Tekneco #12 – Innovazione edilizia
Il fotovoltaico come il mattone
Le celle solari diventeranno presto un elemento strutturale in edilizia. Parliamo di generazione fotovoltaica integrata negli edifici e in elementi come coperture e vetrate
L’innovazione nei materiali in edilizia passa anche attraverso un cambio radicale nello scopo di alcune componenti architettoniche che stanno passando, già oggi, da un ruolo passivo a uno attivo. Parliamo della generazione d’energia attraverso “pezzi” di edifici che mutano pelle e assumono anche altri scopi oltre a quelli classici di copertura e protezione.
Una delle linee sulle quali si punta di più è la generazione fotovoltaica integrata negli edifici, e bisogna prestare attenzione al fatto che quando parliamo di integrazione ci si riferisce a elementi edilizi fondamentali, come coperture vetrate, elementi della copertura orizzontale e infissi che producono elettricità, e non dell’integrazione architettonica come la si è intesa fino a oggi in relazione al Conto Energia.
Oggi, dopo alcuni anni di sperimentazione nei quali si è provato con alterni successi l’utilizzo delle celle fotovoltaiche al silicio classiche come elementi strutturali, siamo in una fase nella quale per alcuni elementi si è riusciti a integrare le celle con degli elementi architettonici, mentre la prossima generazione del fotovoltaico guarda a prodotti molto più flessibili e innovativi che saranno in grado di offrire più possibilità sia sotto al profilo energetico, sia dal punto di vista architettonico.
Uno dei prodotti disponibili da subito e che utilizza i pannelli fotovoltaici tradizionali è il coppo fotovoltaico, utile per installare sul proprio tetto sistemi di piccola potenza, la superficie energetica utile è infatti circa il 30% rispetto a quella di un sistema fotovoltaico tradizionale, ma questo sistema ha come vantaggio quello della totale integrazione architettonica, cosa da non sottovalutare, nonostante la fine degli incentivi, poiché consente l’utilizzo del fotovoltaico anche in zone dove ci sono vincoli architettonici e paesaggistici, come in molti centri storici nostrani. In pratica si tratta di veri e propri coppi sui quali sono disposti dei piccoli pannelli fotovoltaici che è possibile collegare in stringhe al fine d’ottenere un vero e proprio sistema fotovoltaico come quelli classici, con il vantaggio che è possibile realizzare un impianto anche solo con la sostituzione dei coppi interessati e, quindi, con un rifacimento solo parziale della copertura.
Silicio con limiti
Il silicio tradizionale, cristallino sul fronte della flessibilità architettonica, possiede dei limiti che sono intrinseci alla sua conformazione. Le superfici devono essere per forza piatte, la forma fisica è obbligata, così come l’orientamento – se si vogliono ottenere dei buoni risultati energetici -, è molto complesso ottenere delle superfici semitrasparenti senza inficiare l’efficienza e il colore è solo e unicamente quello classico del silicio il blu scuro. Una piccola marcia in più la possiede il film sottile montato su supporti plastici che cedono alcuni punti d’efficienza sul fronte della generazione energetica, ma consentono una maggiore flessibilità sul fronte architettonico poiché è possibile applicare i pannelli su superfici curve, come quelle di certe coperture industriali, oppure si possono sagomare con forme che ricordano le tegole classiche. Da ricordare, infine, che sono disponibili anche delle tegole solari ibride, in grado di fornire sia elettricità, sia calore per l’acqua calda sanitaria o il riscaldamento.
Oltre il silicio
La vera rivoluzione nell’integrazione del fotovoltaico in architettura è però attesa nei prossimi anni grazie alla tecnologia delle celle “dye sensitized” (DSC) nelle quali la parte attiva è totalmente organica o polimerica e che promettono un vero e proprio cambio di paradigma rispetto al fotovoltaico classico. Il processo di produzione di queste celle fotovoltaiche, infatti, non è quello tradizionale del silicio, ma assomiglia più alla serigrafia o aal getto d’inchiostro, cosa che dovrebbe consentire la realizzazione di celle su qualsiasi supporto, anche molto flessibile, senza limiti di forme e dimensioni, mentre il prezzo di produzione dovrebbe essere molto basso visto l’utilizzo di materiali a costo ridotto e processi, simili a quelli tipografici, che consentono di “tirare” grandi quantità di pannelli fotovoltaici.
