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Il verde che crescerà sulle nostre case | Tekneco

Tekneco #15 - Giardini pensili

Il verde che crescerà sulle nostre case

Il giardino pensile non è di sicuro una novità, ma negli ultimi tempi c’è stata una riscoperta delle coperture verdi, e anche vive nel senso vegetale

Scritto da il 28 maggio 2014 alle 7:30 | 0 commenti

Il verde che crescerà sulle nostre case

Quando parliamo di tetti, e quindi di coperture, possiamo dire, guardando un poco al passato e un poco al presente, che la fantasia di sicuro non è mancata agli architetti che di recente hanno rivalutato il verde: mettendolo sui tetti. Il giardino pensile non è di sicuro una novità, ma negli ultimi tempi c’è stata una riscoperta delle coperture verdi, e anche vive nel senso vegetale, dopo un lungo periodo di oblio dovuto alla standardizzazione e all’industrializzazione delle edificazioni, specialmente nel nostro Paese, dal dopoguerra ad oggi. La “novità” delle coperture verdi oggi, oltrettutto, non si deve solo a questioni estetiche o di decoro, ma anche e soprattutto ambientali poiché, ormai, è un fatto consolidato l’utilità della vegetazione in città. Mentre fino alla fine dell’800 la funzione del verde nelle città era esclusivamente decorativa, oggi si è consapevoli di quanti benefici all’ambiente urbano siano portati dalla vegetazione, considerando che ormai il 50% della popolazione mondiale vive nelle metropoli, che rappresentano solo il 3% della superficie utilizzabile dall’uomo. Sostanzialmente, i vantaggi delle coperture vegetali sono di carattere ambientale, economico e sociale. Le coperture vegetali sui tetti assorbono calore, riducendo l’esigenza di raffreddamento degli edifici e, inoltre, la vegetazione filtra l’aria dagli inquinanti. Altro aspetto ambientale poco noto dei tetti verdi è quello del drenaggio delle acque meteoriche, che può alleviare il lavoro della rete fognaria messo a dura prova sia dall’aumento dell’intensità delle piogge, sia dalla sempre maggiore impermeabilizzazione del suolo. La vegetazione sulle coperture può svolgere anche un ruolo notevole nella riduzione delle cosiddette “bolle di calore urbane”, riducendo le temperature e, quindi, il carico energetico per il condizionamento. Sul fronte economico abbiamo la diminuzione del consumo di energia elettrica per il raffrescamento – un grado in meno di temperatura ottenuto naturalmente fa risparmiare il 5% d’elettricità – e, secondo alcuni architetti, le coperture vegetali hanno una durata maggiore di quelle ordinarie e si possono coltivare. A Toronto, in Canada, città dove dal 2009 è in vigore una legge comunale che impone la realizzazione di tetti verdi per i nuovi edifici con una superficie maggiore di 2.000 metri quadri, l’hotel Royal York coltiva sul tetto piante aromatiche che utilizza nel proprio ristorante. L’utilizzo agricolo dei tetti si sta diffondendo anche per l’aumento d’interesse verso gli orti urbani, coniugando così l’aspetto economico a quello sociale, visto che l’utilizzo delle verdure può avvenire a chilometro zero. Per quanto riguarda la realizzazione di un tetto verde, un buon professionista è in grado di progettarlo sia nel caso di nuove costruzioni, sia nel caso di edifici già esistenti. È sconsigliato il fai da te, poiché è necessario fare dei calcoli strutturali in base alla tipologia dell’edificio e al peso della copertura che può arrivare anche ad alcune decine di tonnellate per soli cento metri quadrati, massa alla quale si deve aggiungere il peso dell’acqua e, in alcuni casi, della neve. Una soluzione per “alleggerire” il tutto, che non evita il ricorso a un professionista, può essere quella di non usare solo terra, ma un mix di elementi che alleggeriscono la copertura e ne aumentano l’efficienza energetica. Il tetto vegetale è composto da quattro elementi: la membrana d’isolamento che impedisce l’infiltrazione dell’acqua e che deve essere di ottima qualità, in quanto prima o poi si troverà ad affrontare le tenaci radici dei vegetali; lo strato di drenaggio di argilla espansa per la sua stabilità e leggerezza; lo strato di crescita, dello spessore tra i 15 e i 30 centimetri a seconda dell’utilizzo del tetto, che può essere un misto leggero di terriccio d’origine vegetale e di compost e il cosiddetto strato vegetale, ossia la vegetazione. Su quest’ultimo punto, è necessario scegliere piante locali tra le più resistenti alle alte temperature e che abbiano caratteristiche tali da coprire rapidamente il suolo, per evitare la crescita degli infestanti e quindi ridurre la manutenzione. Nel caso si punti solo all’isolamento, la scelta deve ricadere su piante che abbiano una scarsa necessità d’acqua, mentre se si opta per la coltivazione è necessario un sistema d’irrigazione. La scelta migliore è quella di recuperare l’acqua meteorica in eccesso in una cisterna, facendo sempre molta attenzione al peso, dalla quale si preleverà l’acqua da inviare a un sistema d’irrigazione a goccia, usando la rete idrica solo nel caso di siccità prolungata. Volendo rendere il tutto assolutamente sostenibile, si può alimentare la pompa d’irrigazione con un piccolo sistema fotovoltaico da poche decine di watt accoppiato a una batteria. In questo caso l’impatto delle verdure “da tetto” sarà uguale a zero.

