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Energie rinnovabili

Agricoltura: l’indipendenza dalle rinnovabili

In aumento gli investimenti nelle bioenergie. Una chance all'agricoltura nostrana, per rendersi autosufficiente rispetto ai bisogni di energia

Scritto da il 18 aprile 2012 alle 8:10 | 2 Commenti

Agricoltura: l’indipendenza dalle rinnovabili

Photo: Giovanna Lodato


Dal lavoro della terra al management. Potrebbe essere questo il profilo – in una prospettiva poi non così remota – del nuovo agricoltore italiano. Una figura capace di gestire appieno le risorse naturali e che, sfruttando in particolari gli scarti di lavorazione, mira all’autosufficienza energetica del settore. Secondo l’Unep (United Nation Environment Program) è attraverso l’impiego dei residui colturali e dei reflui zootecnici in qualità di biomassa, ma anche con il recupero delle attività forestali, che il comparto agricolo nostrano può rendersi indipendente.

Ancora l’Unep conferma l’Italia al secondo posto in Europa nell’aumento degli investimenti sulle energie rinnovabili, che vede la Germani in testa. A livello mondiale si investe in primis sull’energia eolica, con il solare a seguire mentre, al terzo posto nelle preferenze, troviamo le biomasse con 11 miliardi di dollari di investimenti.

«Le energie rinnovabili rappresentano un settore strategico che la crisi non ha intaccato – commenta Giulio Volpi della Direzione generale energie presso la Commissione Europea a Bruxelles –; basti pensare che nel 2011 ha attratto 260 miliardi di dollari, il 5% in più rispetto all’anno precedente. Anche in Italia l’energia prodotta da fonti rinnovabili continua a crescere anno dopo anno. La ricetta per consolidare un trend positivo – indica Volpi – è quella di garantire un quadro normativo stabile e duraturo che ne promuova lo sviluppo, sia di quelle elettriche ma soprattutto di quelle termiche, come le bioenergie».

Dal 2007 risultano 20 i progetti di ricerca finanziati dalla Commissione, che vertono in particolare su biocarburanti e produzione di elettricità da biomasse, per un ammontare di circa 70 milioni di euro. «Ma altre priorità di ricerca a livello europeo – chiarisce l’esperto – riguardano le nuove materie prime, come la biomassa acquatica e i rifiuti, e le bioraffinerie». Anche l’Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) ha evidenziato le grandi possibilità offerte dal mondo rurale nella promozione delle Fonti Energetiche Rinnovabili (Fer), soprattutto per quanto riguarda biogas e biomasse.

Nel dettaglio si guarda con grande interesse al ramo dei biocarburanti, come bioetanolo e biodiesel. Una spinta dettata anche dal Protocollo di Kyoto, recepito nella delibera del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE) del 19/11/98. L’accordo ha l’obiettivo di incentivare la produzione agricoltura destinata a realizzare biocarburanti, che dovranno essere miscelati in via obbligatoria nelle varie benzine in commercio.


Commenti

Ci sono 2 commenti.

  • Angelo Marsico
    scrive il 18 aprile 2012 alle ore 12:07

    Si annunciano termini come bio, sostenibilità, indipendenza, addirittura culture per l’autosufficienza energetica. Non desidererei che in futuro, per ottenere l’autosufficienza energetica dalle culture dedicate per alimentare le centrali, divenissimo poveri e dipendenti da altri per i prodotti alimentari. Non sempre il fine giustifica i mezzi. Non facciamoci prendere dall’attuale “moda” di produrre energia nel modo forsennato. Abbiamo bisogno di energia, e il modo migliore per rendercela disponibile, è quello di risparmiarla. Per generare dell’altra necessaria, non basta declinare i bei termini riportati nel secondo rigo di questo mio commento, ma come sono tradotti nella realtà. Ascoltare il termine di “centrale a biomassa” si è indotti a immaginare prati verdi e cieli azzurri, perché sempre, chi hanno interessi a sviluppare queste centrali, li fa apparire in tal modo; anche con l’arcobaleno che scavalca il camino. Centrali a biomasse che diffusamente sono più che inceneritori, dove bruciano di tutto, scarti di vegetazione, produzioni da culture dedicate e rifiuti urbani, e quindi plastica e altre porcherie affinché la centrale sia efficiente. Risultato: si ottiene lo spargimento di veleni sul territorio attraverso i fumi, cenere inutilizzabile, e trasformazione del territorio in deserto. Altre centrali più efficienti sono quelle che fermentano la biomassa per ricavarne biocarburante e calore, e quello che rimane è concime da spargere sul territorio. Stesso termine di “centrale a biomassa” ma con sostanziali differenze.

  • Piero
    scrive il 15 luglio 2012 alle ore 10:03

    Sono pienamente d'accordo con Angelo Marsico. Anziché puntare su piani seri di risparmio energetico, si persiste con questa mania di produrre energia che sta portando allo stravolgimento di colture, culture e territori. In Africa l'accaparramento di terre per fini energetici sta sconvolgendo società agricole millenarie. E in Italia, è noto, le ecomafie hanno puntato sopratutto sulle energie rinnovabili, trasformando una strumento ecologico in una realtà di devastazione del paesaggio e di illegabilità diffusa, specie nel Mezzogiorno. Per non parlare di biomasse, dove la colza sta "infestando" campi prima destinati alle nostre tipicità agricole rinomate in tutto il mondo...

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L'autore

Giovanna Lodato

Web editor. Formazione umanistica alle spalle, ha collaborato con diverse testate on line. Ha scritto di cultura, arte, musica ma anche di cronaca e politica, fino ad approdare all'ambiente. Da quasi due anni ecologia nonché i temi legati alla green economy e all'edilizia verde la fanno da padrone nella sua produzione giornalistica.


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