intervista
Bellezza a misura d’uomo
Intervista a Costanza Pratesi, responsabile ufficio ambiente e paesaggi del Fai, che spiega come riqualificare borghi e centri storici senza farne dei musei.
Photo: Villa Necchi del Fai a Milano ha ora un impianto di riscaldamento basato su pompe di calore
L’inchiesta di Tekneco, che vi presentiamo in queste pagine, mira a dimostrare le buone pratiche per intervenire sui centri storici e sui borghi, valorizzando il patrimonio italiano artistico e culturale e utilizzando principi di edilizia sostenibile. Eppure, non basta. La verità è che il “recupero” non va vissuto solo a livello architettonico o culturale. Ma anche sociale. Ci tiene a sottolinearlo Costanza Pratesi, responsabile ufficio ambiente e paesaggi del Fai (Fondo ambiente italiano). La preoccupazione è sotto gli occhi di tutti: centri storici sempre meno alla portata della vita quotidiana.
E borghi svuotati. Le cause? Indubbiamente economiche, ma anche di stili di vita e di bisogni “diversi”. Tendenze che bloccano un “pieno” recupero di quelle aree di cui l’Italia dovrebbe andare ancora più fiera. «Purtroppo si tende a una musealizzazione del centro o del borgo, creando luoghi che tendono a farsi vedere, ma non farsi vivere» denuncia la Pratesi, che continua affermando come la pubblica amministrazione abbia «perso il controllo del territorio». Ma ancora una volta gioca brutti scherzi la mancanza di fondi. A monte mancano i finanziamenti che permettono la supervisione globale del territorio. Esempio sono le scarse forze che la sovraintendenza alle Belle Arti riesce a oggi a mettere in campo. «Ma come puoi conoscere il territorio – denuncia la responsabile del Fai – quando non si hanno neppure i fondi per girare sul territorio?».
E allora come approcciare la riqualificazione: meglio un approccio conservativo o rigenerativo? A questa domanda la Pratesi è diretta: «Noi del Fai non siamo così ortodossi da dire che tutto deve essere mantenuto. La stratificazione storica è un valore e deve emergere. Fa parte del fascino del territorio. Penso, per esempio, all’archeologia industriale che dà valore identitario per chi quei luoghi ha vissuto. Così penso che la giusta strada sia il dialogo con quello che c’era prima e ciò che si può fare oggi. Ma assolutamente sono contro quei progetti belli ma che starebbero bene ovunque».
Una dote poco italiana
Programmare, pianificare, riflettere prima di agire. Più volte la rappresentante del Fai parla di una capacità organizzativa che «manca alla mentalità italiana». Bisogna evitare «che le città si espandano senza controllo e senza motivo. Bisogna ascoltare i cittadini che si stanno organizzando che si muovono e si attivano in comitati. È un diritto, questo, che va riconosciuto. Ascoltare la loro posizione è capire come i cittadini vivono i loro spazi».
È in questo modo che pubblico e privato, inteso anche come addetti ai lavori, si possono incontrare o come dice la Pratesi possono “partecipare”. Gli strumenti ci sono. A partire dalla valutazione ambientale strategica. «Non è, comunque, facile lavorare con le amministrazioni. E le aziende tendono troppo a lavorare di lobby. È fondamentale, invece, la trasparenza».
Intanto, sarebbe buona cosa recuperare una figura ora in estinzione: quella del mecenate. Oggi, come ieri ce n’è un enorme bisogno in Italia: dove il patrimonio è immenso e troppo poche sono le risorse dedicate. E forse si posso scoprire strade nuove. Un esempio lampante è la ristrutturazione della Villa dei Vescovi dove Fai e Vimar hanno lavorato fianco a fianco. Non più solo donazione per restaurare, ma anche partecipazione all’intera opera. Certo i benefici fiscali aiuterebbero di molto: «ma la normativa italiana – si rammarica la Pratesi – non è particolarmente brillante. Addirittura il Fai paga l’Iva. Eppure, le buone pratiche non mancano, basterebbe seguire l’esempio anglosassone, che invece prevede un percorso di facilitazioni fiscali». Dove intervenire presto e bene è l’ultima domanda che poniamo alla Pratesi. La risposta anche in questo caso è schietta: «Su tutti i centri storici conviene accendere subito i riflettori». L’appello ha anche un senso pratico: ricostruire e rimodernare significa sviluppare un economia sostenibile. Ancora una volta per il bene italiano.
Palazzo Ricordi – L’architettura storica diventa green e si certifica
Un intervento eccellente nel centro di Milano: si tratta del restauro dell’ottocentesco Palazzo Ricordi, fra il Duomo e la Galleria Vittorio Emanuele. Nel 2009 il committente, Antonello Manuli, ha avviato il programma di ristrutturazione dell’intero edificio, applicando criteri green. A certificare il percorso progettuale, Green Building Council, che con il protocollo Leed (Leadership in Energy and Environmental Design) ha stabilito il percorso virtuoso e che ha conferito la precertificazione a livello Gold. Il gruppo di lavoro nominato da Antonello Manuli, coordinato da Marzia Fumagalli, con Carlotta Cocco supervisore delle procedure Leed, è composto da Aldo Parisotto, da Esa Engineering e da Favero & Milan Ingegneria.
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L'autore
M. Cristina Ceresa
M.Cristina Ceresa, giornalista professionista si occupa da anni di energie alternative e ambiente. È anche autrice teatrale ed è impegnata nella diffusione delle buone pratiche ambientali anche in ambito scolastico.
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