CALIFORNIA ACADEMY OF SCIENCES

Integrazione con il verde al massimo
Uno degli edifici più green al mondo, non solo per la certificazione energetica, è la sede della “California Academy of Sciences” a San Francisco, negli Usa, progettata da Renzo Piano, dove si è compiuto, con ogni probabilità, uno degli esperimenti più radicali fino ad ora in fatto di integrazione tra verde ed edilizia sostenibile. Le strutture esistenti erano state notevolmente danneggiate da un sisma nel 1989, al punto che alcuni edifici sono stati demoliti e i materiali riciclati in quelli nuovi. I tre vecchi edifici sopravvissuti sono stati uniti attraverso una copertura verde che, a sua volta, si salda con il parco circostante, il Golden Gate Park. La terra e la vegetazione sul tetto accumulano l’umidità nelle ore notturne e diventano un isolante termico durante il giorno e a questo scopo sono state piantate 1,5 milioni di graminacee autoctone che non richiedono irrigazione. Le variazioni del clima, come nebbie estive e venti dall’oceano, sono sfruttate attraverso i lucernai sul tetto e le finestre, mentre l’ondulazione del tetto consente l’accumulo dell’aria calda che, però, può essere espulsa. Risultato? L’abolizione dei sistemi di condizionamento d’aria. E non basta. Sul contorno del tetto sono stati messi dei pannelli fotovoltaici che forniscono il 5% dell’elettricità necessaria al museo, mentre per l’isolamento termico sono stati utilizzati dei cascami di tessuto dei jeans offerti dalla Levi’s. E, ancora, il 95% dell’acciaio proviene dal riciclo. Il tetto, inoltre, provvede alla canalizzazione in un sistema di recupero dell’acqua pluviale e alla gestione della ventilazione e dell’illuminazione naturali. Tutto ciò è stato essenziale per fargli ottenere la certificazione LEED (Leed in Energy and Environmental Design) ‘Platinum’. Se qualcuno pensa che bioarchitettura sia sinonimo di fragilità dovrà ricredersi: l’edificio, infatti, è progettato per resistere ai devastanti terremoti della famigerata faglia di Sant’ Andrea.

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L'autore

Sergio Ferraris

Sergio Ferraris, nato a Vercelli nel 1960 è giornalista professionista e scrive di scienza, tecnologia, energia e ambiente. È direttore della rivista QualEnergia, del portale QualEnergia.it e rubrichista del mensile di Legambiente La Nuova Ecologia. Ha curato oltre cinquanta documentari, per il canale di Rai Educational Explora la Tv delle scienze. Collabora con svariate testate sia specializzate, sia generaliste. Recentemente ha riscoperto la propria passione per la motocicletta ed è divenatato felice possessore di una Moto Guzzi Le Mans III del 1983.


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