericolosa, dispendiosa… Sul sistema CCS (acronimo di Carbon Dioxide Capture and Storage, cattura e stoccaggio della CO2) si è detto praticamente di tutto. Analisi e studi in merito hanno fatto emergere tutti gli aspetti di una serie di tecnologie che si è diffusa nel mondo, sicuramente meno supportata finanziariamente negli ultimissimi anni, ma che è in grado di offrire una soluzione per tentare di ridurre la concentrazione in atmosfera della CO2.
Ma qual è la situazione oggi nel mondo?

Lo stato dell’arte globale

Sebbene, come detto, il settore stia vivendo un periodo di stasi per quanto riguarda gli investimenti (secondo un rapporto del Worldwatch Institute sono rimasti relativamente immutati nel 2011, con un finanziamento totale da parte dei governi che tocca i 23,5 miliardi di dollari) il settore non è certo fermo.

Le prove di maggior dinamismo arrivano da Stati Uniti e Canada, che sulla CCS hanno sempre investito molto: pochi giorni fa è stato stato reso noto il nuovo Piano d’Azione USA-Canada Clean energy dialogue che di fatto rinnova l’impegno congiunto e già in essere tra i due Paesi di collaborare attivamente allo sviluppo di tecnologie specifiche per la cattura e lo stoccaggio della CO2.

I frutti di questa collaborazione possono essere già visti nella recente pubblicazione, a opera del Dipartimento all’energia statunitense, del North American Carbon Storage Atlas (NACSA), che vede parte attiva anche il Messico. Questo studio individua e censisce le potenziali aree di stoccaggio della CO2 nei territori dei tre Paesi: l’ipotesi di minima circa la capacità di stoccaggio parla di 136 miliardi di tonnellate per i campi di estrazione di gas e petrolio, 65 miliardi di tonnellate metriche per il carbone e 1.738 miliardi di tonnellate per le riserve saline; tutta questa capacità è in grado di soddisfare un fabbisogno di 500 anni. Non solo: alcune aziende Usa e canadesi stanno lavorando per “battere i rivali europei” nella progettazione del primo impianto grande progetto esecutivo su larga scala.

Ma non c’è solo il Nordamerica interessato alla possibilità di stoccare l’anidride carbonica: l’India, per esempio, che trae dal carbone il 53% del soddisfacimento del suo fabbisogno energetico, intende ricorrere a tecnologie CCS in quanto il suo piano d’azione nazionale sui cambiamenti climatici presuppone un sistema energetico a minore intensità di carbonio.

Altri Paesi stanno conducendo iniziative per lo sviluppo degli impianti CCS. L’importante è raggiungere gli obiettivi segnati dall’International Energy Agency, che prevedono un ruolo importante nel taglio di un quinto delle emissioni globali di CO2 ma solo se verranno realizzati circa 100 impianti entro il 2020 e oltre 3000 al 2050.


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L'autore

Andrea Ballocchi

Andrea Ballocchi, giornalista e redattore free lance. Collabora con diversi siti dedicati a energie rinnovabili e tradizionali e all'ambiente. Lavora inoltre come copywriter e si occupa di redazione nel settore librario. Vive in provincia di Milano.


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