Biodiesel: crolla la produzione in Italia
Per il 2010 una contrazione del 70%, dovuta a importazioni da Stati Uniti, Argentina, Malesia. Sperimentazioni in corso per alghe e piante non commestibili
Photo: Credits:Skidrd
Entro l’anno la produzione in Italia di biodiesel può calare fino al 70%. La colpa è soprattutto delle importazioni dall’estero. La capacità degli impianti nazionali raggiunge 2,6 milioni di tonnellate, ma nel 2009 sono arrivate sul mercato 694mila tonnellate di carburante, generato a partire da colza, mais, girasole, barbabietola da zucchero.
In Italia il biodiesel viene miscelato al gasolio con una quota minima obbligatoria del 3,5%. Il nodo non è nella tecnologia, ma nelle tasse: “Dopo l’ultima finanziaria abbiamo perso qualsiasi incentivo. E altre nazioni possono contare su un regime fiscale agevolato”, dice Maria Rosaria di Somma, direttore generale di Assocostieri, l’associazione nazionale che riunisce i produttori di biodiesel. Eppure le previsioni dei consumi stimano che nel 2020 la domanda di gasolio sarà pari 27 milioni di metri cubi e la richiesta di benzina arriverà a 9,2 milioni di metri cubi.
Negli ultimi mesi sono aumentate le importazioni di biodiesel come prodotto finito in Italia: alcuni nazioni sfruttano economie di scala locali a partire dalla produzione agricola del territorio. L’Argentina è il principale fornitore mondiale per l’olio di soia: nell’area di Buenos Aires e Santa Fe sono operativi trenta impianti per la conversione in carburante di origine biologica. Quasi inesistente fino al 2007, l’export verso l’Europa ha raggiunto 800mila tonnellate nel 2009. Alla dogana argentina l’olio di soia è tassato al 35%: il biodiesel paga invece un dazio del 20%. Entro l’anno potrebbe arrivare a 2milioni di tonnellate, portando la nazione sudamericana nelle prime posizioni della classifica globale. Gli Stati Uniti puntano, invece, sul mais e la Malesia può contare sull’olio di palma: entrambi sono materie prime per il diesel “bio”.
Ma è uno scenario in continua evoluzione. Due anni fa un report della Fao ha evidenziato gli effetti di una corsa improvvisa al biocarburanti: pochi mesi prima che l’Unione Europea annunciasse l’obiettivo del 10% entro il 2020, sul mercato si sono impennati i prezzi delle materie prime per sintetizzare il biodiesel: sono anche generi alimentari di prima necessità, come il mais. L’incremento dei prezzi sull’onda di una speculazione finanziaria è stata attribuita per l’80% ai biocarburanti.
Anche l’Italia riceve da altri Stati i rifornimenti per la produzione di carburanti di origine biologica: “Le materie prime per il biodiesel provengono soprattutto da altre nazioni dell’Unione Europea, ma vengono conteggiate come importazioni”, sottolienea di Somma. E proprio alcuni paesi in via di sviluppo hanno puntato sulla crescita di un’economia integrata con i biocarburanti. Il primo caso di storico successo è stato il Brasile a partire dagli anni Settanta (dopo la crisi energetica in Medio Oriente): oggi è il primo esportatore al mondo di bioetanolo da canna da zucchero, addizionabile alla benzina. Fino a qualche anno fa una vettura della Fiat (oggi non più in produzione) era chiamata “cachachina” perché emetteva dal serbatoio un tipico odore di “cachaca”, un liquore locale. Argentina, Malesia, Indonesia provano a seguirne i passi con il biodiesel.
Eppure è ancora aperta la questione sul reale contributo dei biocarburanti alla riduzione di anidride carbonica rispetto ai combustibili di origine fossile, come benzina e gasolio. Uno studio dell’Eeb, un’organizzazione delle associazioni ambientaliste europee, analizza le ricerche finora condotte sulle emissioni e conclude che i biocarburanti potrebbero “giocare un ruolo nella riduzione dell’effetto serra in alcune nazioni”. La ricerca scientifica prosegue. E l’Italia non resta a guardare. Per due anni il progetto M.a.m.b.o. finanziato da Assocostieri ha osservato il rendimento di microalghe all’interno di fotobioreattori: un ettaro è in grado di produrre da 10 a 20 tonnellate di olio vegetale puro, contro una tonnellata generata dalla medesima superficie coltivato a girasole o colza. L’Enea studia il modo di incrementare l’efficienza nell’utilizzo di materie prime di scarto per combustibili di seconda generazione: sono colture non alimentari, come il miscanto.
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L'autore
Luca Dello Iacovo
Giornalista freelance, collabora con "Nòva-Il Sole 24 Ore". Segue l'evoluzione del mondo di internet e le frontiere della sostenibilità.
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Camelina sativa
scrive il 07 settembre 2010 alle ore 17:14
....
franco
scrive il 16 maggio 2011 alle ore 09:06
E' dal 2006 che utilizzo olio della frittura usato dopo averlo filtrato grossolanamente. Dov'e' il problema? la glicerina? la paraffina? Non me ne sono accorto! saluti Franco, Genova 16/5/2011