Altre caratteristiche del fotovoltaico “organico” da non sottovalutare sono quella della semitrasparenza e della colorazione. Scegliendo la densità del materiale attivo è possibile, infatti, bilanciare la trasparenza con l’efficienza nella produzione energetica, mentre scegliendo tra i diversi pigmenti utilizzabili è possibile scegliere i colori. L’efficienza di questo tipo di pannelli è oggi intorno al 10-12% e la loro durata è di svariati anni, ma bisogna considerare il fatto che la produttività media annua è praticamente equivalente a quella del silicio, poiché a fronte di una minore efficienza di picco, il fotovoltaico organico possiede una maggiore capacità produttiva in condizioni d’insolazione parziale.
Questa caratteristica offre alla tecnologia delle celle “dye sensitized” un’arma in più nella competizione con il silicio, poiché consente la loro installazione in posizioni e in condizioni d’insolazione dove il rendimento del silicio è minore. Ed è proprio questa loro caratteristica che le ha rese “appetibili” a grandi imprese specializzate a livello internazionale nell’edilizia di qualità come quelle che realizzano le superfici vetrate dei grandi edifici. Un grattacielo coperto di pannelli semitrasparenti “stampati” sulle superfici vetrose, per esempio, può arrivare a svariati megawatt di potenza installata, diventando autosufficiente sul fronte elettrico durante le ore diurne.
Ma in futuro ci sarà anche la possibilità di trasformare le coperture in cortina in superfici attive, cosa che potrebbe aprire spazi di mercato oggi ancora inesplorati, come quello della valorizzazione delle superfici verticali degli edifici. Materiali e tecniche per rendere attivi gli edifici attraverso elementi architettonici quindi sono pronti, ciò che manca oggi è una stabilizzazione degli incentivi fiscali che faccia fare al fotovoltaico “edile” quel salto tecnologico e di scala che è stato fatto dal fotovoltaico classico. ?
Il punto d’eccellenza italiano
Uno dei punti d’eccellenza a livello mondiale circa la ricerca sulle celle “dye sensitized” è il Polo Solare Organico della Regione Lazio di Roma, CHOSE (Center for Hybrid and Organic Solar Energy) che nasce nel dicembre 2006 grazie a una partnership tra l’Assessorato all’Ambiente della Regione Lazio, allora retto da Angelo Bonelli, e il Dipartimento di Ingegneria Elettronica dell’Università di Roma Tor Vergata. L’idea è stata quella di creare un centro di ricerca applicata per lo sviluppo dell’industrializzazione delle tecnologie organiche e ibride organiche-inorganiche applicate alle celle fotovoltaiche. Oggi il CHOSE sta sviluppando i primi prototipi dei pannelli fotovoltaici organici ed è stata attivata la prima linea sperimentale per la produzione degli stessi. Il CHOSE, inoltre, nei suoi sei anni di vita ha attivato quattro realtà tra start up e spin-off ed è membro del consorzio DYEPOWER per lo sviluppo dei processi di produzione industriale per la fabbricazione di pannelli fotovoltaici DSC da utilizzare nelle facciate in vetro. Aderiscono al consorzio aziende del calibro di Erg, Permasteelisa Group e Dyesol.
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L'autore
Sergio Ferraris
Sergio Ferraris, nato a Vercelli nel 1960 è giornalista professionista e scrive di scienza, tecnologia, energia e ambiente. È direttore della rivista QualEnergia, del portale QualEnergia.it e rubrichista del mensile di Legambiente La Nuova Ecologia. Ha curato oltre cinquanta documentari, per il canale di Rai Educational Explora la Tv delle scienze. Collabora con svariate testate sia specializzate, sia generaliste. Recentemente ha riscoperto la propria passione per la motocicletta ed è divenatato felice possessore di una Moto Guzzi Le Mans III del 1983.
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