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Rinverdire il nero della Terra

Rendere più sostenibile l’asfalto, grazie non solo a nuovi materiali ma anche a una svolta del nostro modo di concepirlo. Ecco i filoni della ricerca.

Scritto da il 17 maggio 2011 alle 11:00 | 1 commento

Rinverdire il nero della Terra

Photo: Segnaletica orizzontale su asfalto - Credit: Slafko — SXC


Pianeta azzurro o verde che sia la nostra terra se la si osserva dall’alto ha un colore che tende al nero, al grigio scuro. E’ l’asfalto, la parte dimenticata, rimossa dell’architettura, del suo progetto che ha una sua storia, un suo immaginario e anche un suo linguaggio. Ha anche un orizzonte di ricerca molto evoluto nonostante i suoi risultati non godano di una grande visibilità. Le ricerche formali sono evidenti proprio nella visione zenitale del satellite.

Fisicamente rappresenta, rendendola fisica, la nuova stratigrafia del pianeta: dopo il suolo e il sottosuolo ha introdotto il tema della superficie d’usura, della pavimentazione intesa come raccordo elastico e di tutti i contenuti di comunicazione che vi si appoggiano sopra: segnaletiche orizzontali, verticali.

È anche una stratigrafia che ci allontana sempre di più dalla terra intesa come materia, come sostanza dal quale si viene e si tornerà. Simbolicamente un allontanamento dalla nostra natura.

Il corpo del pianeta è cambiato come è cambiato il nostro corpo, come sono cambiate le nostre teste. L’asfalto non è semplicemente una materia ma un qualcosa che ci permette di abitare il nostro ambiente, una “cosa” che nella sua forma “strada” ci permette di mantenere il nostro stile di vita urbano.
Dopotutto cambiare la superficie del pianeta significa addomesticarlo. In una bella mostra sul tema dell’asfalto montata alla Triennale di Milano nel 2003, Mirko Zardini ci mostra quanto immaginario è cresciuto intorno a questa materia, riletta come la nuova crosta del pianeta determinante nel definire il “carattere della città”. Crosta dal quale liberarsi e da “smontare” laddove non serve più. E’ il caso di Richard Register che già nel 2003 compie azioni di recupero di suolo attraverso la demolizione dell’asfalto.

E questo carattere urbano, cittadino è lo stesso che dai primi del secolo 900 comincia a colonizzare le campagne per cominciare ad uniformare gli stili di vita.

Il principale motivo di questo non è di natura intrinseca alla qualità del prodotto ma è dovuto a questioni economiche e sociali. Prima negli stati uniti poi da noi in Europa, la borghesia cittadina esce dai centri urbani per andare ad abitare i territori limitrofi. Questa nuova mobilità richiede che vengano costruite nuove strade e che siano più capienti. Il modello che si definisce negli Stati Uniti diventerà modello per il pianeta. Dopotutto l’asfalto è apparentemente privo di una storia e apparentemente privo di una origine geografica. Nella realtà la parte inerte degli asfalti, il pietrisco, non è altro che roccia. E il bitume ha origine fossile.

La natura del nero

Risultato di questa globalizzazione dello stile di vita è la seguente domanda: quanti sono i metri quadrati di asfalto che ricoprono il pianeta? Il numero preciso non sono riuscito a trovarlo ma certo è che nei soli Stati Uniti si parla di 7 milioni di chilometri di strade asfaltate e di più di 16 milioni di aree destinate a parcheggio. Per fare un paragone gli ettari destinati a grano da parte degli agricoltori americani verso la metà del primo decennio erano ventuno.

Quella dell’asfalto è la pelle più coriacea, più dura tra le tante che abbiamo posto tra noi e il nostro ambiente di origine.

Dopotutto ha una origine molto più naturale di quello che si pensa. Cave di bitume, fontanili di bitume li si conoscono da tempo e già da secoli l’olio grasso veniva usato per impermeabilizzare imbarcazioni, coperture.

Le altre pelli che abbiamo inventato sono meglio riconoscibili come il luogo di sperimentazione anche comunicativa del nostro abitare il mondo. Dalle creme cosmetiche che si sovrappongono alla nostra epidermide ai nuovi tessuti degli indumenti di origine biologica, vegetale o animale.

Come tutte le “cose” della nostra cultura anche la strada asfaltato ha portato alla nascita di nuovi oggetti, nuovi spazi di progetto così come ha cambiato il nostro modo di muoverci e pure di spostarci. Scarpe e pneumatici, i due principali elementi d’usura del nostro spostarci, sono i primi due oggetti che hanno cominciato a dialogare con il selciato.

È qui il caso di ricordare che un tempo, quando le città erano polverose e l’asfalto non era ancora stato pensato come il materiale che avrebbe risolto i problemi contingenti – le strade in pietra quando vengono invase dai cavalli nella prima epoca di industrializzazione erano chiassose a causa degli zoccoli e sporche di sterco dell’animale – nei musei si aveva accesso solo se le scarpe fossero non fossero state sporche.

Le nuove vie dell’asfalto

Ripensare oggi tutto questo passa da due almeno due fronti. Uno di natura architettonica, il progetto dello spazio urbano, e uno di una sulla composizione stessa della materia, sul progetto della materia.

Il primo coinvolge più in generale il rapporto con la cultura dello spazio pubblico, della strada: considerare ad esempio il nastro stradale non solo come luogo di attraversamento e di mobilità ma anche come luogo innanzitutto espressivo e in secondo luogo come spazio di socializzazione e di aggregazione. Penso ai progetto dei West 8 o ai Topotek.

Un caso molto recente di progettazione a scala urbana è a New York. Nel settembre 2010 il Whitney Museum non a caso interviene su una parte speciale di New York per pubblicizzare il nuovo progetto per l’ampliamento del suo museo: un’area posto sotto ad una linea metropolitana aerea abbandonata. Tutto accade come in un mondo dove le regole sono ribaltate; nel corso di questi anni la linea aerea della metropolitana non è stata demolita e abbattuta ma trasformata in giardino pensile dal quale si ha una visione molto affascinante di Chelsea e più in là di Manhattan. Questo progetto ha attirato le grandi firme della moda e gli atelier degli artisti. Non è un caso se Barbara Kruger, artista che usa la parola del medium pubblicitario nelle sue produzioni, viene chiamata a “scrivere il parcheggio”, a decorare l’asfalto per farlo “parlare”.

Questa piccola parte di New York contiene tutte le nuove tracce che possono essere seguite per rinnovare il linguaggio dell’attraversamento della città e dell’addomesticamento dell’ambiente.

Innanzitutto per il metodo, il programma di intervento: il progetto in generale è stato seguito non tanto con la partecipazione degli abitanti ma sostenuto per volontà loro: se ne sono fatti promotori. In secondo luogo perché hanno lavorato sull’evidenza fisica di ciò che avevano, di ciò che era rimasto ribaltandone i significati. La linea ferroviaria che notoriamente non è uno spazio di socializzazione intesa come linea ferrata poteva essere ancora qualcosa di utile: con una nuova sistemazione che ne richiama il tema del giardino diventa un luogo frequentato quotidianamente da migliaia di persone.

Così accade pure per il parcheggio che è stato addomesticato da una installazione d’artista che mostra un messaggio chiaro: un parcheggio può essere altro e non necessariamente solo uno spazio di sosta.

Rinnovare la materia

Si è lavorato molto anche sulla materia dell’asfalto in questi ultimi anni. Lo abbiamo detto: l’uomo ormai da tempo applica intelligenza nelle cose per migliorare il suo rapporto con l’ambiente. Questa stessa rivista ne è un esempio: un osservatorio su chi cerca di innovare con sostenibilità l’attività di trasformazione delle nostre città, della nostra architettura e del nostro ambiente.

Questa che potrebbe essere letta come la più corretta e contemporanea definizione per la tecnologia per alcuni elementi della nostro ambiente ha tardato ad mostrare particolari applicazioni.

In particolare questo vale per quello che comunemente chiamiamo le strade. Le automobili ad esempio e le calzature sono campi della ricerca che hanno portato alla definizione di nuovi dispositivi, nuovi materiali, nuovi usi e nuovi costumi. L’intelligenza applicata in questi elementi ha fatto fare grandi passi con ricadute in altri settori. Le automobili hanno imparato a parcheggiare, a sentirsi per vicinanza, le scarpe da jogging ad esempio sono in grado di informarci sulle nostre prestazioni fisiche ma le strade sono ancora oggetti sui quali si deve lavorare molto. Gli investimenti in tecnologia sulle strade sono prevalentemente puntati su nuove tecnologie di controllo utilizzate a scopo anche preventivo e non solo punitivo: autovelox e simili.

Ma la ricerca è stata applicata anche sulla mescola portando a tre linee fondamentali almeno: l’ecologia della mescola, il riciclo dei prodotti  e la temperatura di stesa.

Con il primo termine ci riferiamo alla qualità dei prodotti impiegati. Fino a poco tempo fa le stese delle nostre strade erano composte da bitumi provenienti dalla raffinazione del petrolio, come residui della raffinazione. Questo porta a grandi emissioni nell’ambiente di elementi nocivi.
Questi prodotti richiedono lavorazioni a temperature molto elevate. La grande quantità di materiale stesa nei tempi ha poi rappresentato la necessità di considerare una ipotesi di riciclo dei materiali non solo nella fabbrica di produzione ma anche nello stesso sito da dove viene recuperato.

Questi fattori nel loro insieme e la necessità di introdurre materiali riciclati da altre linee produttive come il recupero dei pneumatici hanno portato alla formazione di nuove mescole migliorate sotto diversi punti di vista e con un impatto sull’ambiente considerevole. In Italia è SITEB l’organo che si occupa di fare ricerca nel settore. L’associazione Italiana Bitume Asfalto Strade raggruppa i cinque principali operatori intorno ai comuni obiettivi di “sviluppo e promozione delle tecniche di produzione e impiego dei leganti e conglomerati bituminosi e di tutti i prodotti ad esso collegati, con particolare attenzione alla qualità e nel rispetto dell’ambiente e della sicurezza degli operatori.

La ricerca sul materiale affiancate ad una più consapevole progettazione delle quantità di prodotto sono sicuramente i due fronti sui quali lavorare andando anche verso una visione che preveda la demolizione delle parti non utili di questa crosta in favore di altri materiali di altro tipo: dagli stabilizzati ai materiali che hanno una base in calcestruzzo.


Commenti

È stato inserito 1 commento.

  • Massimo
    scrive il 17 maggio 2011 alle ore 12:08

    Cominciamo ad obbligare i Committenti pubblici e privati a rimuovere l'asfalto dalle superfici non più utilizzabili (strade vecchie quando si fanno quelle nuove, ecc.). La natura riprenderebbe rapidamente il suo spazio...

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L'autore

Fabio Fornasari

Fabio Fornasari alterna la pratica professionale con la didattica presso la NABA - Nuova Accademia di Belle Arti - di Milano e la Facoltà di Sociologia di dell’Università di Urbino “Carlo Bo”. Suo il progetto per il museo del Novecento a Milano.


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